Nella foto: I membri del Cgie con al centro il Ministro Antonio Tajani. Foto di ©Cgie

Approvate sei proposte per correggere la riforma sulla cittadinanza. Focus su sicurezza del voto e potenziamento della rete consolare

A Roma, nella Sala Polifunzionale della Presidenza del Consiglio, si è svolta l’assemblea plenaria del Consiglio Generale degli Italiani all’Estero (CGIE), l’organo istituzionale che rappresenta le comunità italiane sparse nel mondo. L’incontro è arrivato in un momento delicato, segnato da importanti cambiamenti legislativi e da aspettative molto alte da parte dei circa 7,2 milioni di italiani residenti all’estero, che chiedono risposte concrete e tutele reali.

L’assemblea ha offerto un quadro schietto e, in diversi passaggi, critico del rapporto tra lo Stato italiano e i suoi cittadini oltreconfine. Al centro del confronto non c’erano soltanto i singoli aspetti tecnici — come la gestione del voto per corrispondenza o dei servizi consolari — ma una questione più profonda e strutturale: il riconoscimento dell’identità italiana al di fuori del territorio nazionale e il rispetto dovuto a chi continua a sentirsi parte di questa comunità anche lontano dall’Italia.

Le testimonianze dei consiglieri provenienti da realtà molto diverse — dalla Svizzera all’Argentina, dal Brasile all’Australia — hanno dipinto un’immagine di comunità vive e attive, orgogliose della propria origine italiana. Comunità che non si riconoscono in un semplice passaporto, ma in un legame culturale fatto di lingua, tradizioni, ricordi familiari, valori trasmessi di generazione in generazione. Queste persone chiedono rispetto e dialogo, non favori o concessioni occasionali. Vogliono poter trasmettere ai figli e ai nipoti un senso di appartenenza che, nonostante le difficoltà, è rimasto forte nel tempo.

Tuttavia, l’attuale scenario legislativo rischia di minare questo legame. La nuova legge sulla cittadinanza, approvata dal Parlamento, limita la trasmissibilità della cittadinanza iure sanguinis e introduce vincoli più severi per i discendenti e per chi possiede la doppia cittadinanza. Questi cambiamenti sono stati fortemente contestati durante l’assemblea, perché rischiano di creare divisioni all’interno delle famiglie e di cancellare diritti conquistati con anni di lotte e battaglie civili.

Il Governo ha motivato la riforma con la necessità di porre fine a situazioni irregolari e a distorsioni, soprattutto in alcune realtà del Sudamerica, e di rafforzare un legame “effettivo” con l’Italia. Ma molti consiglieri hanno sottolineato come, invece, la legge rischi di penalizzare proprio chi, da decenni, mantiene vivo quel legame, e di escludere troppi discendenti, alimentando così un senso di esclusione e di abbandono.

Al termine il CGIE ha approvato sei punti chiave da proporre al Governo per modificare la legge sulla cittadinanza, correggendo quegli aspetti che rischiano di allontanare le comunità italiane nel mondo invece di avvicinarle.

I sei punti approvati dal CGIE per migliorare la riforma sulla cittadinanza:

1. Eliminare i limiti alla trasmissione della cittadinanza per chi è già cittadino italiano.

2. Eliminare le limitazioni per i doppi cittadini.

3. Eliminare scadenze per il riacquisto della cittadinanza.

4. Riconoscere il legame culturale e linguistico per il riconoscimento della cittadinanza.

5. Tutelare i diritti di chi era già in lista d’attesa nei consolati al 27 marzo 2025.

6. Richiedere dati trasparenti sul riconoscimento della cittadinanza (2014-2025).

Il Presidente della Repubblica Mattarella ha invitato esplicitamente ad ascoltare queste richieste, aprendo una finestra per un possibile miglioramento.

Servizi consolari: innovazione e prossimità

Importanti novità anche per i servizi consolari. La rete sta accelerando la digitalizzazione: entro il 2025, la Carta d’Identità Elettronica sarà disponibile in tutte le sedi, comprese quelle extra UE.
Sono aumentati anche i passaporti emessi (+3% nell’ultimo anno), mentre il portale Fast It consente ora di ottenere servizi online certificati.
Inoltre, cresce la rete dei Consoli onorari e il servizio dei funzionari itineranti, che porta i servizi consolari nelle comunità più distanti.

Il voto all’estero: sicurezza e trasparenza

Un altro tema importante è stato quello del voto all’estero, la cui gestione è ancora fragile. Pur riconoscendo l’importanza del voto per corrispondenza nel dare voce a milioni di connazionali, esperti ed eletti all’estero hanno evidenziato i rischi di brogli e disfunzioni. Si è proposto di sviluppare un sistema misto: voto in seggio nei consolati dove possibile e voto per corrispondenza rafforzato per chi vive in aree remote. La plenaria ha bocciato l’ipotesi del voto elettronico, giudicato ancora non sicuro. Il CGIE ha inoltre chiesto più trasparenza nei flussi delle schede e nell’aggiornamento delle liste elettorali.

Più tutele per i connazionali

L’assemblea ha fatto il punto anche su previdenza e assistenza: cresce la collaborazione MAECI-INPS per educazione previdenziale, mentre nel 2024 oltre 2000 italiani in difficoltà all’estero sono stati assistiti, tra cui detenuti, minori contesi e persone bisognose di rimpatrio.
Ancora in sospeso, però, il tema della perequazione delle pensioni estere.

Turismo delle radici: un successo crescente

Grande entusiasmo per il progetto Italea, che promuove il turismo delle radici: nel 2024 ben 150.000 persone hanno visitato i borghi dei propri antenati, portando sviluppo e promuovendo l’italianità.

Il CGIE: più trasparenza e più voce

La Segretaria Generale Prodi ha ribadito che il CGIE vuole avere un ruolo più incisivo e trasparente, rivendicando il diritto a essere consultato formalmente dal Governo sulle politiche per gli italiani all’estero.
È stato chiesto anche di rilanciare la Conferenza Stato-Regioni-CGIE, ferma dal 2021.

Il dibattito in plenaria ha messo in luce non solo divergenze tecniche, ma una vera e propria frattura politica e culturale tra il Governo e larga parte della rappresentanza degli italiani all’estero.

Molti consiglieri CGIE e parlamentari eletti all’estero hanno criticato duramente il metodo con cui è stata varata la riforma della cittadinanza: senza un adeguato coinvolgimento del CGIE, dei Comites e degli stessi eletti all’estero. La percezione diffusa è che siano state prese decisioni “calate dall’alto” e basate su una visione burocratica e ristretta dell’italianità, lontana dall’esperienza concreta delle comunità nel mondo.

“Abbiamo lavorato 50 anni per i nostri diritti e in 5 minuti li abbiamo persi”, ha denunciato il consigliere Antonio Morello (Argentina), raccogliendo l’amarezza di molte voci intervenute. Altri hanno parlato di “cittadini di serie B”, di “famiglie divise”, di una norma che rischia di “criminalizzare la doppia cittadinanza” e di trasformare la cittadinanza italiana in un privilegio sempre più esclusivo, piuttosto che un diritto legato a un’appartenenza culturale viva.

Più di un consigliere ha sottolineato che la legge, così com’è, va nella direzione opposta a quella di un’Italia aperta, che valorizzi la sua diaspora come una risorsa globale. In un mondo sempre più interconnesso, chi vive e lavora all’estero è spesso un ambasciatore naturale della cultura, della lingua e dei prodotti italiani. Restringere l’accesso alla cittadinanza e creare nuovi ostacoli burocratici rischia di compromettere proprio questi legami, già messi alla prova da anni di disfunzioni consolari e lentezze amministrative.

Molti consiglieri, inoltre, hanno espresso preoccupazione per il clima politico generale: l’impressione che le comunità italiane all’estero vengano sempre più viste con sospetto, come se rappresentassero un “rischio per la sicurezza nazionale”, piuttosto che un patrimonio da valorizzare.

Al netto degli impegni annunciati dal sottosegretario Silli e delle aperture del Presidente Mattarella, resta la sensazione di un dialogo ancora fragile. Le comunità all’estero chiedono con forza di essere riconosciute come parte integrante dell’Italia del presente e del futuro — non solo in occasione di campagne elettorali o eventi celebrativi, ma come interlocutori permanenti, rispettati e ascoltati.

Come ha ammonito Carmelo Vaccaro (Svizzera), “la cittadinanza non è una semplice formalità burocratica, è il legame formale che sancisce quello che già siamo nel cuore. Non è una concessione, ma un patto di appartenenza”.

Se l’Italia non saprà cogliere questo appello e costruire un rapporto più maturo con i suoi cittadini all’estero, rischia di perdere un’occasione storica: quella di diventare davvero una nazione globale, capace di fare leva sulla ricchezza della sua diaspora in un’epoca di mobilità senza confini.