Non è vero che siamo un “Paese di Schettini” come ama dipingerci certa velenosa stampa tedesca prendendo ad emblema del carattere nazionale italico il fellone capitano della Costa Concordia che di fronte al disastro pensa solo e soltanto a mettere al sicuro se stesso abbandonando nave e passeggeri. Certo, qualche Schettino in circolazione per l’Italia c’è sicuramente, ma in casi del genere si tratta di delinquenza bella e buona. Se c’è invece un personaggio che potrebbe oggi, ahimè, ben condensare l’ethos degli Italiani, questi è Gigi Buffon, il portierone della Juventus e della Nazionale di calcio.
Ma cosa ha combinato di tanto grave Buffon per assurgere al ruolo di simbolo collettivo? Tutto risale alla sera dello scorso 25 febbraio, quando allo stadio Meazza di Milano si confrontano le due regine del campionato: Milan contro Juventus. Un tiro del milanista Muntari supera di un buon metro la linea di porta. È il goal del 2-0 che darebbe ai rossoneri un vantaggio probabilmente definitivo. Ma il portiere della Juventus da dentro la porta riesce a smanacciare la palla spedendola lontano. Il regolamento è chiaro: se la palla supera la linea di porta è goal. E infatti i giocatori del Milan esultano, mentre quelli della Juve fanno cenni di sgomento. Eppure l’arbitro e il guardialinee non vedono bene e non assegnano la rete. Un errore clamoroso, come del resto ne capitano tanti sui campi di gioco. Un errore in buona fede, ne siamo certi, ma anche molto pesante.
Ma il tema di questo articolo non è l’errore dell’arbitro, bensì quello che ha detto Buffon alla fine della partita. «Io non ho visto bene» ha dichiarato il Gigi nazionale, «ma se anche mi fossi accorto che la palla era entrata, mi sarei ben guardato dall’avvertire l’arbitro!». E bravo il nostro portiere, uno che nel luglio 2006 ha alzato al cielo la Coppa del Mondo, uno che è da anni capitano della Nazionale, uno al quale i giovani guardano come esempio. Questa è la sua etica, questo il suo senso dell’onore sportivo! Oddio, non pretendiamo che tutti i calciatori facciano proprio il motto di Pierre de Coubertin per cui “l’importante non è vincere ma partecipare”.
Non siamo così ingenui. Ma addirittura teorizzare l’imbroglio ai danni dell’arbitro pur di vincere, questo no, suvvia, non può andare! «Non sono mai stato un ipocrita, ridirei le stesse cose» ha replicato Buffon a chi faceva notare l’indelicatezza delle sue dichiarazioni, per poi concludere «Non capisco perché mai noi giocatori dovremmo aiutare gli arbitri, ciascuno ha il suo ruolo».
Ecco, questo è Buffon: l’ipotesi che un giocatore professionista abbia il dovere della lealtà (verso l’arbitro, verso gli avversari, verso il pubblico che paga) non lo sfiora minimamente. L’unica cosa che conta è vincere, il “come” è del tutto secondario. E tutto ciò in un mondo, come quello del calcio, in cui da Calciopoli alle scommese illegali, gli scandali non si contano più. Qualcuno pensa che in seguito a quelle frasi Buffon sia stato multato o sospeso dalla nazionale? Che abbia ricevuto una bella reprimenda dalla Federazione Gioco Calcio? Ma figuriamoci. Qualche celebre opinion maker come Giuliano Ferrara lo ha persino elogiato per la sua “sincerità”, per la “franchezza”, per il “realismo”.
Il dramma è che Buffon, con quell’atteggiamento strafottente, davvero incarna una mentalità diffusa, davvero è la metafora dell’Italia furba che aggira le regole e se ne vanta. La sua logica è quella di chi a scuola copia il compito in classe facendo fesso l’insegnante, di chi non paga le tasse e si frega le mani per averla fatta franca, di chi non conosce il concetto di senso civico. Buffon non è un mostro. È solo il simbolo di un Paese in cui sempre più prevale una mentalità piratesca per cui fare fessa l’autorità è motivo di vanto.
Tra non molto Buffon supererà le presenze in azzurro del mitico Dino Zoff, il grande portiere e capitano di un’altra epoca. Uno come Zoff quelle frasi non le avrebbe mai neppure pensate. Peccato che l’Italia di oggi si sia dimenticata di Zoff e sia diventata il Paese dei Buffon.