Intervista ad Alessandro Bellardita

Nella letteratura italiana contemporanea non mancano ottimi esempi di giuristi-scrittori che si sono avvantaggiati della loro conoscenza di insider per costruire i loro gialli: basti pensare a Gianrico Carofiglio e Giancarlo De Cataldo. Ad essi si è aggiunto da poco un nuovo autore italo-tedesco, il nostro collaboratore Alessandro Bellardita, ai nostri lettori ben noto da anni per i suoi articoli, che ha debuttato recentemente con il suo romanzo giallo in tedesco “Der Zeugenmacher” nonché con i libri in italiano “I vostri diritti in Germania” ed il saggio “La fine delle mafie”, quest’ultimo dedicato al giudice Falcone.

Attualmente egli sta tenendo numerose conferenze in giro per la Germania per presentare al pubblico questi suoi ultimi libri. Il 20 maggio scorso è stata la volta di Francoforte, in un incontro organizzato dall’Ufficio Culturale del Consolato Generale di Francoforte nella Sala Italia presso il ristorante InCantina. Per l’occasione gli abbiamo rivolto le seguenti domande:

Nella foto: Alessandro Bellardita

La storia di Falcone è un chiodo fisso per Lei, ne ha parlato anche in molti articoli comparsi sul nostro giornale. Perché adesso ha sentito il bisogno di scriverci pure un libro sopra?

Parlare di Giovanni Falcone e della sua eredità che ci ha lasciato non è mai troppo. Anzi, dovremmo farlo ogni giorno, senza attendere le solite commemorazioni, i soliti anniversari. L’antimafia dobbiamo interiorizzarla e superare la memoria collettiva verso una norma collettiva che muove ogni decisione politica, sociale ed economica.

Alle numerose conferenze sulla mafia che Lei tiene in giro partecipa un pubblico sia italiano che tedesco. Ha notato una reattività diversa?

Certo. Gli italiani conoscono il fenomeno, la stragrande maggioranza lo prende sul serio e condannano decisamente le mafie. I tedeschi, invece, ignorano le mafie, fanno finta di nulla e le ritengono un problema delle minoranze etniche che vivono in questo paese.

Alcuni, leggendo il titolo del suo libro, hanno fatto un sorriso ironico: “È molto ottimista…” hanno commentato.

Lo so. Ma sono sempre più convinto che se tutti negli anni ‘80 avessero condiviso con lui l’obbiettivo di sconfiggere le mafie, oggi le cosche esisterebbero solo nei testi di storia. Purtroppo Falcone ha dovuto subire tantissime sconfitte, dovute alla diffidenza da parte di coloro che invece avrebbero dovuto sostenerlo. Questa è una lezione che ancora non abbiamo imparato.

Lei si lamenta della scarsa presenza mediatica del tema mafia nei mass media tedeschi, mentre gli italiani ne sono bene informati. Perciò non sarebbe stato più opportuno scrivere il suo libro in tedesco?

Questo è vero. Finalmente ho trovato anche un editore disposto a pubblicare il mio testo anche in tedesco. Uscirà entro la fine di quest’anno.

Un’altra delle sue passioni è Fabrizio De André, su cui pure ha scritto un libro. Non vede una contraddizione fra il senso civico da Lei propugnato ed il contenuto di certe canzoni come “Il pescatore” in cui si esalta un caso di evidente omertà?

Fabrizio De André non ha mai esaltato l’omertà. Ne “Il pescatore” si tratta di un dilemma personale di chi (in quel caso il pescatore) avrebbe potuto denunciare ma non lo fa, decidendo di aiutare chi dal suo punto di vista ha bisogno. Si tratta di un atto umanitario. L’omertà, invece, è un fenomeno collettivo ed è frutto di una strategia di intimidazione da parte delle mafie, mentre all’interno delle cosche l’omertà è una legge che prevede la morte di chi tradisce la “famiglia”, una legge che non conosce eccezioni e, in quanto tale, disumana.

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