Nella foto: Vendita auto. Foto di ©Tung Lam su Pixabay

Dal 2026 chi vorrà vendere un’auto usata dovrà dimostrarne lo stato con perizie e video: la nuova stretta UE punta al riciclo totale, ma rischia di complicare la vita a milioni di automobilisti

Dal 2026 vendere un’auto usata in Europa sarà più complicato. Al centro della nuova pianificazione europea sugli “End-of-Life Vehicles” (veicoli fuori uso), c’è una misura che obbligherà i venditori a dimostrare, con prove documentate, che l’auto sia ancora funzionante e riparabile. In caso contrario, il veicolo sarà considerato “rottame” e quindi non più vendibile.

Una semplice compravendita tra privati rischia così di trasformarsi in un percorso a ostacoli, con video da girare, certificazioni da ottenere e perizie tecniche da allegare. Il tutto nel nome della circolarità e della lotta agli sprechi: l’obiettivo dichiarato della Commissione europea è ridurre il consumo di materie prime e vietare l’esportazione di veicoli ormai a fine corsa verso Paesi extraeuropei.

Alla base della nuova normativa c’è l’introduzione del cosiddetto passaporto digitale del veicolo, uno strumento che registrerà ogni fase della vita dell’auto: dalla produzione alla rottamazione, passando per ogni cambio di proprietà o incidente. Anche moto, furgoni e camion saranno inclusi.

Per vendere un’auto usata, i privati cittadini dovranno fornire documenti che certifichino il buono stato del veicolo: perizie del TÜV (l’equivalente tedesco della revisione), registrazioni video del motore in funzione e anche la prova che il chilometraggio è autentico. Nel caso di un’auto non marciante, bisognerà dimostrare che è economicamente riparabile: cioè non un rottame privo di valore.

Uno degli obiettivi principali della normativa è impedire che le auto al limite della rottamazione vengano esportate verso Paesi come Kazakistan, Georgia o Nord Africa, dove spesso vengono rimesse su strada in condizioni discutibili. Un fenomeno noto, ma difficile da arginare senza un sistema di tracciamento come quello in arrivo.

Per esportare un veicolo fuori dall’Unione Europea, sarà necessario presentare una documentazione completa sulla sua vita utile, compresa la prova della sua idoneità alla circolazione. Anche le dogane dovranno essere attrezzate per distinguere tra auto usate e “rottami in viaggio”.

La Commissione UE promette “più controllo e meno burocrazia”. Ma è proprio su questo punto che molti osservatori sollevano dubbi. Perché a fronte di obiettivi ambientali e industriali condivisibili, il rischio concreto è un aumento del carico amministrativo per cittadini, venditori, meccanici e autorità locali.

Anche il ministro dei trasporti della Baviera, Christian Bernreiter, ha criticato apertamente il piano: “Così si scaricano nuovi costi sui cittadini e sulle amministrazioni, senza vantaggi reali. Brüssel dovrebbe frenare sulla burocrazia, non premere l’acceleratore”.

La normativa prevede anche nuove regole per i materiali: dal 2026 paraurti e plastiche dovranno contenere almeno il 25% di materiale riciclato, una quota destinata a salire ogni anno. Secondo la Commissione, questo creerà fino a 22.000 nuovi posti di lavoro nel settore del riciclo. Il rincaro stimato per i veicoli nuovi? Solo 39 euro per unità, dicono da Bruxelles.

Ma il problema non è solo per chi compra nuovo. Il mercato dell’usato rischia rincari e rallentamenti, mentre vendere un’auto tra privati – oggi semplice in molti Paesi – potrebbe diventare un’impresa.

Dal 2026 chi vorrà vendere un’auto usata dovrà fornire prove tecniche e documenti video che ne certifichino la funzionalità.

L’obiettivo è ridurre l’export di veicoli a fine vita e aumentare il riciclo dei materiali.

Prevista l’introduzione di un “passaporto digitale” per ogni veicolo.

Rischio burocrazia per i cittadini e incertezza per il mercato dell’usato.

Quella della Commissione europea è una visione ambiziosa, che punta a rendere l’economia dell’auto davvero circolare. Ma tra le buone intenzioni e la realtà ci sono cittadini, artigiani e piccoli venditori che rischiano di dover fare i conti con nuove complessità. Se non accompagnata da strumenti pratici, semplificazioni reali e tempi adeguati, questa svolta potrebbe creare più problemi che soluzioni.