La maggior parte del cinema italiano giovane rimane sulla carta. "Sono solo una decina i film di registi esordienti che si producono nel Belpaese ogni anno" spiega Ernesto Spinelli, giovane copywriter e regista romano. Gli altri sono di autori già affermati o comunque ben inseriti negli ambienti che contano. E a soffrirne non è solo il ricambio culturale di un paese che stenta a mettersi al passo con i tempi, ma anche quello generazionale. “Perché in Italia ci sono tanti registi giovani e anche bravi”- dice Giuseppe Petitto, 40 anni, film-maker, documentarista e anche montatore.
Lui, il suo lungometraggio ce l’ha nel cassetto. “Purtroppo non me lo fanno realizzare. Il problema in Italia è trovare produttori disposti a rischiare. Questo perché non c’è concorrenza e tutti i produttori fanno capo finanziariamente alle due più grandi case di produzione-distribuzione”. Il primo passo per realizzare un film è trovare una persona che finanzi il progetto. I costi di produzione di un film di medio budget vanno dai 750.000 a 7,5 milioni di euro (fonte: Fondazione ente dello spettacolo). E allora Petitto continua a girare documentari e corti. Nel 2000 realizzò “Jung-Nella terra dei Mujaheddin" e nel 2002 "Effetti collaterali?" girati entrambi in Afghanistan. In questi anni ha ricevuto diversi premi internazionali (a New York, Praga, Colonia, Barcellona) e riconoscimenti da personalità del calibro di Arthur Penn e Martin Scorsese.
E dello stesso parere è anche Ernesto Spinelli, trentaquattrenne regista e copywriter con un’esperienza di autoproduzione alle spalle. Spinelli ha scritto e diretto fortunati spot per agenzie di pubblicità internazionali oltre a realizzare documentari e corti per Studio Universal, il canale televisivo prima di Sky,ora di Mediaset Premium.
“Nel cinema classico – spiega -, ai tempi di Carlo Ponti e Dino De Laurentis, c’era il produttore privato che rischiava, faceva i soldi se tutto andava bene, ma rischiava. Oggi invece le case di produzione non sono “finanziatori veri”, ma vanno a raccogliere denaro a destra e sinistra (ndr. finanziamenti statali, diritti televisivi). Così tendono a produrre con budget inferiori e il resto se lo incassano. La conseguenza è che non c’è alcuna attenzione alla qualità dei progetti”.
Allora per fare film bisogna penalizzare alcuni aspetti, non pagare gli attori, utilizzare le location a propria disposizione come case di amici o parenti. Così ha fatto Marco de Luca, 33 anni, studi in Danimarca allo European Film College e poi il ritorno in Italia, dove lavora come regista di format a Sky. Nel 2008, con un budget di soli 9.000 euro: ha realizzato il suo primo lungometraggio: “Penso che un sogno così”. “Questi due anni dalla realizzazione – racconta – sono stati difficili. Ho presentato il film a varie distribuzioni e ho avuto anche colloqui. Ma per molti, decidere di mandare avanti un prodotto che non ha attori-star, è pericoloso. All’estero, invece, c’è un occhio di riguardo per il cinema esordiente e soprattutto per quello indipendente”. Alla fine De Luca ha trovato una sala di Roma, il Politecnico Fandango, disponibile a ospitare il suo lavoro. Così il film uscirà il 31 marzo e sarà in programmazione ogni mercoledì. Un’unica uscita nazionale, già tanto.