
„la pace non è un traguardo definitivo, bensì il frutto di uno sforzo incessante, fondato sul raggiungimento di valori condivisi e sul riconoscimento della inviolabilità della dignità umana di ogni persona, ovunque“
È una citazione del discorso che il presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, ha tenuto ieri (16 novembre) al Bundestag nella Giornata del lutto nazionale tedesco. Prendiamoci qualche minuto per leggere il discorso sotto è sempre una buona occasione per riflettere sul presente e non farci ammaliare da litanie guerrafondaie.
I media tedeschi ne hanno evidenziato e risaltato i seguenti punti:
Tagesschau: Il presidente dell’Italia invoca la coesione dell’Europa. Ricorda il significato dell’Unione europea e mette in guardia dagli „imitatori“ di tempi bui. Il multilateralismo non è burocrazia ma uno strumento per la ricerca di soluzioni pacifiche ai conflitti fra gli stati.
BR24: Il presidente italiano Mattarella, in qualità di oratore principale ha stabilito un parallelismo fra il secondo conflitto mondiale e i conflitti armati attuali. Ha invitato a non desistere dagli sforzi multilaterali per la pace. Sono soprattutto le democrazie vivaci ad essere in grado di intervenire con questo scopo.
Berliner Sonntagsblatt: Il presidente della Repubblica italiana Sergio Mattarella ha ribadito l’importanza degli approcci multilaterali per il mantenimento della pace.
Bundestag: Le istituzioni multilaterali creano una consapevolezza globale. Il presidente ha sottolineato il cammino straordinario dei nostri due Paesi negli ultimi 80 anni.
E ancora, alcuni titoli online:
Süddeutsche Zeitung: Appello per il sogno europeo.
Die Zeit: Il presidente italiano Mattarella chiede cooperazione contro nuove guerre.
FAZ: Mattarella mette in guardia dagli „imitatori dei tempi bui“.
La cerimonia con il discorso di Mattarella in qualità di oratore principale è stata trasmessa in diretta da ARD e si trova online (Discorso di Mattarella dal minuto 39’48“). I media radio e televisivi pubblici riportano solitamente i punti chiave del discorso.
Discorso del presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella:
Signor Cancelliere Federale,
Signor Presidente del Bundesrat,
Signor Presidente della Corte Costituzionale,
Signor Presidente del Volksbund,
Signore e Signori Deputati,
Gentili intervenuti,
Siamo in questa Aula solenne per fare memoria dei caduti, delle vittime della guerra e della violenza.
Caduti negli abissi della storia, nelle insidie tese da altri uomini.
La vita delle persone, dei popoli, delle nazioni, è colma di inciampi e di tragedie.
Talvolta per scelte individuali, più spesso per deliberato operare degli altri.
La Prima guerra mondiale lasciò sul terreno almeno 16 milioni di morti, la metà dei quali civili, oltre a venti milioni di feriti e mutilati.
La Seconda guerra mondiale, estesa al fronte del Pacifico, si calcola che abbia visto settanta milioni di morti.
Le vittime, Paese per Paese, sono impressionanti.
E va sempre ricordato che non di numeri si tratta ma di persone.
Come è possibile che tutto questo sia potuto accadere e pretenda di ripresentarsi?
Quanti morti occorreranno ancora, prima che si cessi di guardare alla guerra come strumento per risolvere le controversie tra gli Stati, che se ne faccia uso per l’arbitrio di voler dominare altri popoli?
“Nie wieder”. “Mai più”.
È la espressione adottata nella comunità internazionale per condannare l’olocausto ebraico.
A “Nie wieder” si con
trappone “wieder”: “di nuovo”.
A questo assistiamo.
Di nuovo guerra.
Di nuovo razzismo.
Di nuovo grandi disuguaglianze.
Di nuovo violenza.
Di nuovo aggressione.
Oggi, è per me motivo di grande onore essere qui e prendere parte alla Giornata del lutto nazionale tedesco, per commemorare, insieme, le vittime dei conflitti proprio nell’anno in cui celebriamo gli ottant’anni dalla fine del secondo conflitto mondiale.
I morti che qui ricordiamo, i morti nel mondo a causa della violenza dei conflitti riguardano ciascuno di noi se intendiamo essere considerati esseri umani.
Oggi rivolgiamo il nostro sguardo, il nostro pensiero, alle vittime di quelle tragedie.
Dai militari caduti ai civili, vittime di quella condizione – la guerra – che la Legge Fondamentale tedesca e la Costituzione italiana ripudiano, facendo propria la grande lezione derivante dal tragico secondo conflitto mondiale.
Ci uniamo, in una giornata di memoria e di lutto, perché ricordare la nostra storia comune è esercizio indispensabile nella nostra inesauribile aspirazione alla pace.
Memoria delle atrocità dell’uomo nel passato e dolore profondo per quelle presenti ci obbligano a un esercizio di consapevolezza: la pace non è un traguardo definitivo, bensì il frutto di uno sforzo incessante, fondato sul raggiungimento di valori condivisi e sul riconoscimento della inviolabilità della dignità umana di ogni persona, ovunque.
Da sempre la guerra ambisce a proiettare la sua ombra cupa sull’umanità.
Il Novecento, con lo sviluppo della industrializzazione della morte, ha trasformato la tragedia dei soldati in tragedia dei popoli.
Nei borghi d’Europa e nelle città distrutte dai bombardamenti, nelle campagne devastate, milioni di civili divennero bersagli.
Deportazioni, genocidi, hanno caratterizzato la Seconda guerra mondiale.
Da allora, il volto della guerra non si riflette soltanto in quello del combattente, ma diviene quello del bambino, della madre, dell’anziano senza difesa.
È quanto accade, oggi, a Kiev, a Gaza.
La guerra totale esige non la sconfitta, la resa del nemico, ma il suo annientamento. Un accrescimento di crudeltà.
Con l’era atomica, un solo gesto può cancellare una città e l’innocenza stessa del mondo.
A tutto questo Theodor Heuss – primo Presidente della Repubblica Federale Tedesca – contrappose il suo “Mut zur Liebe”, il coraggio di amare” e il progetto di una “democrazia vivente”, ammonendo che: «Non vi è libertà senza umanità, e non vi è pace senza memoria.»
Democrazia vivente. È chiave fondamentale nel rapporto tra principio di autorità e principio di democrazia.
È, infatti, la democrazia che sorregge l’autorità e la legittima. Superando le tentazioni di totalitarismi che pretendono di essere e rappresentare il tutto. Perché la democrazia parte dal principio di libertà che, a sua volta, si basa sulla universalità dell’uguaglianza tra le persone.
Nel dopoguerra, la nascita delle Nazioni Unite, le Convenzioni di Ginevra, hanno acceso la speranza di una pace fondata sul diritto, riaffermando un principio fondamentale: la popolazione civile deve essere protetta in ogni circostanza.
La cronaca successiva – dal Biafra ai Balcani, dal Ruanda alla Siria, fino all’Ucraina, alla Striscia di Gaza, al Sudan – ci mostra, che la guerra continua a colpire soprattutto chi combattente non è.
Oggi, secondo le Nazioni Unite, oltre il 90% delle vittime dei conflitti è tra i civili.
Questo non può rimanere ignorato e impunito.
Il numero di persone costrette ad abbandonare le proprie case, la propria terra, non ha precedenti.
Secondo il rapporto reso noto ad aprile dall’Alto Commissariato dell’Onu per i rifugiati, questi erano 122 milioni, in aumento di anno in anno.
Anche qui non si tratta di statistiche.
Sono volti, persone in cammino, famiglie cancellate, alle quali viene sottratto il futuro che preparavano.
Il Diritto internazionale umanitario, argine alla disumanità della guerra, è messo in discussione dai fatti.
Ma nessuna “circostanza eccezionale” può giustificare l’ingiustificabile: i bombardamenti nelle aree abitate, l’uso cinico della fame contro le popolazioni, la violenza sessuale.
La caduta della distinzione tra civili e combattenti colpisce al cuore lo stesso principio di umanità.
È l’applicazione sistematica della ignobile pratica della rappresaglia contro gli innocenti.
Colpisce l’ordine internazionale, basato sul principio del rispetto tra i popoli e del riconoscimento dell’orrore della guerra, oggi aggravata dal continuo irrompere di nuove armi.
Signore e Signori Deputati,
questo scenario di dolore, eppure, ha antidoti.
La pace non è frutto di rassegnazione di fronte alle grandi tragedie. Ma di iniziative coraggiose, di persone coraggiose.
In questi decenni tanti attori della comunità internazionale – e tra essi l’Unione Europea – con ostinazione e non senza fatica, hanno perseguito la pace, che si nutre del rispetto dei diritti umani fondamentali.
Perché, se vuoi la pace, devi costruirla e preservarla.
La cooperazione tra Stati, istituzioni, popoli è la sola misura che può proteggere la dignità umana.
Sono le istituzioni multilaterali come le Nazioni Unite, la Corte Penale Internazionale, le missioni di pace, le agenzie umanitarie a concorrere alla impegnativa e affascinante fatica della costruzione di una coscienza globale.
Il multilateralismo non è burocrazia, come, invece, asseriscono i prepotenti: è l’utensile che raffredda le divergenze e ne consente soluzione pacifica; è il linguaggio della comune responsabilità.
È la voce che richiama al valore della vita di ogni singola persona, contrapposta all’arroganza di chi vorrebbe far prevalere la logica di una spregiudicata presunta ragion di Stato, dimentica che la sovranità popolare appartiene, appunto ai cittadini.
La sovranità è dei cittadini e non appartiene a un Moloch impersonale che pretenda di determinarne i destini.
È uno strumento di difesa che gli abitanti del pianeta possono opporre alla logica della sopraffazione di chi – sentendosi momentaneamente in posizione di vantaggio – si ritiene legittimato a depredare gli altri.
Nuovi “dottor Stranamore” si affacciano all’orizzonte, con la pretesa che si debba “amare la bomba”.
Il Trattato del 1997 che mette al bando gli esperimenti nucleari non ha visto ancora la ratifica da parte di Cina, India, Pakistan, Corea del Nord, Israele, Iran, Egitto, Stati Uniti, mentre la Russia ha ritirato la sua nel 2023. Il rispetto, sin qui, delle prescrizioni che contiene, non attenua la minaccia incombente.
Si odono dichiarazioni di altri Paesi su possibili ripensamenti del rifiuto dell’arma nucleare. Emerge, allora, il timore che ci si addentri in percorsi ad alto rischio, di avviarsi ad aprire una sorta di nuovo vaso di Pandora.
Tutto questo viene agevolato dal diffondersi, sul piano internazionale, di un linguaggio perentorio, duramente assertivo, che rivendica supremazia.
Porta soltanto a sofferenze e a divisioni rottamare i trattati, le istituzioni edificate per porre riparo a violenze che nelle nostre società nazionali consideriamo reati e censuriamo severamente, comportamenti che taluno pretende che siano legittimi nei rapporti internazionali.
Va ribadito con risolutezza: la sovranità di un popolo non si esprime nel diritto di portare guerra al vicino.
La volontà di avere successo di una nazione non si traduce nel produrre ingiustizia.
La guerra di aggressione è un crimine.
Va riaffermato senza cedimenti, l’insegnamento di Norimberga: “se riusciremo a imporre l’idea che la guerra di aggressione è la via più diretta per la cella di una prigione e non per la gloria, avremo fatto un passo per rendere la pace più sicura”. Sono parole di Robert Jackson, procuratore di quel Tribunale.
Tocca a noi, tocca anche a noi.
Tocca ai nostri popoli, uniti nella sofferenza della responsabilità dell’ultima guerra mondiale, e capaci oggi di essere uniti nella costruzione di un futuro di pace e di progresso.
Tocca alla Repubblica Federale Tedesca, tocca alla Repubblica Italiana – come a tutti nella comunità internazionale – opporre la forza del diritto alla pretesa preminenza della forza delle armi.
Considero questa giornata anche un invito a riflettere, insieme, sul percorso straordinario che le nostre due Repubbliche hanno compiuto, fianco a fianco, per costruire – in questi ottant’anni – un mondo migliore, partendo dall’Europa. Per avere raggiunto l’approdo della saggezza nella vita internazionale e dell’autentico coraggio. Per essere davvero “grandi”. Perché questo siamo divenuti in questi decenni, abbracciando la causa dell’unità europea.
Abbiamo saputo dar vita a un’area di pace, di libertà, di prosperità, di rispetto dei diritti umani, che non ha precedenti nella storia.
Con la lucidità del coraggio di chi chiedeva di voltare pagina e si adoperava per farlo.
L’Unione Europea, nata dalle rovine della guerra, ha saputo farsi portatrice del multilateralismo al servizio della pace.
È una responsabilità che si accentua oggi. In questa preoccupante congiuntura internazionale.
È un ruolo storico: i precursori perseguirono l’unità quando non esisteva, contro ogni esperienza precedente.
I Paesi europei hanno dimostrato di avere coraggio. I leader europei hanno dimostrato di avere coraggio.
Non lasciamo che, oggi, il sogno europeo – la nostra Unione – venga lacerato da epigoni di tempi bui. Di tempi che hanno lasciato dolore, miseria, desolazione.
Questo dovere ci compete. A ogni generazione il suo compito.
Lo dobbiamo ai caduti che oggi ricordiamo.
Lo dobbiamo ai nomi scritti sulle pietre d’inciampo delle nostre città.
Lo dobbiamo al prezioso lavoro di conservazione della memoria del Volksbund.
Lo dobbiamo, infine, ai nostri giovani, che hanno diritto a un mondo sicuro, diverso e migliore di quello di guerra e dopoguerra.
Signor Presidente Federale,
Signore e Signori Deputati,
con questo spirito, mi sento pienamente partecipe della Giornata del lutto nazionale.
Le ferite del passato dell’umanità non possono essere eliminate, ma da esse deriva l’impegno comune per l’avvenire, per un’azione che assuma come misura l’autentica nostra umanità.
La nostra consegna sia: Mai più. Nie wieder.
(grassetto del redattore CdI)





















