In tutti i tuoi personaggi si nota un po’ che sono fuori dal mondo. Si nota una certa fatica di vivere, non sanno godere la vita, non sono felici. Sono smarriti. Cosa lega i tuoi personaggi?
Come hai detto tu sono personaggi che non hanno particolari handicap o non vivono situazioni disperatamente tragiche però hanno una sensazione di avere un difetto e di non poter vivere al passo con gli altri, di non essere soddisfatti di sé e di non avere efficienza, di cercare comunque la felicità e di avere qualche ostacolo che a volte non è semplicemente di natura esterna. Qualche volta dipende da quel generale disagio che c’è intorno a noi . Qualche volta dal disagio più intimo e personale. Nel caso de “Il rosso e il blu” è chiaro che il disagio del Professor Fiorito, interpretato da Herlitzka è un disagio di un modello che sta andando in crisi, il modello di cultura, la cultura umanistica e quindi la scuola. L’idea di una scuola che formi, che costruisca degli esseri umani pieni e responsabili è un’idea che sta particolarmente a cuore al nostro personaggio che lo ha portato a un livello di disincanto divertente ma anche molto doloroso.
Perché ti sei interessato al tema della scuola? Come sei arrivato al libro di Lodoli?
Avevo detto alla produttrice Donatella Botti della Bianca-Film che avrei voluto fare un film sulla scuola. Mi ha consigliato di leggere “Il rosso e il blu”. Il libro mi ha colpito. Non è un romanzo ma è un libro di racconti, di cronache, di osservazioni e ho chiesto a Lodoli se gli andava di riscrivere il soggetto sulla base di quello che erano gli umori che sono disseminati nel libro e devo dire che mi sono trovato molto bene con lui. Adesso, spesso ci capita che ci chiamano insieme a parlare del film. Lodoli ha partecipato alla scrittura del soggetto insieme a Francesca Manieri, una giovane sceneggiatrice, una forza fresca, piena di risorse e a me.
Nella premessa Lodoli scrive come è diventato insegnante inviando il suo curriculum alle scuole con la proposta “Se serve un professore di Lettere io sono qui”. Forse Scamarcio interpreta Lodoli?
No. Scamarcio interpreta molti di noi. Quelli che hanno ancora una sorta di sventurata testardaggine per cui pensano ancora che una condotta retta, una certa correttezza nei confronti dei ragazzi possa portare a qualche risultato. È l’atteggiamento di chi entra nella scuola con passione. Qualcuno ha detto che nella scuola si entra Prezioso che è il personaggio interpretato da Scamarcio e si esce Fiorito personaggio interpretato da Herlitzka.
Ecco gli studenti descritti da Lodoli: “…abitavano in un altro Pianeta…di studiare non avevano voglia…la scuola è profondamente cambiata dopo il ’68…”. Mi puoi dire com’era la scuola prima del ’68?
Io mi ricordo cosa era lo studio di mio fratello maggiore. Lo studio del latino, della matematica. Mi ricordo quei libri. Erano libri già nel loro aspetto estetico qualcosa di estremamente impegnativo. Era una scuola dove c’erano le borse di studio per le famiglie dei meno abbienti. La scuola rappresentava una possibilità di riscatto anche per le famiglie che non avevano molte risorse. C’era a volte anche il mito del figlio ingegnere che è stato anche un mito che qualcuno ha pagato con un prezzo alto perché scelte sbagliate, ambizioni frustrate… In ogni caso la scuola era per molti un’occasione di affrancarsi da un certo grado di difficoltà familiare. Ecco quello adesso si è perduto. Poi c’è stato il ’68. C’è stato anche quello che di buono ha dato il ’68 perché nel ’68 i ragazzi cercavano anche di studiare per conto proprio, di fare il passo più lungo della gamba, di affrontare a 15 anni temi e argomenti molto impegnativi. Però è stato anche, appunto, l’inizio della perdita di autorevolezza e di autorità dell’istituzione scolastica, l’inizio del 6 politico, lo sfaldarsi di quell’idea che la scuola potesse essere un’Istituzione centrale per crescere, per formarsi e quindi attorno alla scuola e alla famiglia è nata una costellazione di altre cose: la televisione, un certo tipo di televisione, lo spettacolo, i giornali, il moltiplicarsi di stimoli non sempre positivi che hanno totalmente reso quasi impossibile la missione dell’insegnamento. È difficile per quanto bravo fosse l’insegnante che riesca a raddrizzare qualcosa che è completamente condizionato da cento fattori esterni.
Passiamo ora ai protagonisti. Sia Margherita Buy che Riccardo Scamarcio hanno recitato il loro ruolo con grande senso di responsabilità, con grande senso della misura. È Roberto Herlitzka però, la scoperta, è lui che attira gli spettatori. È un attore con una grandissima formazione, un percorso teatrale rigoroso. Per lunghi anni ha recitato tutta la tragedia greca, tutto Pirandello. E ora ha forse avuto voglia anche di ‘giocare’ come attore. Come mai ti è venuta l’idea di sceglierlo?
Herlitzka è stata una cosa che mi ha dato particolari soddisfazioni perché chi ha finanziato il film non era così convinto di questo attore. L’ho scelto io perché tutti dicevano che era bravissimo, straordinario però pensavano che fosse troppo grande di età per quello che deve essere un professore in via di pensionamento. Ho pensato invece che quello poteva essere una carta in più perché avrebbe dato al personaggio qualcosa di leggendario, come il vecchio professore… uno che si aggira in questa scuola. Nessuno sa quanti anni ha. L’ha reso meno riconducibile a una semplice frustrazione comune ma quasi a incarnare qualcosa di più importante per cui mi ha dato molta soddisfazione quando ho visto che tutti si sono innamorati di questo personaggio e della prova di Roberto Herlitzka con cui tra l’altro mi onoro di essere diventato amico perché è una persona che ha molte cose da insegnare a tutti.
Cosa significa fare il regista?
Fare il regista è un po’ come il problema che si trova di fronte il professor Fiorito e cioè “Ho lasciato un segno? Qualcuno seguirà? Capirà? Riconosceranno il mio modo di…? Ho una voce mia personale? Ne è valsa la pena?”. Allora in tutto questo c’è il problema delle scelte. Uno arriva ad essere contento di quello che ha fatto quando alla fine di un film c’è un minor numero possibile di rimpianti sulle scelte che hai fatto. Scelte che riguardano la scrittura, gli ambienti. Un posto che lo scenografo ti propone, saper dire no e saper dire sì. Come dire una battuta sul set. È tutto un tentativo disperato e appassionato sulla possibilità di rendere unica quella scena, quel personaggio, quel momento, che non assomigli ad altri o che comunque non sia un rituale, che non sia ovvio, anonimo, neutro per cui che traspaia in maniera discreta il tuo sguardo, il tuo mondo che qualcuno possa riconoscerti e dire: “ quello è un film di Giuseppe”. Questo è, credo, la più grande soddisfazione che si potrebbe avere.