Si chiama Confsal-Unsa e sta per Confederazione dei Sindacati Autonomi dei Lavoratori, mentre UNSA sta per Unione Nazionale Sindacati Autonomi e il tre 3 ottobre 2025 non ha chiamato i propri iscritti al grande sciopero contro la politica italiana verso la guerra nella Striscia di Gaza e per la solidarietà con il popolo palestinese.

Sciopero politico, quindi, indetto da vari sindacati, in capo a tutti La CGIL seguita da USB, Cib Unicobas, SGB e CUB.

Cacio sui maccheroni per organizzazioni sindacali che, tradizionalmente e ideologicamente, con i partiti al governo hanno scarsissima identificazione?

Facciamo però una premessa, prima di ragionare se sia giusto o no da parte di un sindacato chiamare ufficialmente i propri iscritti a schierarsi pro o contro partiti politici che formano un governo.

Lo sciopero generale è certamente legittimo e spesso efficace. Lo insegna la storia. Chi non ricorda lo sciopero generale in Polonia ai tempi di Lech Walesa con il suo sindacato Solidarnosc? Fu l’inizio della caduta di un intero sistema politico, la prima crepa che finì con il crollo del muro di Berlino. Ad onore del vero, insieme al coraggio dei lavoratori dei cantieri di Danzica, capeggiati dal futuro Presidente della Polonia Walesa, bisogna ricordare anche i milioni di dollari che dal Vaticano arrivarono a Varsavia per sostenere la lotta e lasciamo poi stare da dove venivano quei milioni maneggiati da un certo Marcinkus molto noto alla Giustizia italiana.

Affermiamo semplicemente che lo sciopero politico è legittimo, talvolta giusto e di tanto in tanto anche efficace.

Ma se un sindacato decide di non indirizzare i propri iscritti, e sotto la propria sigla, alla mobilitazione politico-partitica è per questo un sindacato inerme e poco sensibile alla questione, in questo caso, umanitaria in Palestina?

Conosco benissimo quel Sindacato, ne conservo ancora la tessera tra le cose più care. E la cosa che maggiormente ho ammirato in tanti anni di lotta per la difesa dei lavoratori, all’interno del MAECI e sparsi per il mondo nella rete consolare, era proprio la parola “autonomia” scritta a lettere cubitali sulla propria bandiera.

E cosa s’intende per autonomia? Coltivare l’orticello per gustare autonomamente i pomodorini d’estate o accendere il fuocherello per rendersi autonomi dalle grandi multinazionali del gas o del petrolio?    

No di certo. Per autonomia si intende libertà e indipendenza da correnti e partiti politici, proprio mentre i grandi e storici sindacati legavano i propri interessi a quelli dei partiti (CGIL uguale filocomunisti, UIL uguale filosocialisti CISL uguale filodemocristiani) fino ad entrare in conflitto tra opportunità partitica e interessi dei lavoratori.

Vi assicuro che all’interno della Confsal-Unsa ho incontrato iscritti a quel sindacato convinti che Giorgia Meloni sia come la Madonna di Lourdes capace, cioè, di lenire i mali del mondo e ho incontrato iscritti che tutte le sere si leggono e si rileggono il Capitale di Carlo Marx. Quello che ci univa e ci unisce? L’incredibile capacità di pragmatica concentrazione sui problemi e sulle difficoltà sul posto di lavoro.

Vi assicuro che il tre ottobre, nelle piazze di quasi cento città italiane e in mezzo a più di due milioni di persone, c’erano anche quelli della Confsal-Unsa Esteri per dare forza alla giusta espressione di un’indignazione popolare. Sì, ma senza la bandiera del Sindacato! Certo, senza la bandiera del Sindacato giacché in quel sindacato non si danno ordini di squadra e in quel Sindacato è rispettata l’opinione politica di ogni iscritto che, come il, voto, è personale e segreta.