Trump vi trasferisce l’ambasciata americana suscitando molte critiche e ribellioni. Una decisione che gli Ebrei invece attendevano da tempo

Un atto per alcuni coraggioso e per molti inopportuno, quello del Presidente statunitense che, dopo molti anni di lotte con i Musulmani lì residenti e di petizioni israeliane all’ONU, a dicembre dello scorso anno, ha riconosciuto validi i motivi, storici, culturali e politici, per i quali gli Ebrei volevano che Gerusalemme fosse riconosciuta capitale del loro Stato. Come era stata da più di tremila anni, cioè da quando, nel X secolo avanti Cristo, re David vi aveva costruito il palazzo reale.

La città è luogo santo per le tre grandi religioni monoteiste. Lo è per gli Ebrei che vi eressero l’edificio più importante per la loro religione, il Tempio di Gerusalemme. Ma anche per i Cristiani poiché è il luogo dove Gesù visse gli ultimi momenti della sua vita terrena, venne crocefisso e sepolto. E’ venerata pure dai Musulmani convinti che Maometto vi giunse al termine d’un viaggio notturno, prima di ascendere al cielo da vivo.

Motivazioni religiose, oltre a quelle politiche e storiche, che spingono Semiti ed Islamici a ritenerla loro Capitale. In effetti, Israele, che prese il nome dal suo fondatore (il Giacobbe rinominato Israele dal loro Dio, JAHVE’) ha vissuto nei secoli tante invasioni arabe che ne fecero scomparire la lingua locale, l’aramaico, e provocarono una notevole emigrazione. Poi ci furono le Crociate, effettuate dagli Europei contro i Musulmani del Vicino e Medio Oriente.

Alla fine dell’Ottocento, grazie al Sionismo (movimento il cui scopo era quello di spingere al rimpatrio e di ricreare lo Stato ebraico) ci fu un notevole ritorno in Palestina, causato anche dal diffuso antisemitismo. Per bloccarlo, il 29 agosto 1897, a Basilea, ebbe luogo il Primo Congresso dell’Associazione. Ne seguirono altri, tra i quali quello del 1901 per creare il Fondo Nazionale Ebraico al fine di acquistare terreni in terra d’Israele.

Nel 1904 iniziò la seconda ondata immigratoria, proveniente dalla Russia e da vari Paesi dell’Est europeo, per sfuggire alle persecuzioni che avevano luogo nell’Impero Russo e in altre parti del mondo, a danno dei cittadini ebraici. Rientri in Patria che permisero, nel 1909, di creare Tel Aviv e, sulle rive del lago di Tiberiade, il primo kibbutz, associazione volontaria di lavoratori.

Nel 1917, nel pieno della Prima guerra mondiale, con la Dichiarazione Balfour, l’Inghilterra promise di agevolare la fondazione di un “Focolare nazionale” che, però, non doveva nuocere ai “diritti civili e religiosi delle comunità non-ebraiche della Palestina”. Ed assicurò alla popolazione palestinese che, dopo la sconfitta dell’Impero Ottomano, le sarebbe stata assicurata l’autodeterminazione. Nel 1920, nel corso delle trattative post-belliche, dalla Società delle Nazioni fu assegnato alla Gran Bretagna il Mandato sulla Palestina.

Questo entrò in vigore nel 1923, con l’eliminazione dei territori ad Est del fiume Giordano, dove nascerà la Transgiordania, poi chiamata Giordania. Il che fece negativamente reagire i Musulmani mentre il Movimento sionista lo considerò un primo provvedimento a favore della creazione dello Stato ebraico. Che però nacque solo alla fine della seconda guerra mondiale.

Intanto s’incrementava, in Europa, l’antisemitismo che portò allo sterminio di milioni di Ebrei. Olocausto iniziato in Russia durante la guerra civile (1917-22); diffuso in Germania da Hitler dove sei milioni di uomini, donne e bambini Ebrei furono uccisi dai nazisti tra il 1942 e il 1945; introdotto in Italia da Mussolini che ne fece deportare in Germania più di 8000, dei quali solo in 600 tornarono in Italia; in Francia dove 150 mila ebrei furono massacrati o mandati in campi di concentramento dove morivano per fame o maltrattamenti. Antisemitismo che, nel 2016, fece distruggere una sinagoga in Svezia e spinto 8.000 Ebrei all’emigrazione.

Fatti storici che si aggiungono a quelli culturali e religiosi. I quali hanno spinto Trump a comunicare telefonicamente ai diretti interessati la sua decisione di trasferire l’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme, cioè di riconoscere la Città Santa come Capitale d’Israele, “nel migliore interesse della pace”. Provvedimento, ovviamente, molto apprezzato dai Semiti, ma che ha spinto il Presidente della Palestina, Abu Mazen, a minacciare “la distruzione dell’America e d’Israele” e a maledire Trump sostenendo che “si è voluto portare qui gli Ebrei dall’Europa per proteggere gli interessi europei nella regione”.

Dalla parte dell’Europa gli ambasciatori di Francia, Italia, Gran Bretagna, Germania e Svezia hanno letto alle Nazioni Unite un comunicato congiunto in cui contestano la decisione del presidente americano: “Non siamo d’accordo con la decisione di riconoscere Gerusalemme come la capitale d’Israele e di cominciare la preparazione per spostare l’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme”. Perché “non è in linea con le risoluzioni del Consiglio di sicurezza e non aiuta le prospettive di pace nella Regione”.

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