Mentre il nostro giornale, con orgoglio, può asserire di avere puntato per primo il dito sugli innegabili interessi di natura politica che ruotano attorno ai patronati, sia la stampa nazionale (vedi Panorama) sia i diretti interessati, hanno fatto sentire la loro in un senso o nell’altro. Il sindacato dei pubblici impiegati Confsal/Unsa continua a vedere nei patronati all’estero una perenne minaccia ai posti di lavoro sulla rete consolare, al momento in cui questi dovessero essere destinati a svolgere compiti sinora affidati agli stessi consolati.
I deputati eletti all’estero, in gran parte ex funzionari dei patronati, continuano ad asserire che una cosa non c’entra con l’altra e che, fondamentalmente, i servizi vanno resi, se non dai consolati, almeno da un qualsiasi ente di pubblica utilità. I Patronati stessi asseriscono di avere l’urgente necessità di vedere legittimata e finanziata un’attività di supporto ai servizi consolari che comunque già svolgono. È stato però Dino Nardi, Presidente della UIM Europa, a dare una nuova definizione al ruolo degli operatori di patronato all’estero, al quanto singolare. In poche parole, Nardi asserisce, parteggiando contro la disposizione che vede incompatibile il ruolo di funzionario di Patronato con quello di Consigliere Comites, che i funzionari dei Patronati all’estero, con gli stessi Patronati, hanno l’identico rapporto che il bar della Se- Dino Nardi UIM Europa: chiamatelo “Franchising” gafredo ha con la casa produttrice di caffè: Franchising.
Leggiamo la nota di Nardi: “Tra l’altro in questa diatriba sui patronati sfugge un aspetto determinante che la nota vicenda elvetica Inca-Giacchetta ha evidenziato e che avrebbe dovuto far riflettere tutti i principali attori di questa polemica e, soprattutto, gli estensori di quest’ultimo parere del MAECI. Cioè che ormai, all’estero, quantomeno le principali sigle, i patronati italiani non operano più direttamente bensì attraverso associazioni locali con le quali hanno stipulato delle convenzioni di collaborazione. Per cui questi “rappresentanti” dei patronati eletti nei Comites, in effetti, sono dipendenti di associazioni locali che operano sul territorio di un Paese utilizzando il marchio di un patronato italiano sulla base di una specie di “ franchising” (collaborazione/ affiliazione ad un marchio per la produzione e distribuzione di servizi/beni) che consente loro di fornire dei servizi di tutela e di assistenza agli italiani residenti in un determinato Paese avvalendosi del supporto tecnico della struttura di quel patronato in Italia”. Franchising: collaborazione/affiliazione ad un marchio per la produzione e distribuzione di servizi/ beni. Ma di cosa sta parlando? Delle magliette della Benetton?
Al Presidente Nardi sfugge evidentemente un particolare. Gli stipendi agli operatori dei Patronati sono pagati dalle sedi centrali dei Patronati, le quali ricevono finanziamenti statali sulla base dei punteggi calcolati sul numero di pratiche svolte all’estero. Altro che Franchising. Il gestore di bar Segafredo, non riceve alcun stipendio dalla casa madre. Quello guadagna solo sulla quantità di caffè che vende, quotidianamente. Resta comunque interessante osservare come gli stessi patronati siano alla ricerca di nuove definizioni del proprio status, sia giuridico sia morale.