Trattandosi di comuni cittadini europei, tali misure violano le normative sulla libera circolazione e soggiorno in territorio comunitario e si traducono in una mossa politica e discriminatoria senza alcuna base giuridica. Insomma, gli stessi saranno probabilmente già di nuovo in Francia, visto che nessuno può vietare loro la circolazione in territorio dell’Unione europea.
L’invito alla legalità è arrivato dal Parlamento europeo, che qualche giorno fa ha approvato una risoluzione in cui esprime “viva preoccupazione per le misure adottate dalla Francia” ed invita gli Stati membri a “sospendere immediatamente tutte le espulsioni dei Rom”.
La decisione è d’obbligo, visto che la mossa francese ha nuovamente scatenato quel pericoloso dibattito politico in cui dichiarazioni ed intenzioni al limite del razzismo arrivano anche dai  rappresentanti di Governo. L’effetto è un aumento degli episodi di violenza a danno delle minoranze, legittimati da quella politica della sicurezza basata sulla ricerca di un nemico che poi finisce per tradursi nel suo opposto.
Il Parlamento non ha usato mezzi termini e ha giudicato i provvedimenti francesi “una vera e propria discriminazione razziale ed etnica”, con la conseguente violazione della Carta dei diritti fondamentali e dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. A farne le spese è ancora una volta il popolo rom, che in quanto a discriminazione è sicuramente il primo della lista. Secondo i dati in circolazione, l’etnia soffre di un altissimo tasso di disoccupazione a causa di barriere nel mondo del lavoro e nell’educazione scolastica. E non va meglio nel campo dell’accesso al sistema sanitario, con un’aspettativa di vita di dieci anni inferiore rispetto alla media europea.
E che si tratti di discriminazione anche nel caso francese non vi è dubbio. Nell’Ue, vivono attualmente dai dieci ai dodici milioni di rom, e la maggior parte di loro ha acquisito la cittadinanza europea con l’ingresso nella comunità dei propri paesi d’origine. Non ci sarebbe, dunque, alcuna giustificazione giuridica di quanto messo in atto dal Presidente Nicolas Sarkozy, visto che anche i rom devono poter godere di quanto sancito dalla Direttiva 2004/38/CE in merito alla libera circolazione dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari all’interno del territorio comunitario. Sarkozy aveva bisogno, però, di accrescere il proprio consenso popolare ed i rom rappresentano il capro espiatorio perfetto. I provvedimenti francesi rientrano, dunque, a pieno titolo, in quella arcinota politica della strumentalizzazione che utilizza le paure per accaparrarsi voti ed elettorato. Di fronte al diritto, i cosiddetti “rientri volontari” sarkoziani, che altro non sono che espulsioni, risultano del tutto inapplicabili.  E lo sapeva bene questo il Presidente della Repubblica francese, che ha voluto confondere la società civile utilizzando l’espressione “rientro volontario” al posto delle più appropriat “espulsione collettiva” e “rimpatrio volontario”, previsto solo per i cittadini extracomunitari. 
La Direttiva 2004/38/CE non permette in alcun caso l’espulsione collettiva, e questo basterebbe di per sé a condannare quanto effettuato dalla Francia. L’allontanamento è previsto solo per soggetti singoli e solo “per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica”. In questi casi, “i provvedimenti sono adottati in relazione al comportamento personale” e addirittura “la sola esistenza di condanne penali non giustifica automaticamente l’adozione di tali provvedimenti”. Inoltre, “il comportamento personale deve rappresentare una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave da pregiudicare un interesse fondamentale della società”.

Significativo è, poi, un altro principio, quello secondo cui “la mancanza di mezzi economici non può in nessun modo giustificare l’espulsione automatica di cittadini dell’Unione europea”. Non si fa  alcun riferimento ai concetti di  “reddito minimo” o “dimora adeguata”,  tematiche spesso utilizzate quando si parla di rom e tolleranza. 

È prevista, sì, la possibilità di allontanamento nel caso in cui “il soggiorno diventi un onere eccessivo per l’assistenza sociale” del Paese ospitante, ma è comunque obbligo per quest’ultimo “evitare in ogni modo che questo accada”.
Indiscutibile, dunque, la violazione francese della Direttiva. Tocca adesso alla Commissione europea pronunciarsi in merito, e svolgere così il proprio compito di vigilare sull’applicazione del diritto europeo. Al riguardo, nella risoluzione recentemente presentata, il Parlamento europeo ha espresso “profondo rammarico per il ritardo e la limitatezza della reazione della Commissione”.
La Direttiva europea non  è ancora stata recepita da tutti gli Stati membri – ci ha raccontato Gianfranco Schiavone dell’ASGI (Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione -, mentre nel caso di Italia e Francia l’adempimento è avvenuto con decreti legislativi.  Il fatto che in questo caso, così come in mille altri, molti Paesi siano ancora inadempienti dimostra che c’è una seria difficoltà nel processo di costruzione dell’identità europea”.
Certo è che il rumore del dibattito mostra che il problema esiste. La soluzione per molti Stati, tra cui anche l’Italia, è quella di modificare la Direttiva. Questo, però, significherebbe fare un passo indietro nella conquista dei diritti dei cittadini europei. Più lungimirante sarebbe, invece, attuare quelle politiche di integrazione tanto decantate. Al riguardo, il Parlamento ha ricordato che l’Ue dispone di diversi strumenti da utilizzare nella lotta contro l’esclusione dei rom, tra cui “la nuova opportunità di destinare fino al 2% della dotazione complessiva del Fondo europeo di sviluppo regionale alle spese per l’alloggio a favore delle comunità emarginate”. Le risorse dunque ci sono. È la scarsa volontà politica ad immobilizzare la crescita.