La scenografia di Jann Messerli ricreava il freddo ambiente del nord: colori freddi, predominanza di blu e grigio, forme da ghiacciaio, luci realistiche. Ed è in questo ambiente che cresce Peer: è un bambino iperattivo che racconta alla madre le storie più fantastiche. Inizia un dilemma interno della madre: spronare il figlio o preoccuparsi dei grilli per la testa? Il tempo trascorre e Peer incontra Solveig durante un matrimonio ma la madre, interrompe l’idillio della storia d’amore.
A questo punto Peer incomincia a manifestare la sua vera natura: egocentrismo all’ennesima potenza. Il mondo deve ruotare attorno a lui, l’attenzione gli spetta. Rapisce Ingrid, la porta in montagna e ritorna a casa solo per il funerale della madre. Ma l’irrequietezza interna ha la maggiore e riparte il viaggio che lo porterà, tra l’altro anche in manicomio. Alla fine, poco prima di morire, incontra nuovamente Solveigh e, per breve tempo, è travolto dall’amore. Abbiamo incontrato Francesco Vecchione, interprete di Peer Gynt, per scoprire qualcosa in più sul suo ruolo.
Conoscevi la il personaggio di Peer Gynt prima di interpretarne la figura nel balletto di Stjin Celis?
Devo ammettere di sì. Al liceo avevo una professoressa di latino che adorava il romanzo di Peer Gynt. Fu lei che ci fece studiare il libro, in particolare alcune parti, come la morte della madre. Il personaggio non mi era quindi completamente sconosciuto. Dovendolo ora interpretare però, ho dedicato un po’ più di tempo, miratamente allo studio del personaggio che molla tutto e parte alla scoperta del mondo.
Quali sono le emozioni che si ritrovano in Peer Gynt?
Sicuramente c’è molto egoismo. L’egoismo è il sentimento che porta Peer a partire e crea in lui il desiderio di voler regnare su tutto il mondo. Nemmeno l’amore che prova per la donna che incontra lungo il suo percorso lo porta a cambiare: le necessità personali sono per Peer sempre al primo posto. Non è un personaggio a cui il pubblico normalmente vuole bene: è troppo egocentrico per riscuotere le simpatie. Personalmente penso che, in fin dei conti, è un personaggio che ti fa un po’ pena perché si è autodistrutto a causa del suo egoismo. Solveigh, invece, è una ragazzina giovane e pura, incarnazione del bene e dell’amore puro. Verso la fine l’amore fa capolino in scena, seppure il maniera fugace: Peer, prima di morire è di nuovo con lei e, per quel breve tempo, l’egoismo scompare dalla sua vita.
Che sfide personali hai avuto nell’interpretazione di questo personaggio un po’ controverso?
Premesso che sono in scena tutto il tempo ritengo però che la sfida principale sia quella di riuscire a trasmettere il passaggio temporale della storia che a volte ricoprono archi di 5-10 anni. C’è per esempio la scena in cui Peer è nella clinica psichiatrica e nella scena successiva si trova nella nave nel viaggio verso casa. È proprio la creazione della transizione, necessaria perché non puoi pretendere che lo spettatore segua la storia per più di 90 minuti, in cui devi creare il cambio con uno sguardo, un atteggiamento o un costume che rappresenta la vera sfida. È responsabilità del ballerino far capire al pubblico questo passaggio e che si tratta di due momenti ben distinti. Lo stesso avviene con i costumi: lo spettatore deve poter capire quando Peer passa dalla ricchezza alla povertà e viceversa. È la storia di una vita che deve essere riassunta in maniera semplice e fluida.
Sei contento di interpretare questo personaggio?
Molto. Durante la preparazione sono state sondate le simmetrie e gli affiatamenti dei diversi ballerini e sapevo che con Stijn il lavoro sarebbe stato intenso e interessante e sicuramente ricco di esperienze. E ci ho azzeccato su tutta la linea.