Nella foto: Recep Tayyip Erdoğan. Foto di © Gerd Altmann su Pixabay

Grazie ai figli dell’uomo-falco

In lingua turca il cognome Erdoğan significa uomo-falco (Doğan = falco) ma per decine di milioni di turchi egli è un padre verso cui è un obbligo morale covare sentimenti di profondo amore e rispetto a priori. Durante il tumulto di gioia senza precedenti scatenato dai turchi nelle città tedesche quando è stato reso noto il risultato del ballottaggio elettorale, un giornalista ha intervistato un giovane turco della generazione a cui si vuole regalare la cittadinanza tedesca ed europea. Il ragazzo ha espresso subito la sua indignazione ed il suo disprezzo verso la stampa tedesca ed europea che osa criticare il loro leader. Nessuno in Turchia oserebbe mai farlo: ne va di mezzo quello che viene detto „ferire i sentimenti della gente“. Guardatevene bene! „Se offendessero Suo padre, Lei come si sentirebbe?“ ha replicato il giovane turco al giornalista, rifiutandosi aprioristicamente di prendere in considerazione il contenuto delle critiche. Le manifestazioni turche, che davano a molti l’impressione di uno sberleffo in faccia al mondo occidentale, sono arrivate a bloccare l’intero centro della capitale del paese che li ospita; a Mannheim poi, una città il cui centro storico è occupato per ¼ dal quartiere turco, si è arrivati perfino a scontri con la polizia.

Alla vittoria di Erdoğan hanno contribuito in maniera decisiva proprio i turchi stanziati in Germania, che per oltre il 67% hanno votato per lui. Naturalmente molti politici tedeschi sono rimasti zitti ed hanno abbozzato per paura di venire tacciati di „razzismo antiturco“. Per fortuna un politico al disopra di ogni sospetto, in quanto lui stesso di origine turca purosangue, il ministro federale dell’agricoltura Cem Özdemir (dei Verdi) ha dichiarato a chiare lettere che quei cortei di vittoria dei suoi connazionali significano, secondo lui, un rifiuto della democrazia liberale, ed ha auspicato un cambiamento epocale nei confronti dei turchi analogo a quello annunciato a suo tempo da Schröder nei confronti della Russia.

Nei palazzi dei governi occidentali regna il no comment accompagnato da formali auguri per la vittoria elettorale, secondo la prassi. Ma molti si fanno pensieri su quello che ci attende nei prossimi 5 anni del nuovo mandato di Erdoğan, dato che negli anni precedenti abbiamo assistito ai suoi tentativi in parte coronati dal successo di espandere progressivamente l’influenza sull’ex-impero ottomano. E questo va anche a svantaggio degli interessi italiani che finora erano saldamente agganciati al Nordafrica. Di una cosa però possiamo esser sicuri: non c’è più pericolo che la Turchia entri a far parte dell’EU (almeno per i prossimi anni). Il presidente del Parlamento europeo Manfred Weber ha ultimamente definito „una fata Morgana“ questa prospettiva: „Io credo che in lunga durata non ci sarà né ci debba essere“. Per chi ha la memoria corta è il caso di ricordare le discussioni e le polemiche a riguardo le trattative per l’ammissione della Turchia all‘EU, iniziate nel 2005, mentre alcuni grandi intellettuali pubblicavano articoli secondo cui la Turchia avrebbe avuto un sacrosanto diritto (?!) di essere ammessa in Europa, diritto negatole da politici, a loro giudizio, „razzisti e discriminatori“. Adesso si sono tutti zittiti.

Le conseguenze sul campo economico si sono fatte subito sentire, anche se sembrano importare poco ai „figli“ di Erdoğan: il giorno successivo alle elezioni il corso della lira turca è caduto dello 0,58% e gli esperti del settore prevedono un ulteriore peggioramento per via del capitale che vuole abbandonare la Turchia.

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