Un’occasione importante per l’Italia di oggi, il cui sentimento nazionale è turbato dagli scandali della politica, che lo colpiscono nell’orgoglio, e dalla dialettica secessionista, che lo divide nell’identità. Ma il ministro degli interni, Roberto Maroni, non la pensa allo stesso modo e dice agli italiani che “non andare a lavoro quel giorno sarebbe inopportuno”, come se i 150 anni della Nazione capitassero ogni giorno o come se, peggio, la festa della Nazione fosse da paragonare a quelle della nonna o del papà. Ed è subito guerra. L’alleato ministro della Difesa, La Russa, parla di “tentativo, subdolo ma vistoso, di declassare i 150 anni dell’Unità d’Italia”, mentre la sinistra ne fa un argomento di propaganda politica.
Si ritorna così un po’ indietro, a quando l’anno scorso la Lega nord ammise di tifare Paraguay ai mondiali di calcio, o a quando si batté per cambiare l’inno nazionale, o ancora a quando istigava alla rottura culturale tra gli onesti settentrionali e gli oziosi meridionali.
Quindi chi è nato prima: l’Italia o gli italiani? Da allora sono in molti in Paese quelli che si pongono questa domanda; ed ecco che oggi, sempre dalla politica, arriva l’altra mazzata. Gli scandali che coinvolgono il nostro Presidente del Consiglio hanno minato anche ciò che finora si era salvato, l’orgoglio di sentirsi italiani. Quello che prima, nel bene e nel male, rappresentava ragione di vanto, oggi è diventato per molti qualcosa di cui vergognarsi.
Paradossalmente, però, il nostro Premier, leader forte e dalla dialettica all’americana, ha finito per rafforzare l’identità del suo Paese. Per due ragioni. La prima ce la spiega il giornalista greco Dimitri Deliolanes, che di noi dice: “gli italiani si sentono più legati ad una piccola patria che ad una grande”, scelgono di essere romani, lombardi, siciliani, …, prima che italiani. Ebbene, “l’uomo forte, il leader carismatico, riesce a colmare tale vuoto, così come fu in passato con Benito Mussolini”. La seconda è che, di fronte alla impellente necessità di difendere una Nazione allo sbando, gli italiani hanno messo per un momento da parte le loro storiche differenze regionali e si sono concentrati sull’Italia. “Grazie” anche, come dicevamo, ad una dialettica che annulla i grigi, le complessità, e riduce il Paese in una sempliciotta dicotomia tra due blocchi, tra bianco e nero, tra  bene e male, tra giusto e sbagliato. Così, l’Italia è il Paese delle meraviglie o quello da cui fuggire, è il Paese dei corrotti o degli onesti, di quelli che dicono “Forza Italia” o di quelli che dicono “abbasso l’Italia”, del “popolo della libertà” o di quello del moralismo, dei berlusconiani che lo amano o degli anti che lo odiano, dei berlusconiani che sorridono o dei comunisti che piangono, dei berlusconiani che lottano per la volontà del popolo o degli anti che appoggiano una magistratura rossa.
L’effetto è un generale clima di odio e intolleranza, perché quando in un Paese non ci sono più i grigi a fare da collante tra i due estremi, di solito scoppia una guerra civile culturale. Ed in effetti, sono molti di più quelli che ultimamente si accaniscono con amici o familiari nel parlare di Berlusconi e dei problemi dell’Italia; quelli che, in un attacco di rigetto istintivo, minacciano di stracciare la propria carta d’identità e rifiutare la propria cittadinanza. Di riflesso, sono molti di più quelli che si rendono conto che l’Italia è pur sempre il Paese in cui si è nati, quello che racconta la nostra storia e il nostro vissuto individuale e che, quindi, rinnegarla equivale a perdere la propria identità. Allora, di fronte al serio pericolo di declassare la Nazione che ci racconta, sono sempre di più gli italiani convinti che occorra difendere più che mai l’unità nazionale. Come d’altronde fa da sempre l’altra Italia sparsa per il mondo, quella degli italiani all’estero che raggiungono uniti 60 milioni, quanto il numero di coloro che risiedono dentro i confini nazionali. Ecco perché non è un caso che il Paese abbia voluto dedicare a quest’ultimi la ricorrenza del 150mo dell’unità, appellandosi a quel loro forte sentimento nazionale di cui possono farsi esempio. Ed in effetti, si sa, quando si lascia la propria casa, il sentimento verso quest’ultima si ingrandisce; le differenze, così importanti per chi non l’ha mai abbandonata, vengono accantonate per un’idea di comune patria. D’altronde, a tedeschi o americani le distinzioni regionali o culturali non interessano. Per loro, siamo tutti italiani.