Nessuno se lo aspettava. Quando giovedi dalla Cappella Sistina si è alzato il fumo bianco e il cardinale protodiacono ha pronunciato il celebre “Habemus Papam”, il nome annunciato ha colto tutti di sorpresa: “eminentissimo e reverendissimo signor Robert Francis, Cardinale Prevost, della Santa Romana Chiesa, che ha preso per sé il nome di Leone XIV.”
Questo dunque il nome del nuovo Papa: Leone XIV in omaggio a San Leone Magno, pontefice del V secolo noto per la difesa dell’unità della Chiesa e la fermezza contro le divisioni interne. Una scelta inaspettata, che ha rotto gli schemi e spiazzato i pronostici dei vaticanisti. Il Conclave ha scelto infatti un uomo che fino all’ultimo non era considerato tra i “papabili”.
Chiamato a guidare la Chiesa nel terzo millennio, la sua elezione al soglio petrino rappresenta un evento storico che unisce esperienze americane e latinoamericane, incarnando una Chiesa missionaria e inclusiva. Nato a Chicago nel 1955 da una famiglia di origini francesi, italiane e spagnole, Robert Francis Prevost ha vissuto infatti fin da giovane la ricchezza e le sfide dell’identità multiculturale. Dopo aver preso i voti nell’Ordine di Sant’Agostino, ha svolto gran parte della sua missione in Perù, dove ha servito come missionario, docente e poi
vescovo di Chiclayo. Uomo di studio e d’azione, teologo e pastore, ha sempre mostrato una profonda attenzione per i poveri, i migranti e le periferie del mondo.
Il suo trasferimento a Roma come Prefetto del Dicastero per i Vescovi nel 2023 sembrava segnare il culmine di una carriera ecclesiale esemplare. Ma nessuno immaginava che, solo due anni dopo, sarebbe diventato il primo Papa americano della storia. Quando si è affacciato alla Loggia delle Benedizioni, il suo volto parlava più delle parole. Lo sguardo umile e colmo di stupore, le mani giunte come in preghiera, il
tono pacato ma fermo, la voce un po’ rotta dall’emozione, hanno trasformato quel primo saluto in un momento quasi liturgico, che ha coinvolto non solo i fedeli presenti, ma milioni di persone collegate in tutto il mondo.
Le sue prime parole rivolte al mondo, sono state: “La pace sia con voi.” Questo semplice saluto non è casuale: è la stessa frase con cui, secondo i Vangeli, Gesù Risorto appare ai suoi discepoli dopo la resurrezione (Gv. 20, 19). È un saluto che contiene consolazione, incoraggiamento e riconciliazione. Non si tratta solo di augurare tranquillità, ma di donare una pace profonda, interiore, che viene da
Dio e non dal mondo. E Papa Leone XIV, nel pronunciarla come prima frase, ha voluto porre Cristo al centro del suo pontificato fin dal primo momento, indicando la direzione spirituale: una Chiesa che non domina, ma benedice; non impone, ma consola; non divide, ma riconcilia.
“Questa è la pace di Cristo, una pace disarmata e disarmante”, ha poi aggiunto con voce emozionata. Queste parole, rivolte non solo ai cattolici ma all’intera umanità, in un tempo segnato da guerre, divisioni sociali, crisi ambientali e isolamento spirituale, sono un manifesto spirituale. Il messaggio di Papa Leone è dunque, dal mio punto di vista, un messaggio di apertura, di comunione, di missione universale.
Nel resto del breve discorso, il Papa ha parlato poi di una Chiesa che costruisce ponti, che non alza muri, che esce verso le periferie, che abbraccia tutti senza distinzioni. Una Chiesa che non ha paura del mondo, ma che lo ama e lo serve. Una Chiesa chiamata a scendere nelle strade dell’umanità per portare la luce del Vangelo. Queste parole del nuovo Papa credo che non siano solo belle intenzioni ma
sono una sfida, un programma di rinnovamento e apertura che non può lasciarci indifferenti. E per noi comunità cattoliche italiane che viviamo in Germania, queste parole hanno una risonanza particolare. Spesso ci sentiamo lontani, frammentati, a cavallo tra due culture, tra una patria lasciata e una nuova patria da costruire. E allora mi piace pensare che le parole del Papa sono arrivate come un abbraccio anche per chi come noi vive all’estero, come se ci stesse dicendo: “Anche voi siete parte viva della Chiesa. Anche a voi giunge questa pace.” Perché Papa Leone XIV conosce bene cosa significhi vivere da straniero. Cresciuto negli Stati Uniti in una famiglia di origini miste e poi missionario in Perù per quasi trent’anni, ha condiviso la vita concreta dei migranti, la fatica dell’integrazione, la bellezza di comunità miste, la ricchezza della fede che si incarna in culture diverse. Questo suo background migratorio lo rende particolarmente vicino a noi, che viviamo la fede in un contesto non sempre facile, tra lingue diverse, tradizioni che si perdono e figli che spesso si allontanano dalla Chiesa. Il fatto che il nuovo Papa venga da un’esperienza migratoria simile alla nostra rappresenta per noi profonda consolazione e speranza. Lui conosce le nostre fatiche, parla la nostra lingua – non solo quella italiana, ma quella del cuore di chi vive tra due mondi. Da lui ci aspettiamo una Chiesa che ci ascolti, che ci accompagni, che riconosca il valore e la ricchezza delle comunità cattoliche all’estero. Ci aspettiamo attenzione, comprensione e soprattutto guida spirituale, perché spesso vivere la fede lontano da casa è più difficile ma anche più autentico.
La figura di Papa Leone XIV è simbolo di una Chiesa che torna a stupire, che parla al cuore, che riaccende speranze. Un pontificato che si annuncia profondo e rivoluzionario sin dall’inizio. Il suo volto, segnato dall’umiltà e dalla commozione, ci ricorda che la santità non è spettacolare. È fatta di piccole scelte quotidiane, di cura per gli altri, di parole giuste dette al momento giusto.
In un mondo ferito da guerre, divisioni e indifferenza, le sue prime parole sono sembrate come un balsamo: “La pace sia con voi”. Una benedizione da portare nel cuore. E noi, da lontano, con gli occhi lucidi e il cuore colmo, rispondiamo: “E con il tuo spirito”. Che il suo pontificato sia davvero l’inizio di un tempo nuovo, in cui la fede unisce, guarisce e illumina le strade del mondo.
*Delegato nazionale MCI Germania