Il ricordo di un giornalista che sfidò la camorra
Sono trascorsi quarant’anni da quel tragico 23 settembre 1985, quando Giancarlo Siani, giovane e coraggioso giornalista napoletano, venne ucciso dalla camorra a soli 26 anni. Un anniversario che rappresenta non solo un momento di commemorazione, ma anche un richiamo al valore del giornalismo d’inchiesta e alla lotta contro le mafie.
Giancarlo Siani lavorava per il quotidiano Il Mattino, e la sua penna era al servizio della verità, indagando senza paura sugli intrecci tra politica, criminalità organizzata e poteri locali. Attraverso i suoi articoli, Siani svelava i meccanismi nascosti della camorra a Napoli, soprattutto nel quartiere di Pianura, mettendo a rischio la propria vita per informare i cittadini e denunciare corruzione e violenza. Le sue inchieste scavavano sempre più in profondità. Siani con un suo articolo pubblicato il 10 giugno 1985 accusò il clan Nuvoletta (alleato dei Corleonesi di Totò Riina) e il clan Bardellino, esponenti della „Nuova Famiglia“, di voler spodestare il boss Valentino Gionta, ormai troppo scomodo e prepotente. Ma le rivelazioni, ottenute da Siani grazie a un suo amico carabiniere, indussero la camorra a sbarazzarsi di questo giovane giornalista.
Un giovane coraggioso e determinato
Chi lo conosceva racconta di un ragazzo semplice, dotato di una curiosità insaziabile e di un forte senso della giustizia. “Puoi cadere migliaia di volte nella vita, ma se sei realmente libero nei pensieri, nel cuore e se possiedi l’animo del saggio potrai cadere anche infinite volte nel percorso della tua vita, ma non lo farai mai in ginocchio, sempre in piedi”, scriveva proprio Siani, parole che ricordano altri eroi di quei tempi, soprattutto Giovanni Falcone e Rosario Livatino, due giudici uccisi dalla mafia e che hanno fatto della libertà un atto di dovere. E proprio come Livatino, anche Siani, nonostante le minacce ricevute, non volle mai assumere una scorta né cambiare abitudini, convinto che il suo lavoro doveva continuare senza compromessi. Molti raccontano che Siani amava Napoli e il suo quartiere e spesso si fermava a parlare con gli abitanti, cercando di capire la realtà che raccontava.
Il mandante dell’omicidio
Ci sono voluti innumerevoli processi per arrivare ad avere qualche stralcio di verità. Per l’assassinio di Siani sono stati condannati i mandanti Lorenzo Nuvoletta e Luigi Braccante e gli esecutori – Ciro Cappucci e Armando Del Core. Però, quella verità processuale, non ha smentito che dietro l’omicidio si nascondesse altro. Infatti, lo stesso PM Armando D’Alterio, il sostituto alla Direzione distrettuale antimafia di Napoli che nel 1994 riaprì le indagini sul caso, ha dichiarato l’articolo del 10 giugno 1985 fu soltanto la causa scatenante dell’omicidio.
Il sacrificio per la verità
La memoria di Giancarlo Siani non si è mai spenta. Il suo sacrificio continua a ispirare chiunque creda nel valore della verità e della giustizia, dimostrando che anche un giovane cronista, con la forza delle sue idee e delle sue parole, può cambiare le cose.
Il suo testamento morale si può riassumere con una sua frase, ormai divenuta celebre: “La criminalità, la corruzione non si combattono soltanto con i carabinieri. Le persone per scegliere devono sapere, devono conoscere i fatti. È allora quello che un giornalista ‚giornalista‘ dovrebbe fare è questo: informare”. Giancarlo Siani, in realtà, vive nel coraggio di chi osa raccontare la realtà anche quando questa fa paura.