Il ministro degli Esteri italiano, Federica Mogherini, è stata nominata coordinatrice per le politiche estere dell’Unione, e ciò dopo dure e prolungate polemiche. Mogherini veniva considerata priva della necessaria esperienza nel settore della politica estera, e anche troppo filorussa. Una vittoria del Paese, che si trova quindi –con Draghi e Mogherini- a ricoprire due cariche fondamentali nella futura politica dell’Unione? In parte sì. 
Mogherini ha prevalso su tutti e la stampa italiana l’ha osannata. Giustamente. La persona è competente, mastica finalmente un po’ d’inglese, e forse le riesce -per via dei suoi contatti in Russia – ad evitare anche in futuro una guerra in Europa ed a stabilizzare i contatti con non solo commercciali con il gigante euroasiatico. Lo speriamo e ce lo auguriamo tutti. Tuttavia c’è un tuttavia. Si tratta dei costi che detta nomina ha comportato per il Paese. Di questo non si parla, ma la questione è importante. Vediamola.
Chi ha seguito le vicende della nomina, si sarà un po’ meravigliato della ostinazione con cui il governo italiano ha voluto mantenere sul tavolo la “proposta Mogherini”. In parecchi momenti della trattativa è apparso chiaro che i nostri interlocutori erano disposti a offrire, qualora l’Italia avesse rinunciato alla carica Pesc, il posto di presidente dell’Unione – fino a ieri occupato da Van Rompuy – per Enrico Letta.
Veniva inoltre fatta balenare la possibilità di concedere all’Italia anche quello di Commissario alle politiche agricole, per cui avevamo una potenziale candidatura considerata tecnicamente fortissima: quella di Paolo de Castro, ex ministro della Agricoltura e attuale presidente della Commissione Agricoltura del Parlamento Europeo.
Se questo è vero (com’è vero), la nomina di Mogherini è costata al Paese il posto di presidente del Consiglio Europeo e quello di commissario alle Politiche Agricole, il quale ultimo gestisce attorno il 50% del bilancio finanziario dell’Unione.
Molto diverso invece il risultato finale della Germania, la quale, alla fine del walzer delle nomine, e attraverso la scelta già avvenuta di Jüncker e Tusk e quella dello spagnolo de Guindos – ha ottenuto il pieno appoggio anche in futuro di quella politica dell’austerità che le è cara e che l’Italia invece vorrebbe –giustamente- modificare in molti aspetti. Un secondo costo quindi per il Paese; un costo che può rivelarsi particolarmente pesante. E non soltanto per l’Italia, visto che la politica della ristrettezza monetaria sta mettendo in ginocchio da anni tutto il progetto europeo.
Il terzo pegno da pagare infine sembra più squisitamente strategico. Mogherini -e di conseguenza il governo italiano- saranno costretti ad allinearsi su posizioni antirusse che altrimenti l’Italia avrebbe rifiutato. Le prime dichiarazioni di Mogherini confermano appieno tale impressione. Questo avrà probabilmente contropartite spiacevoli sul piano dell’economia e delle esportazioni italiane verso l’Est.
Infatti, nella complessa partita a scacchi che si gioca attualmente fra Russia e Unione Europea, i nostri interessi non coincidono affatto con i sentimenti antirussi dei nostri soci europei a nord e a oriente. Per quanto opportunistica possa sembrare questa posizione, lo è soltanto in apparenza. Se l’escalazione delle minacce dovesse riprendere anche in futuro, sarebbe utile avere una voce che invita alla calma e alla ragione. Questa posizione, Mogherini, in quanto Lady Pesc, difficilmente potrà sostenerla.