Nella foto: Incontro di Rete donne e.V. a Dortmund. Foto di ©Retedonne

In Germania, come altrove, la violenza di genere è una realtà purtroppo quotidiana, spesso taciuta o invisibile. Anche molte donne italiane che vivono all’estero, lontane dai propri affetti e dalle reti di sostegno, ne sono vittime. Proprio per rispondere a questa urgenza nasce Non sei sola, la piattaforma ideata da ReteDonne e.V. – Coordinamento donne italiane all’estero. Intervista a Luciana Mella, responsabile del progetto Non sei sola e presidente di ReteDonne e.V., che ci racconta come è nata questa iniziativa, quali sono gli strumenti offerti e cosa possiamo fare concretamente per sostenere le donne italiane vittime di violenza in Germania. https://nonseisola.de/

Come è nata l’idea della piattaforma Non sei sola? Qual è stato l’elemento che ha fatto scattare la decisione di realizzarla?

L’idea nasce da due riflessioni che si sono incrociate tra di loro. Da una parte la considerazione che in Germania si parli pubblicamente ancora troppo poco di femminicidi e di violenza di genere. Come se questi fenomeni non esistessero, o fossero marginali. Mentre, purtroppo, i dati tedeschi non si discostano da quelli italiani: quasi ogni giorno una donna viene uccisa da un uomo. E le violenze tra le mura di casa, sia fisiche sia psicologiche, sono in costante aumento. Dall’altro lato ci siamo rese conto che questo “silenzio” riguarda anche le donne italiane che vivono qui. Anche loro subiscono violenze, soprattutto in ambito famigliare, ma raramente ne parlano. Barriere culturali e linguistiche producono più solitudine e paure di quanto possiamo immaginarci. Da qui l’idea di uno strumento, facile da consultare sul proprio cellulare, per individuare strutture dove rivolgersi in lingua italiana.

So che il progetto è stato lanciato simbolicamente intorno alla Giornata internazionale della donna, lo scorso marzo. Quanto è stato importante legarlo a quella data e come è stato accolto inizialmente?

Abbiamo lanciato la piattaforma in coincidenza dell’otto marzo proprio per sottolineare che la giornata non deve restare una data celebrativa: le mimose e i fiori non fermano le violenze. Il 10 marzo, inoltre, a Berlino, in occasione della IV edizione del ciclo “Italiane in Germania. Donne e salute”, promosso dall’ Ambasciata d’Italia a Berlino, abbiamo avuto l’opportunità di presentare ufficialmente il progetto. Credo sia importante sottolineare l’attenzione che l’Ufficio Affari Sociali dell’Ambasciata, e lo stesso Ambasciatore Fabrizio Bucci, ci hanno dedicato. Ci hanno infatti indicato di inserire nella piattaforma “nonseisola.de” le sedi dei Consolati italiani in Germania quali punti di riferimento per donne che hanno subito violenze.

Come funziona la cartina interattiva sul sito e quali risorse in lingua italiana offre alle donne che cercano aiuto?

La cartina è abbastanza intuitiva. Quando la si apre si visualizzano immediatamente tutti gli sportelli disseminati sul territorio tedesco a disposizione per accogliere fisicamente, o telefonicamente, le donne. Si usa come una qualsiasi applicazione di navigazione. Attualmente gli sportelli in lingua italiana sono 54, a cui si aggiungono altre 46 strutture nelle quali, accanto al tedesco, si parlano anche inglese o altre lingue.

Quali sono, secondo te, le principali difficoltà che incontrano le donne italiane in Germania quando subiscono violenza domestica?

La prima difficoltà, che purtroppo è comune alle donne di tutto il mondo, è quella di essere consapevoli che si sta subendo una violenza. Un marito, o un compagno, che ci prendono a schiaffi, se non peggio, non hanno nessuna giustificazione. Non dobbiamo considerarli come raptus, o momenti in cui loro hanno “perso la pazienza, tanto poi gli passerà e non lo farà più”. Così come non dobbiamo accettare di essere continuamente insultate, denigrate, sminuite o costrette a restare isolate, o a non poterci rendere economicamente indipendenti. A questa prima barriera si aggiunge il timore di non saper raccontare in tedesco quello che ci è successo, di non riuscire a trovare le parole giuste, di doverci confidare con persone che non ci capiscono. Denunciare una violenza è già molto difficile farlo nella propria lingua madre; lo diventa ancora di più se ci dobbiamo esprimere in una lingua che, magari, conosciamo poco o per nulla. Non dimentichiamoci poi che affrontare una situazione emotivamente e fisicamente dolorosa, senza poter abbracciare qualcuno, o senza avere una persona che ci tenga la mano, non è per nulla facile. E, in molti casi, le amiche del cuore o i famigliari che potrebbero sostenerci, vivono a mille chilometri di distanza.

Avete già riscontrato dei casi concreti in cui la piattaforma è riuscita ad aiutare una donna in difficoltà?

Ad oggi abbiamo avuto solo un paio di segnalazioni di donne che si sono rivolte agli sportelli segnalati e che sono state poi indirizzate ad altre strutture in grado di aiutarle concretamente. Da un lato ci piacerebbe dire che, forse, è meglio così. Anche se sappiamo che la realtà è purtroppo un’altra.

Come speri che Non sei sola cresca nei prossimi mesi? Avete già in mente altri strumenti o sviluppi futuri?

Nei prossimi mesi contatteremo associazioni italiane, gruppi o singoli che ancora non abbiamo raggiunto, per chiedere la loro adesione e un aiuto concreto per far conoscere la piattaforma. Proveremo anche a ricontattare i soggetti che ancora non hanno risposto al nostro primo appello. Cercheremo di entrare in contatto con le istituzioni tedesche, a diversi livelli, non solo perché anche loro diffondano l’informazione, ma anche per provare ad ampliare i punti di ascolto. Partendo poi dall’idea che “prevenire è meglio che curare”, insieme all’associazione ItalienVerein di Dortmund, abbiamo avviato nel Nordreno-Vestfalia, il progetto “Empower Parents: Kindererziehung ohne Maskulinismus”. L’idea è quella di sensibilizzare genitori con origini migratorie ad una educazione paritaria dei figli, che riesca a mettere in discussione e a soppiantare il modello patriarcale. Che sappiamo bene essere alla base delle tante forme di violenze di genere.

Cosa potrebbero fare, secondo te, le istituzioni tedesche per supportare meglio le donne straniere vittime di violenza?

Intanto le istituzioni tedesche dovrebbero destinare più soldi, più investimenti e fornire maggiore supporto a chi se ne occupa quotidianamente. La tendenza va, invece, esattamente nella direzione opposta. Mentre in Germania aumentano i casi di violenza di genere, le organizzazioni della società civile che si occupano di donne in emigrazione, come ad esempio DaMigra, si trovano ad affrontare tagli finanziari che mettono a rischio la loro stessa esistenza. Andrebbe poi rafforzato l’aspetto informativo: le donne devono sapere a chi si possono rivolgere, quali sono i loro diritti e di quali servizi possono usufruire se hanno subito un qualsiasi tipo di violenza. Le informazioni devono essere disponibili in tutte le lingue rilevanti, italiano compreso, così come nel linguaggio semplificato e in formati accessibili alle persone con disabilità. L’altro aspetto, altrettanto importante, è quello della carenza di strutture di accoglienza delle donne che hanno subito violenze. Sappiamo che in Germania attualmente (fonte: Statista, 25.11.2024) sono presenti e operative circa 400 case di accoglienza per le donne maltrattate, Frauenhäuser. I posti disponibili sono 7.700. Stando alla Convenzione di Istanbul ce ne vorrebbero invece almeno 21.000. Vorrei ricordare che la Germania ha firmato la Convenzione nel 2011 e che l’accordo, ratificato, è entrato in vigore il 1º febbraio 2018. In queste strutture, va poi sottolineato, il 69% delle donne ospitate non è nato in Germania. C’è quindi molto lavoro da fare.

E infine: come possiamo – noi che ti seguiamo e condividiamo questo impegno – sostenervi concretamente?

Credo che darci l’opportunità di presentare e diffondere la piattaforma nonseisola.de sia già un grande aiuto. Più donne ne vengono a conoscenza, più donne possono avere la possibilità di provare ad uscire da una situazione di violenza, incoraggiate dal fatto di poter parlare in italiano. Approfitto di questo spazio per ricordare alle lettrici e ai lettori del Corriere d’Italia che l’attività di ReteDonne e.V. si basa esclusivamente sul lavoro di volontariato e sull’autofinanziamento. Anche una piccola donazione può esserci d’aiuto per sostenere i nostri progetti e le nostre iniziative. Queste le nostre coordinate bancarie:

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