Raccontare storie è una pratica che ognuno di noi conosce bene.

Nell’esperienza personale di ciascuno non sarà difficile rintracciare il momento in cui ci si è trovati a pronunciare o ad ascoltare la classica formula “c’era un volta…” e a seguire le vicende di personaggi più o meno reali, intenti a compiere azioni più o meno possibili.

Se si prova ad allargare un po’ lo sguardo sarà possibile rendersi conto di come continuamente si è in contatto col racconto di storie, entrando nelle nostre vite sotto forma di aneddoti o resoconti. Cos’è che rende questa pratica così diffusa?

La sua popolarità è forse data da un insieme ben combinato di elementi:

• la possibilità di organizzare, attribuire significato e condividere l’esperienza, di utilizzare ciò che Bruner ha definito “pensiero narrativo”, una capacità prettamente umana, che permette di strutturare e dare senso a quanto vissuto, di interpretare il comportamento degli altri e, allo stesso tempo, di condividere e di confrontare le proprie conoscenze nel tessuto culturale d’appartenenza;

• l’opportunità di immedesimarsi nei panni dei protagonisti, soprattutto quando hanno caratteristiche simili a quelle dell’ascoltatore (età, sesso, ecc.), che consente di fare un’esperienza vicaria (protetti cioè dalla realtà virtuale del racconto) dal forte coinvolgimento emotivo.

L’impatto che ha sull’ascoltatore può essere compreso se si pensa che una storia ben raccontata attiva i medesimi percorsi neuronali di una esperienza vissuta;

• la pluralità di livelli di lettura: l’ascoltatore può seguire la trama, con accadimenti ed eventi peculiari e, allo stesso tempo, può tuffarsi nel mondo interiore dei protagonisti, e conoscerne i tormenti, i desideri, le modalità di ricerca di soluzioni delle difficoltà incontrate;

• la sospensione dello scetticismo: nella narrazione i criteri di spazio e tempo, utili per dare oggettività alla storia, non sono ben delineati e sono modellati a servizio della trama. Il criterio che guida la costruzione di una storia non è quindi quello della verità ma piuttosto quello di una sorta di congruenza interna (ad esempio una coerenza nella linea temporale degli eventi) che garantisce una plausibilità a quanto raccontato;

• l’opportunità di apprendimento: le storie rappresentano un vera e propria occasione di conoscenza, offrendo a chi le ascolta informazioni sul mondo e sui significati che altri hanno colto dall’esperienza, dando la possibilità di mettere in discussione, ampliare e diversificare il proprio sistema di credenze;

• l’occasione di crescita personale: riconoscersi nei personaggi permette di avviare una riflessione su di sé, sul proprio mondo interiore, su come alcune circostanze possano far provare determinate emozioni e su come possono essere comunicate.

Può dare inoltre informazioni sull’altro, sulle motivazioni alla base di alcuni comportamenti, andando così a fornire una base per poter costruire una “teoria della mente”;

• il contesto del racconto: l’attività narrativa è necessariamente sociale proprio perché presuppone la presenza di due persone, ovvero un narratore e un ascoltatore. Questa prerogativa è molto importante: implica che ci sia intenzionalità e disponibilità al racconto e dunque la necessità di trasformare il proprio pensiero in qualcosa che sia comprensibile all’altro.

Tale processo, che comporta la riorganizzazione delle proprie idee, dei propri sentimenti ed intenzioni, potrebbe essere di per sé un’esperienza positiva per chi racconta, come del resto lo è coinvolgere qualcuno che, ascoltando, può contenere i propri stati mentali.

Quanto detto sottolinea come questa pratica (specifica modalità interattiva) comporti un forte coinvolgimento emotivo, in un positivo clima affettivo, che predispone le persone in relazione ad una maggiore intimità e al rafforzamento del legame che le unisce.

Gli aspetti ora elencati sono solo alcuni degli ingredienti che aiutano a comprendere come la narrazione possa essere sopravvissuta al passare del tempo e perché sia una pratica continuamente ricercata ed universalmente e trasversalmente presente in ogni cultura e classe sociale.

Si tratta di uno strumento molto forte, dalle molteplici possibilità applicative.

Non sarà dunque necessario chiedersi come mai questa pratica abbia destato l’interesse delle scienze sociali, in particolare della psicologia e della psicoterapia. Attualmente sono diversi gli orientamenti psicoterapeutici interessati all’uso ed al significato delle storie in terapia, al ruolo della narrazione nella costruzione della propria vita, nel dar senso, significato e coerenza alla propria esperienza. Senza perderci nei contributi di ciascun approccio, potrebbe essere utile soffermarci su cosa, come e da chi viene raccontato nella stanza di terapia. Come precedentemente esposto, il racconto di una storia presuppone che ci sia qualcuno che ascolti ed il desiderio da parte del narratore di aprirsi all’altro. Va inoltre precisato che, nell’elaborare la storia, è necessario aver presente chi sarà il destinatario per poter operare delle scelte che ne facilitino la comprensione, come ad esempio il tipo di linguaggio o gli aspetti sui quali poter indugiare e quali trascurare. Le storie che nascono dall’incontro tra terapeuta e paziente non fanno eccezione, anche esse sono il frutto di scelte ben precise e sono influenzate dal contesto in cui vengono raccontate. La specifica relazione che intercorre tra narratore e fruitore contribuisce a dare ulteriori significati a quanto viene detto, come del resto la relazione tra terapeuta e paziente acquisisce delle informazioni aggiuntive in seguito al racconto di quella determinata storia.

Ponendo l’attenzione su come nasce un racconto, è possibile individuare da chi è generata la metafora: in alcuni casi è il paziente a “portare la storia” ed il terapeuta è tenuto a prestare attenzione a come egli si racconta e a non trascurare i possibili piani di lettura; in altri invece è il terapeuta a fare da narratore, ed in questa circostanza lui stesso dovrà scegliere accuratamente la storia, attingendo dal proprio bagaglio personale o creandone una ad hoc.

Affinché questo tipo di intervento risulti efficace, è però necessario che la storia sia costruita su misura per la persona a cui è destinata, o perlomeno adeguatamente calibrata su di essa. Infine, è necessario prendere in considerazione il ruolo del clima che si crea durante la narrazione. L’atmosfera emotivamente carica che si delinea durante un racconto, predispone terapeuta e paziente ad un maggior coinvolgimento emotivo, ad una maggiore intimità, favorendo la ricezione dell’insieme di messaggi di cui la storia è portatrice. L’uso delle metafore in psicoterapia ha, dunque, innumerevoli risvolti applicativi ed in questa sede ne sono stati presi in considerazione solo alcuni.

In conclusione credo sia utile sottolineare che si tratta di uno strumento dall’efficacia e dal fascino indiscussi, perciò utile ad arricchire la “cassetta degli attrezzi” del terapeuta. Nonostante ciò non può essere utilizzato indiscriminatamente: il professionista ha il difficile compito di capire quando è il momento opportuno per calarsi in una nuova narrazione e se il narratore e l’ascoltatore sono pronti per farlo.

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