Berlino è sommersa dalla neve, ma la milanese Laura Lucchini si fa largo incerta sulla sua bicicletta. “Questa è la prova migliore del mio ambientamento in Germania”, chiosa sorridendo la ventottenne, che scrive della Germania per il quotidiano spagnolo El Paìs ed il foglio argentino La Naciòn. Per la mia generazione non c’è semplicemente posto in Italia”, dice Laura mentre entriamo nel Cafè Gorki, nella Weinbergsweg, dove mi presenta due sue amiche: Simona Stortona, architetto, e Maria Elisa Gerace dalla Calabria, designer di occhiali.
Tutte e tre appartengono al club degli italo-berlinesi che di anno in anno cresce. La prima ondata di intellettuali arrivò a Berlino già alla fine degli anni Settanta: si trattava di persone della scena alternativa o appartenenti all’estrema sinistra, che al riparo del muro di Berlino hanno trovato un rifugio. Oggi i nuovi arrivati finiscono ad est, nella Prezlauer Berg, dove la città si è più internazionalizzata.
Da qualche tempo, arrivano anche studenti freschi di maturità che decidono di fare qui gli studi universitari. Laura, Maria e Simona già lavoravano quando si decisero a cambiare Paese. “Qui il lavoro ha un altro valore, si è pagati decentemente e si ha una possibilità senza dover sottostare ai soliti giochetti”, afferma Simona con vivacità. “In Italia c’è bisogno dei contatti giusti e ci si deve comportare di conseguenza e io non sono tagliata per questo”. Maria, una bellezza afro-italiana mozzafiato, madre originaria del Mozambico, arriva da Treviso.
Alcuni mesi addietro un’azienda di Parigi si era rivolta a lei, ma lei aveva rifiutato in favore di Berlino.” È una città alla mano, piena di stimoli e inoltre è economica. Le persone posseggono un senso civico ed è normale qui attenersi alle regole, mentre in Italia ciascuno pensa al proprio tornaconto personale. Anzi, si è considerati stupidi se ci si comporta correttamente”. Gli stranieri sono trattati male solo dalle autorità, affermano tutte e tre. “Metto insieme quattro parole di tedesco e mi sforzo di spiegare ciò che voglio, ciò nonostante vengo trattata scortesemente”, afferma Laura.
Ma non vale la pena di discuterne visti gli sviluppi a casa. Riferendosi a certe abitudini italiane, Simona racconta: ”È una tragedia ogni volta che devo fare la valigia per andare dai miei perché non so mai cosa devo mettermi; allora saccheggio gli armadi di mia madre e delle mie cugine per essere presentabile. Durante gli aperitivi escono fuori frasi incredibili dalle bocche delle donne, per esempio sul nuovo smalto color fango di Chanel.
Le osservo da più vicino e vedo che portano addosso tremila euro di vestiti. Vestiti di marca, macchine, tutto ciò gioca un ruolo da non crederci”. ”Per molte la televisione rappresenta l’unico modello”, aggiunge Laura. Tuttavia le tre sentono la mancanza di alcune cose, come il mare, il sole e la cucina, ma anche il “bar sotto casa”, un certo modo di intendere i rapporti, una barzelletta davanti a un cappuccino, un complimento e la facilità con cui si possono stringere i rapporti.
Nel parco Körnerpark cambia lo scenario. Qui abita Marco, 27 anni, siciliano e recentemente diventato padre. Frequenta di nuovo l’università anche se ha già studiato Scienze politiche, parla un inglese eccellente e benissimo il tedesco. “Ho vinto una borsa di studio per il liceo internazionale a Trieste e a sedici anni sono andato via di casa. Mio padre, impiegato statale che dopo trent’anni di servizio guadagna 850 euro al mese, era scettico. Ma un proverbio siciliano dice: ”Uscendo, conosci”. Il figlioletto osserva con approvazione. Dopo la maturità Marco è rimasto in Italia per l’università. “Ho lavorato come spazzino alla fiera, poi come fattorino di una pizzeria per cinque euro l’ora. Andavo in giro con il motorino, non omologato e ovviamente lavoravo in nero.
Ciò che mi ha tenuto in vita era la speranza di ricevere delle mance da signore anziane”. “Una camera minuscola a Bologna costa 650 euro, tutto in nero, è ovvio. A volte dovevamo scappare per strada dato che il boiler in bagno minacciava di scoppiare. Non ho mai avuto un contratto d’affitto regolare in Italia, per non parlare poi di uno di lavoro”. Dopo la laurea Marco ha fatto un tentativo a Roma ma non ha trovato niente, a parte un’azienda per la quale applicava le targhette anti-taccheggio ai capi di abbigliamento. “Dalle dieci alle dodici ore lavoro per turno senza pausa pranzo e ci era vietato di sederci.
Con alcuni colleghi sono andato al sindacato Cgil, volevamo che ci fossero almeno retribuiti gli straordinari, ma senza la tessera d’iscrizione al sindacato, che costa 100 euro, non volevano aiutarci”, afferma il politologo infiammandosi. Ma le esperienze più avventurose Marco le ha fatte in occasione di un concorso pubblico; la Youth Action offriva dei posti, un’iniziativa che doveva rafforzare il senso di appartenenza all’Europa e finanziata dai fondi comunitari.
In venti hanno fatto domanda per quattro posti disponibili e lui era l’unico con delle conoscenze di lingue straniere. Il Presidente di commissione si rivelò però essere un membro di Alleanza nazionale e doveva provvedere agli amici. Marco ha fatto domanda anche alla Guardia di Finanza ed è entrato nella cerchia più stretta dei candidati. Suo padre incontrò al supermercato un parente, membro del partito di Berlusconi e che gli ha detto: “Ma perché non me lo hai detto, gli avremmo dato una spinta”, ma il padre rispose: “perché mio figlio non mi avrebbe più parlato”. Alla fine Marco, l’estate scorsa si è trasferito a Berlino. “Qui ho trovato subito un lavoro; mi pagano i contributi previdenziali e l’assicurazione sanitaria. In Italia ciò sarebbe impensabile”. “Ah voi studenti, siete giovani”, questa era la giustificazione che si sentiva spesso dire.
Marco vorrebbe diventare insegnante d’italiano e politica; difficile trovare un insegnante migliore per i propri figli perché Marco fa parte, esattamente come gli altri italo-berlinesi, di una nuova èlite; un’èlite che in Italia non potrebbe esistere: Marco, Riccardo, Laura, Simona, Maria sono europei e hanno da tempo superato il proprio Paese.