Nella foto: Beirut, proteste per la laicità, 2010. Foto di ©Wikipedia

Libano. Nel quadro internazionale con guerre in più paesi, in altri pesanti repressioni, altri colpiti da calamità naturali, come il sisma in Siria e Turchia, si sa poco del Libano che da anni versa in una profonda crisi economica ed istituzionale. La lira libanese è carta straccia. Ne parliamo con don Marwan Youssef, libanese e missionario a Lippstadt

Grande attenzione mediatica attirò la terribile esplosione nel porto di Beirut dell’agosto 2020 che costò la vita a più di duecento persone, provocò centinaia di feriti e distrusse interi quartieri. Questa esplosione inasprì le gravi condizioni economiche in cui già versava il paese del Mediterraneo orientale. Marwan Youssef come vive la gente in Libano? C’è lavoro, funzionano le scuole?

Il sistema scolastico ha perso già il 60% della sua efficacia e capacità di raggiungere tutti. Il sistema bancario sta esalando l’ultimo respiro con la Banca del Libano che perde il controllo sulla moneta, la lira libanese, e che ha quasi perso il controllo sulle banche private; il mercato del lavoro è al collasso, la gente vive non grazie agli stipendi, bensì grazie all’istinto di sopravvivenza della popolazione. Nel 2022 il tasso di povertà ha raggiunto quasi il 70% della popolazione. L’insicurezza sociale porta a violenze, rapine, uccisioni ecc. ed è sempre più preoccupante. La lira libanese ha perso il 98% del suo valore e dall’inizio di marzo i prezzi nei supercemrcati sono indicati anche in dollari. È dall’ottobre 2019 che il margine di povertà e ingiustizia sociale in Libano è cresciuto. Anche il sistema giudiziario sta crollando e ciò fa prevedere un paese sempre meno sicuro e simile allo scenario attuale del Venezuela. Insomma dal 2020 il Libano è uno Stato in fallimento. Ciò che fortunatamente impedisce una seconda guerra civile sono due fattori: una grande percentuale di popolazione ha già vissuto le conseguenze della guerra civile e in nessun modo vorrebbe tornarci; l’unica parte che oggigiorno è armata, a livello spaventoso, è la milizia islamista schiita Hezbollah… e questa non può farsi la guerra da sola…

Accennava all’ottobre 2019. Che cosa successe allora?

A partire dall’ottobre 2019, il governo non poté più nascondere la debolezza della moneta, scambiata a 1.500 lire per un un dollaro e impose più tasse. La goccia che fece traboccare il vaso fu la tassa telefonica su Whatsapp. Nel 21° secolo, dove in tutto il mondo le piattaforme sociali sono a disposizione dei cittadini gratuitamente, in Libano dovevano essere pagate. Questa fu la scintilla che spinse tanti giovani, di tutte le religioni e provenienze politiche, a protestare, e senza saperlo, tolsero la foglia di fico che ancora copriva la menzogna dell’alleanza tra milizia e mafia politica (espressione utilizzata anche dai media libanesi). Dopo sole otto settimane dalle proteste, l’inflazione salì all’ 84,9%, per poi raggiungere il picco del 154,8% nel 2021. La valuta libanese, la lira, perse 90% del suo valore, tanti generi di prima necessità (medicinali, latte dei bambini, ecc) si trovavano con difficoltà al mercato facendo così crescere il contrabbando tra Libano e la Siria in maniera incontrollabile. La frode da parte di commercianti avidi oltrepassò ogni limite.

Alla crisi economica si è aggiunta quella istituzionale: nell’ottobre scorso si è dimesso il presidente. Questo è forse l’ultimo atto di una classe politica in crisi? Che tipo di classe politica governa il paese?

Prima di rispondere a questa domanda, bisogna fare un passo indietro per comprendere l’uscita di scena del Libano dal palcoscenico politico mondiale. Quando la politica isola il paese, in un mondo sempre più globale, la ruota dell’economia cessa di girare. Fino al 1975 che segnò l’inizio della guerra civile libanese, il Paese era sotto il cosiddetto periodo cristiano (in generale), maronita (in modo particolare), intendendo per periodo cristiano, non tanto la religione, bensì il retaggio culturale, sociale, liberale e democratico. I cristiani rappresentavano la maggioranza della popolazione libanese e in più avevano il potere politico attraverso il presidente (fino al 1989 il sistema politico era presidenziale, come quello francese). In quel periodo fu costruita quasi tutta l’infrastruttura economica del paese. Ad esempio il pilastro portante dell’economia, la Banca del Libano, fu istituita dal presidente cristiano (maronita) Fouad Chihab e fu portata avanti e sviluppata dal suo successore Charles Helou. Lo stesso vale per il sistema scolastico: scuole private di suore e di monaci o scuole delle varie diocesi si diffusero in tutto il paese. L’80% dei programmi era in francese e all’avanguardia a livello didattico. Anche il sistema sanitario e ospedaliero venne riformato. Questi tre pilastri dell’economia insieme ad altri come il turismo religioso e culturale, furono incrementati in questo periodo. Allora il Libano veniva chiamato la “Svizzera del Medio Oriente”. I concittadini musulmani sunniti e sciiti, di una cultura religiosa che non conosce separazione tra stato e religione, già allora avevano l’idea di riportare il Libano al mondo arabo musulmano con tutto ciò che questo avrebbe comportato sul piano politico ed economico. Approfittando del numero di palestinesi rifugiati già dal ‘48, e della politica europea ed americana di fare del Libano il paese sostitutivo per i palestinesi, e quindi svuotarlo dai suoi cristiani, i militanti musulmani iniziarono una guerra civile contro i loro concittadini cristiani o, semplicemente, contro i libanesi che credevano in un Libano laico e indipendente. Alla fine della guerra civile nel 1990 ci fu il periodo sunnita, consolidato dall’accordo di Taif (città in Arabia Saudita che ospitò le parti in conflitto libanesi per mettere fine alla guerra civile). In questo periodo, l’economia dipendeva dall’occupazione siriana, e quindi sotto il regime “socialista, dittatoriale” della famiglia Assad in Siria. Questo tipo di regimi, come sappiamo, si basano su clientelismo e corruzione. E in Libano tutta l’economia era basata su una persona, il primo ministro Rafik El Hariri, e sulle sue relazioni internazionali. Dopo il ritiro delle truppe siriane nel 2005, a seguito dell’assassinio di Rafik El Hariri, il Libano entrò nel periodo sciita. In questo periodo il Paese fu isolato non solo dal suo ambiente naturale mediterraneo e culturale europeo, bensì anche dal suo ambiente geografico arabo, giacché l’organizzazione Hezbollah, milizia religiosa dogmatica iraniana, prese il potere in Libano seminando terrore fra il 2005 e il 2009 con l’assassinio di decine di oppositori, come Hariri e Pierre Jumaiel. Questo periodo fu il più duro per il Libano, poiché gli Hezbollah, dichiarata da quasi tutti paesi europei organizzazione terroristica (eccetto la Francia), attraverso le sue braccia politiche, il presidente cristiano Zimmi e il premier sunnita, isolarono economicamente il Libano, cercarono di creare un’alleanza con Cina, Iran e Russia, nel tentativo di aggirare così le sanzioni americane ed poi europee. Questa politica si rivelò fallimentare perché il Libano andava avanti con un’economia chiusa, con un’inflazione sempre crescente e l’isolamento internazionale, fino al punto da non poter più coprire il fallimento economico, da tanto tempo nascosto dall’alleanza mafia-milizia. In questo modo, posso dire che la vera causa diretta della crisi economica libanese, ha una base politica, dovuta all’egemonia e al dominio politico-economico della milizia terroristica “Hezbollah” e dei suoi alleati all’interno del paese.

Seguirono poi scontri fra Hezbollah e Israele nel 2006, a cui seguì una risoluzione Onu. Alla fine degli anni zero occorse una mediazione internazionale per arrivare elezioni politiche e poi la guerra in Siria ebbe pesanti ripercussioni economiche in Libano. Come convivono in Libano le molte confessioni religiose?

La storia moderna del Libano inizia con la sua indipendenza nel 1946 dal mandato francese. Già da allora, ci furono due tendenze contrastanti: una a maggioranza cristiana che sosteneva l’idea di un Libano come nazione indipendente (80% ca. + 20% musulmana) e l’altra a maggioranza musulmana (80% ca + 20% cristiana) che ha sempre concepito il Libano come parte della grande Siria e quindi una regione dello stato Islamico del Medio Oriente. Col tempo, musulmani e cristiani hanno imparato a convivere insieme, a lavorare insieme e a volte anche sposarsi. Tuttavia, la cultura del musulmano è seguire coloro che hanno il potere da Allah e ogni volta che il rappresentante politico e religioso decide qualcosa i musulmani lo seguono. Perciò i due blocchi (cristiani in tutti i loro colori, e i musulmani in tutte le loro confessioni), hanno potuto convivere nella maggior parte della storia moderna del Libano, fino al momento in cui l’Arabia Saudita (influenza sunnita), oppure l’Iran (influenza schiita) hanno deciso altrimenti. Senza voler stigmatizzare i musulmani, solo perché appartengono ad un’altra religione, vorrei evidenziare una problematica socio-culturale nell’Islam, che non permette al musulmano di essere in primis cittadino e poi musulmano, bensì come musulmano appartiene a un califfato senza frontiere e qualche volta gli è permesso di essere cittadino. Sono tanti, i musulmani che si sono liberati da questa concezione e lottano con gli altri libanesi per un Libano libero e per il rispetto reciproco. Tuttavia, la maggioranza di loro vive ancora nel VIII secolo e ciò rende la convivenza, a volte, molto difficile. Secondo me la convivenza in Libano non è mai veramente riuscita, nonostante molti libri dicano il contrario. Essa è riuscita perché è stata costruita sul compromesso di: rispettare i tabù dell’Islam e non toccare il tema storia, ossia la storia dell’Islam, della formazione del Corano, della persona storica di Maometto ecc. Questa più che convivenza è l’accettazione del “dhimma” anche nel 21° secolo, il patto di protezione di un suddito non musulmano di uno stato islamico. Le 18 confessioni che costituiscono i due blocchi in Libano, cioè musulmano e cristiano, iniziano forse adesso, a distanza di 30 anni dalla guerra civile a trovare il modo di convivere insieme in modo sano, basato sull’uguaglianza e non sulla dhimma.

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