Un’altra fatica del prof Arnone, a beneficio dei nostri connazionali, si è consumata con la pubblicazione del Libro: “Italiani nel cuore”, di Giuseppe Arnone, docente e presidente di “Fondazione italiani in Europa”, con la prefazione di Vittorio Sgarbi

Il professor Arnone, impegnato nel campo della formazione e dell’istruzione superiore ed universitaria ha iniziato come docente di materie giuridico-economiche nei licei per poi approdare al mondo universitario. Da sempre appassionato di politica, ha ricoperto vari ruoli all’interno della politica siciliana. Alla guida dell’istituto di ricerca “Fondazione Italiani in Europa” si è speso per rinsaldare il legame tra le comunità italiane emigrate (lui stesso è residente in Romania), e le proprie zone di origine.

Grazie alla Fondazione che svolge attività di ricerca e advocacy su argomenti come la politica sociale, la strategia politica, l’economia, la tecnologia e la cultura, e nella quale vengono pubblicati articoli, studi e persino progetti di legge su particolari questioni di politica e società, nasce anche l’idea di questa pubblicazione. Nasce quindi “Italiani nel cuore” che è un pamphlet che ha l’esigenza di mettere in luce il rapporto tra l’emigrazione italiana del passato e quella attuale, analizzando da un lato le differenze tra le due, e dall’altro ponendo i riflettori su quanto di positivo si possa ricavare per il sistema Paese dal legame tra italiani all’estero e italiani in patria.

La scrittura di questo libro è maturata alla fine del 2020, durante la seconda ondata della pandemia Covid-19, in quanto, l’autore, ha notato che la saggistica italiana (e più in generale il mondo dell’editoria) abbia posto poca attenzione su quanto connesse siano formazione ed emigrazione, dato che la maggior parte dei nuovi emigrati italiani nulla o quasi ha a che vedere con quelli con la valigia di cartone di una volta, ma all’opposto sono giovani altamente qualificati (spesso con una laurea o un PhD in tasca) che a causa del disequilibrio tra domanda ed offerta imperante sono, spesso, costretti a mettere a frutto le proprie competenze fuori dall’Italia.

Parlando di emigrazione, sono stati utili due elementi: da un lato la Fondazione Italiani in Europa come già specificato e dall’altro l’esperienza vissuta dall’autore in veste di candidato alla Camera dei deputati alle politiche per gli italiani all’estero tra il 2017 e il marzo 2018. Infatti, soprattutto da quest’ultima esperienza si è cercato di trarre delle conclusioni e dare un significato che potesse andare oltre l’evento contingente rappresentato dalla campagna elettorale: in primis non può passare inosservato lo stato di disattenzione della politica italiana verso intere comunità di italiani che vivono all’estero. Sotto quest’ultimo profilo bisogna certamente non sottovalutare il complesso di colpa che la classe dirigente italiana ha nutrito, e nutre ancora oggi, verso il mondo dell’emigrazione, al punto da provare quasi a “rimuoverne la memoria”: ciò si è estrinsecato attraverso l’estromissione dai media in generale, dai dibattiti, ma anche attraverso una descrizione retorica e comunque frammentaria del fenomeno, talvolta intrisa da una certa forma di ipocrisia.

Il progresso economico, la maturazione culturale del Paese, l’esplosione dei media, la facilità dei viaggi, in definitiva la globalizzazione, hanno rivoluzionato tutto, ed in un clima radicalmente diverso rispetto a quello del Dopoguerra, l’emigrazione italiana è mutata in modo assoluto, tanto che oggigiorno più che di emigrati sarebbe opportuno parlare di “expat”, nel senso anglosassone della parola, intendendoli come “portatori del soft power culturale italiano” all’estero, in virtù di skill e know how elevati, (diametralmente opposti agli italiani, spesso senza formazione o qualificazione, che emigravano negli anni ‘50 o ‘60, incarnati, come è riportato nel presente saggio, dalla figura goffa e semplice di Pasquale Amitrano, l’emigrato “tipo” raccontato da Carlo Verdone nel 1981 nel suo celeberrimo “Bianco rosso e verdone”.)

Il lavoro che segue è strutturato in cinque parti, ognuna delle quali affronta in maniera immediata la questione; le parti sono collocate in maniera propedeutica al fine di rendere razionale e maggiormente fruibile quanto si afferma nelle pagine successive. Seguendo un filo rosso che va dal generale al particolare e che si muove cronologicamente analizzando anche gli sviluppi sociali, economici e politici sia dell’Italia dagli anni ‘50 ad oggi sia delle comunità italiane all’estero, questo pamphlet nel suo capitolo I fornisce una panoramica iniziale dei sistemi elettorali della Prima Repubblica che non si sono interessati a rendere partecipi tramite modelli di inclusione nelle leggi elettorali quei milioni di “expat”, che, grazie ai sacrifici della prima generazione di emigrati, hanno potuto studiare affermandosi come professionisti o aprire un’attività economica e consolidarla nel tempo, essendo oggi molti di essi affermati imprenditori.

In una seconda parte, (capitolo II), dopo aver trattato anche delle evoluzioni che hanno investito l’Italia nel secondo Novecento, si pone l’attenzione sul voto degli italiani all’estero, ponendo in evidenza il ruolo delle ambasciate e dei consolati e della promozione culturale degli istituti di cultura, che egregiamente e con dedizione aiutano il sistema Paese. Naturalmente in questa parte, trova ampio spazio la figura lungimirante dell’ex Ministro Tremaglia, di cui la legge istitutiva del voto degli italiani all’estero porta il nome.

Nel capitolo III si affrontano le inefficienze dell’attuale sistema di voto all’estero e i problemi che i nostri concittadini riscontrano nel rapportarsi, sebbene vivano oltre confine, con la burocrazia italiana e il continuo ridimensionamento della rete consolare, fattore il quale viene parzialmente supplito dai patronati che sono, oramai, anche punto di riferimento per tutte quelle generazioni più giovani che per motivi di lavoro e studio lascia l’Italia, tanto che viene aperta una digressione ampia sul tema del “brain drain” (o “fuga dei cervelli”), fenomeno che, stando ai dati presentati dalla Fondazione Moressa a Palazzo Chigi, ci è costata in pochi anni oltre 16 miliardi di euro, l’equivalente di 1 punto di PIL!

Nel capitolo IV è analizzata in modo sintetico (anche grazie all’ausilio di tabelle esplicative) il voto per le politiche del 2018 nella circoscrizione estero (in particolare nel collegio “Europa” dove l’autore è stato candidato) per poi passare in rassegna i momenti salienti dell’esperienza personale dell’autore, cercando di dare per quanto possibile una chiave di lettura “antropologica” all’aver vissuto le istanze, le speranze e le necessità delle comunità italiane expat.

Infine, il manifesto conclusivo (capitolo V) contiene le idee che con la Fondazione Italiani in Europa, da anni ormai portano in giro per il paese e non solo, le idee, o meglio, i “semi” da cui potrà germogliare l’albero di nuova Italia che guardi ai propri connazionali all’estero come una risorsa da valorizzare e da cui trarre spunti per “best practice” da attuare nel Paese. Però, per riuscirci bisogna, come sempre, partire da noi stessi. Dalle nostre architetture mentali e dai nostri schemi di pensiero e azione. A qualcuno potrà apparire come una semplificazione eccessiva, ma crediamo davvero che una chiave di volta del nostro rilancio consista in un cambiamento culturale collettivo, che guardi agli italiani all’estero (specie agli espatriati più giovani, figli del cosiddetto “brain drain”) come elemento propulsivo per rilanciare la nazione, un po’ come fecero 50 o 100 anni or sono i nostri nonni e bisnonni con le loro rimesse, con la differenza che oggi la tecnologia e soprattutto il know how di questi giovani talenti e lavoratori può darci molto di più.

Questo manifesto per la rinascita, formato da cinque punti, è la sfida che la Fondazione si pone per l’anno in corso e quello che verrà: sfida che si proverà ad attuare e tradurre in azione concreta!

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