In effetti, non riusciva a capire come mai gli abitanti della terra fossero così bravi a farsi del male. A parte le catastrofi naturali, i problemi di salute o i limiti connessi con la vita – fanno parte dell’esistenza in questo mondo – tante sofferenze potrebbero benissimo risparmiarsele: quelle connesse con le guerre, l’odio, lo sfruttamento del più debole, l’incapacità di rispettarsi e di trovare un accordo almeno nelle questioni discutibili, tutte scelte che dipendono dai singoli o da chi li governa.
Decise allora di venire da queste parti, per una breve visita e dare una mano a vivere meglio. Con qualche saggio consiglio. Con la proposta di uno stile di vita diverso. Si congedò dal padre – che non ostacolò la pericolosa stravaganza del figlio – si fece adottare da una giovane coppia presso un popolo molto religioso, ed iniziò la sua vita da clandestino del cielo, in un paesino sperduto, occupato da forze straniere, lontano dai grandi centri del potere.
Non voleva dare nell’occhio, ma semplicemente capire dal di dentro i meccanismi autolesionisti dell’essere umano.
Da adolescente si permise perfino qualche scappatella, come a quell’età fan tutti, per non mettere a repentaglio la sua clandestinità e condurre la propria indagine nella massima tranquillità ed autonomia.
Ma poi, ormai uomo adulto, si rese conto che se a casa sua le cose funzionavano, altrove proprio per niente, e che forse non era quello il modo migliore per incidere e cambiare qualcosa.
Capì che bisognava impegnarsi nella società civile, nell’ambito della vita religiosa organizzata, rischiare il confronto e l’operare in pubblico. Bisognava uscire allo scoperto. Se nessuno veniva a conoscere il suo stile di vita ed il suo pensiero, chi ne avrebbe potuto avere un qualche giovamento?
Decise allora di chiudere con una vita così privata, e di iniziare ad operare ovunque, non solo a casa sua; a insegnare nelle sinagoghe (non bastava andarci a pregare e ad ascoltare le prediche degli altri); a visitare i sofferenti. Tutti i giorni della settimana, dove vive la gente: quindi anche per strada, nelle piazze, sui luoghi di lavoro, nelle case, dove lo avrebbero chiamato. Senza pregiudizi per nessuno, anche se il suo cuore batteva per i più poveracci.
In effetti le cose cominciarono a cambiare radicalmente.
Chissà perché non c’era arrivato prima! Incontrò subito consensi, piacque a tanti, qualcuno iniziò addirittura a seguirlo in modo stabile. Certo, andava spesso contro corrente, non si adeguava a tante tradizioni, si scostava vistosamente dagli insegnamenti religiosi ufficiali, fatti a volte su misura per complicare la vita. E così finì per urtare gli interessi delle persone e dei ceti che contano. Una strana ed imprevista coalizione tra i capi religiosi e le forze di occupazione, lo fece finire presto su un patibolo, costringendolo a tornarsene a casa, oltre le stelle.
Tutto finito? Un bel progetto, ma fallimentare. Non fu proprio così.
Prima di partire, si annidò nel cuore delle poche persone che gli erano rimaste fedeli. In quelle che, nonostante tutto, gli volevano sempre bene. Riprese poi anche a bussare nella memoria e nel cuore dei vecchi amici. Che cominciarono a capirlo meglio. Ad amarlo. Uno che muore perdonando i carnefici, non s’era mai visto. Uno che aveva posto al centro della propria esistenza la vita degli altri, men che meno. Il ricordo di quell’uomo venuto dalle stelle restava appiccicato addosso, operava nell’intimo, come un virus benigno che trasformava in meglio la vita.
L’iniziale piccolo gruppo di ammiratori, diventava col passar dei secoli una moltitudine che si proponeva come unico criterio di vita la precedenza all’amore, il primato della solidarietà, l’attenzione all’altro. Sembrava a prima vista qualcosa di facile, di scontato, perfino di molto appagante, sicuramente vincente. Non era così. Nonostante due millenni di espansione di detta logica, la violenza raggiungeva nuovi vertici, come ai nostri giorni: gente decapitata perché diversa, persone che si fanno esplodere per ammazzarne altre, ed il maggior numero possibile.
Una parabola non a lieto fine.
Ogni anno, in questo periodo, nel mese di dicembre, i cristiani ricordano la venuta di quel clandestino, che amava farsi chiamare “figlio dell’uomo”. Ne invocano il ritorno, nel cuore delle persone, con solenni liturgie. Perché di violenza, questo mondo, ne ha fin sopra i capelli. Difficile dar loro torto. Ma resta il problema di fondo: cosa non funziona nei rapporti umani, sia dei singoli, che dei gruppi e degli Stati?
Anche chi si dichiara cristiano, troppo spesso è preda dell’aggressività, della cattiveria. Non riesce ad accogliere chi scappa dalla fame e dalla violenza. Lascia prevalere la grettezza del cuore. Vive nella paura dell’altro. Non cerca di andare alle fonti del male, di capire la vera origine di tante sofferenze, in sè evitabili. Vive delle informazioni dei grandi media, in genere espressione dei poteri forti (il mercato, la finanza, l’economia) o del pensiero dominante, che considera il consumo (distruggere per produrre di nuovo), il motore del mondo, il dio terreno che governa meglio di qualsiasi altro.
Se così fosse, perché allora non estendere i consumi (l’accesso e l’utilizzo dei beni terreni) a tutti, in Africa, nei paesi del sottosviluppo, ovunque: aumenterebbe subito e a dismisura la produttività, con la conseguente piena occupazione, in tutte le nazioni.
Il vertice di Parigi sul clima ha messo in chiara evidenza la fragilità delle teorie basate esclusivamente sul consumo e su uno sviluppo senza regole, che non raggiungono tutti i popoli e non rispettano la natura. Sono gli idoli che stanno semplicemente portando la terra all’autodistruzione. Non basta produrre: bisogna vedere come: se avviene senza sfruttamenti, se coinvolge tutti i popoli.
Non è più accettabile lo sciupio di tante risorse, quando secondo la Fao oltre 800 milioni di persone soffrono la fame.
Lotta al terrorismo, cambiamento climatico ed emergenza emigrazione sono le grandi sfide dell’oggi. Riguardano in primo luogo i governi. Ma non solo loro. In tanti potrebbero ridurre lo sperpero di beni con una più attenta gestione della propria vita.
L’accoglienza è fatta a volte di un sorriso. Il terrorismo, si sa, è figlio della violenza. Tutti possono, per quanto li riguarda, fermarla, come ha fatto il clandestino della parabola. Che vorrebbe essere sempre meno una parabola, e sempre più un maestro ascoltato e seguito di vita quotidiana.