Anche perché il principale aspetto di questo fenomeno, che meriterebbe maggiore approfondimento, è dovuto alla necessità di trovare un lavoro e, di conseguenza, una nuova via progettuale. Il nostro Paese non è nuovo ai movimenti di massa verso altri Stati. Dall’inizio del secolo scorso (1900), sono milioni gli italiani che hanno abbandonato il Bel Paese per necessità.
Ora, con la libera circolazione in area UE, scrivere d’emigrazione sembrerebbe sconclusionato; ma non lo è. Sono i diplomati, i laureati a lasciare la Penisola per la necessità di trovare un futuro migliore. Con questa legittima speranza, spesso confortata dalla certezza, parte di una generazione ha già ripreso la via d’oltre frontiera. Col nuovo Millennio, i problemi d’integrazione si sono accelerati. Le questioni correlate ad un diverso idioma, a differenti stili di vita sono stati superati; ancor prima di vivere in terra straniera.
Quando essere lontano di casa significa ritrovare una parvenza di tranquillità economica e di lavoro sicuro, tutto il resto passa in second’ordine. La necessità ci ha spinto ad essere più europei di quanto avremmo supposto. Del resto, oltre le Alpi, nonostante una crisi che è internazionale, si vive meglio, l’occupazione non manca e si ha maggior rispetto per chi ha la necessità di lavorare. Anche se i dati ufficiali sono in continuo aggiornamento, sono i giovani tra i 20 ed i 30 anni a lasciare l’Italia.
Non di rado già con un contratto di lavoro in tasca. Il movimento migratorio resta limitato, soprattutto, al Vecchio Continente. Specialmente verso la Germania e l’Europa settentrionale. Oltre confine, la realtà sociale è ben diversa dalla nostra. La produttività è premiata e la politica e ben disgiunta dai problemi economici. Del resto, anche per i nostri giovani che lasciano l’Italia è mutato il rapporto con la madre Patria. Mentre da noi si perde tempo prezioso, in problemi di “lana caprina”, l’Europa stellata procede verso mete più ambite delle nostre.
Magari non tutti i Paesi UE viaggiano alla stessa velocità, ma il tenore di vita non emargina chi vi si reca per lavorare. Le scelte di vivere lontano sono sempre più obbligate. L’ultima generazione di senza lavoro, che un tempo era classificata come quella alla ricerca di un primo impiego, non avrebbe futuro in un’Italia scossa da vincoli politici che sanno di poco. Da noi, sono solo i doveri ad essere ben focalizzati ed ampliati. Di diritti ce ne sono sempre meno.
Non tanto per una questione di logicità, ma d’effettiva necessità, il nuovo flusso migratorio è stato accelerato per una cattiva gestione delle possibili risorse nazionali. Siamo indietro in tutto e, in particolare, sotto il profilo sociale. Poco importa, a questo punto,se il nuovo Esecutivo saprà gestire il Paese. Si è già perduto troppo tempo per trovare accordi impossibili e, spesso, anche improponibili. Se lo scriviamo, significa che riteniamo valide queste nostre riflessioni. Sicuri di non essere i soli a pensarla in questo modo.
Ora non rimane che una verifica sulla reale volontà di cambiamento. Ci rivolgiamo anche a chi, prima, in politica non si era mai tanto distinto. L’importante è muoverci subito e senza altre remore. Gli italiani, oltre confine, intendono contare anche in Patria per quello che realmente valgono e la loro posizione è anche la nostra. La rappresentatività non è l’unico mezzo per affermare di molte tesi. I tempi sono più che maturi per mostrarlo.
Di fatto, però, gli ostacoli, reali o presunti, continuano a limitare le nostre doti operative. L’Europa è, potenzialmente, aperta ad accogliere la mano d’opera specializzata. Intanto, nella Penisola, il lavoro resta, per molti, una “chimera”.