Intervento di Alessandro Bellardita al Convegno di Acli Germania e Delegazione MCI Germania “Frontiere in movimento”

Proprio nel 1955, 70 anni fa, nasceva a Rosolini – in Sicilia – mio padre. Lo stesso giorno, il 21 giugno di quell’anno, nasceva anche Michel Platini, il “francese” che agli inizi degli anni 80 faceva impazzire gli appassionati di calcio. Platini, a differenza di mio padre, non nacque in Italia, ma casualmente a Jeuf, in Lorena, da genitori italiani, emigrati in Francia.
A compiere, quest’anno, come mio padre, 70 anni è un trattato: l’accordo tra l’Italia di Segni e la Germania ovest di Adenauer. Un trattato trascurato dalla Storia, ma che ci riguarda tutti: se per il mondo della politica l’Europa inizia con i trattati di Roma nel 1957/58, per noi lavoratori, emigrati, figli di emigrati, la Storia dell’integrazione europea inizia proprio in quell’anno 1955.
Infatti quel trattato si rivelerà fondamentale per la vita di milioni di italiani che verranno in Germania: se non ci fosse stato quell’accordo, mio nonno, padre di mio padre, non avrebbe preso un giorno – nel lontano 1967 – il treno che lo portava dalla stazione di Siracusa fino a Karlsruhe – passando da Napoli, Roma e Verona. E anche mio nonno Vincenzo, padre di mia madre, intraprese lo stesso viaggio lo stesso anno.
Quei viaggi sono entrati nell’oblio della Storia. Ecco perché le celebrazioni che commemorano il trattato del 1955 sono spesso ripetitive e pletoriche: si parla molto, ma spesso si finisce per dire niente. E la Storia raccontata sembra essere chiara: la Germania ovest, post-nazista, quella fondata sulla nuova Costituzione democratica nel maggio 1949, aveva “urgentemente” bisogno di manodopera, braccia vigorose, forti e robuste, che fossero disposte a ricostruire ciò che la seconda guerra mondiale aveva raso al suolo. Insomma, trasformare le macerie in infrastrutture.
Questa forma di narrazione sembra riecheggiare anche dai libri di Storia, ma dietro alle palesi esigenze da parte del dell’economia tedesca si celano alcuni particolari: non è un caso se due anni prima del 1955, il governo della Germania est trasformò 1353 km di confine con la Germania ovest in filo spinato, con tanto di torrette di osservazione e campi minati. E non è un caso se soltanto sei anni dopo il trattato italo-tedesco, nell’agosto del 61, a Berlino, si alzerà in pochi giorni un muro che sancirà la chiusura dell’ultimo varco tra le “due Germanie”. Se fino al 1953 oltre due milioni di tedeschi della Germania dell’est avevano attraversato il confine per trasferirsi definitivamente in quella occidentale, il muro mise fine a quell’ondata di “DDR-Flüchtlinge” e, dunque, di forza lavoro che giungeva nelle fabbriche dell’ovest.
Dunque, la ratificazione di quel trattato con l’Italia e di tutti quelli che lo seguirono (Turchia, ex Jugoslavia, Spagna, Portogallo, Marocco, Grecia, Sud-Corea e Tunisia) era solo un modo per far fronte alla imminente – perché in qualche modo dai servizi segreti preannunciata e definitiva – soppressione dell’ondata di emigrazione di tedeschi che venivano dall’est. I numeri, infatti, confutano la tesi del boom economico: nel 1955 la disoccupazione nella Germania dell’ovest era circa al 7,5 per cento, dunque più alta rispetto ad oggi; un dato che non sembra rilevare una così forte ripresa economica.
La cruda verità era che la forza-lavoro dall’Italia faceva comodo: i giornali dell’ovest alla fine degli anni 50 parlano spesso del fatto che un vantaggio non trascurabile dell’immigrazione dall’Italia consisteva nel poter evitare la costruzione di nuove abitazioni per i tedeschi del nord e dell’est, visto che i “Gastarbeiter”, dunque anche i miei nonni, sarebbero stati sistemati in magazzini, baracche, vecchi Arbeitslager abbandonati.
Mio nonno paterno tornò a casa sua per sempre, ma non era una sua intenzione. Dopo tanti anni trascorsi a lavorare in fabbrica a Karlsruhe fu stroncato da un infarto a soli 47 anni, proprio in Sicilia, il giorno dopo il matrimonio di sua figlia. Mio nonno materno, invece, tornò, dopo un incidente sul lavoro che lo costrinse a trascinare per il resto della sua vita una gamba. A Pachino, la cittadina più a sud dell’Italia, vendeva terreni, faceva il sensale. Sono gli stessi terreni che oggi fanno nascere il famoso ciliegino di Pachino.
La Storia di questi nonni e nonne è una Storia europea, come fu europeo il meritato trionfo di Platini nell’Europeo 1984. L’unica vera Europa, infatti, è quella che un italiano vive ogni giorno in Germania, quella di un portoghese in Francia oppure quella di un tedesco in Spagna. Siamo tutti europei in quanto viviamo l’Europa, respiriamo l’aria di un altro paese europeo, conosciamo le strade di un’altra città europea, forse anche meglio delle stradine e viuzze dei nostri paesini in Italia. E cosa sarebbe l’Europa se tutti fossimo “a casa nostra”, nella nostra “patria”? Una sorte di mostro burocratico senz’anima, probabilmente.



























