Una misura pensata per valorizzare l’esperienza dei pensionati e colmare la carenza di manodopera, ma che rischia di trasformarsi in un segnale d’allarme: la vecchiaia come nuovo tempo di lavoro
La nuova proposta del governo tedesco, la cosiddetta “Aktivrente”, promette fino a 2.000 euro al mese esentasse per chi sceglie di continuare a lavorare dopo la pensione. Un’idea che, sulla carta, sembra razionale: affrontare la carenza di manodopera, sostenere la crescita economica e alleggerire il peso sul sistema pensionistico.
Eppure, dietro l’apparente equilibrio di questa misura, si nasconde una realtà molto più complessa – e potenzialmente problematica.
Il governo parla di partecipazione volontaria, ma la verità è che molti anziani lavorano già oggi non per scelta, ma per necessità. Con il costo della vita in crescita, gli affitti alle stelle e pensioni spesso modeste, per molti tedeschi la vecchiaia non coincide più con il riposo, ma con la ricerca di un impiego supplementare.
In questo contesto, la “Aktivrente” rischia di istituzionalizzare una nuova forma di precarietà, normalizzando l’idea che una pensione non basti più per vivere dignitosamente.
C’è poi una contraddizione evidente nel modo in cui il governo presenta il provvedimento. L’obiettivo sarebbe colmare i vuoti di personale in settori come sanità, assistenza, istruzione, artigianato e ristorazione. Ma sono proprio questi i mestieri più logoranti, fisicamente e mentalmente.
Chi, dopo quarant’anni passati in un ospedale, in un cantiere o in una cucina, potrà realisticamente continuare a lavorare anche dopo l’età pensionabile?
La misura finisce così per favorire chi svolge impieghi d’ufficio o meno impegnativi, lasciando fuori chi opera nei settori più carenti di manodopera, cioè quelli che la riforma vorrebbe sostenere.
Un’altra criticità è la disparità di trattamento tra dipendenti e autonomi. Artigiani, agricoltori, liberi professionisti e piccoli imprenditori – spesso i più esposti alla necessità di integrare il reddito – non potranno accedere ai benefici della “Aktivrente”.
Il risultato è un sistema che rischia di ampliare le disuguaglianze già presenti, anziché ridurle.
Dal punto di vista economico, poi, non mancano i rischi. Il Ministero delle Finanze prevede una perdita di gettito fiscale di circa 890 milioni di euro l’anno, confidando che la misura generi nuova crescita e, nel tempo, maggiori entrate. Ma si tratta di una scommessa fragile: se la partecipazione sarà inferiore alle attese o l’impatto macroeconomico limitato, il provvedimento finirà per pesare sui conti pubblici senza portare reali benefici.
La verità è che la “Aktivrente” non affronta le cause strutturali della crisi del lavoro e delle pensioni in Germania: l’invecchiamento demografico, la carenza di giovani qualificati, la rigidità del mercato e la disuguaglianza tra categorie. Più che una riforma, sembra un tampone politico, utile a guadagnare tempo e consenso, ma insufficiente a garantire sostenibilità e giustizia sociale nel lungo periodo.
Certo, per molti pensionati la possibilità di guadagnare qualcosa in più sarà un aiuto concreto, un modo per restare attivi e valorizzare la propria esperienza. Ma se questa misura dovesse trasformarsi da eccezione a regola, rischierebbe di inviare un segnale inquietante: quello di una società che chiede ai propri anziani di restare produttivi non per desiderio, ma per necessità.
L’“Aktivrente” nasce come “pensione attiva”, ma se non accompagnata da una visione più ampia sul futuro del lavoro e del welfare, potrebbe presto somigliare più a una pensione obbligata – un compromesso silenzioso tra giustizia sociale e convenienza economica.