Nella foto: Simbolo dell’Euro a Francoforte Foto di ©PCB

Intervista a Federico Casolari

10 dicembre 2020 – Alla riunione del Consiglio europeo del 10 dicembre Polonia e Ungheria hanno tolto il veto all’approvazione del bilancio a lungo termine. L’accordo si è trovato perché come contropartita i due stati hanno ottenuto una più lenta e complessa applicazione del meccanismo di condizionalità. Si tratta del meccanismo che fa scattare le sanzioni per quegli stati membri che violano lo stato di diritto. Ecco i punti principali dell’accordo:

  • le sanzioni previste dal meccanismo entreranno in funzione se l’infrazione riguarderà l’uso degli aiuti finanziari europei.
  • La Corte europea dovrà giudicare la validità dell’applicazione del meccanismo.
  • diventa più difficile approvare le sanzioni. Le sanzioni proposte dalla Commissione europea devono essere approvate a maggioranza qualificata, 15 su 27, in sede di Consiglio dell’UE (il consiglio dei ministri competenti). Prima occorreva la maggioranza relativa degli stati membri per bloccare le sanzioni.

21 luglio 2020 – Dopo una maratona di negoziati durati quattro giorni, il 21 luglio scorso i paesi dell’Unione europea trovarono finalmente l’accordo sull’enorme programma di 750 miliardi di euro, il Next Generation EU o recovery fund, per aiutare i paesi europei a uscire dalla crisi economica innescata dalla pandemia. Per poter essere distribuito, il recovery fund deve essere approvato insieme al bilancio a lungo termine (detto anche quadro finanziario pluriennale 2021-2027) all’unanimità dai paesi membri. Si tratta di un pacchetto finanziario complessivo di 1.800 miliardi di euro, dei quali 209 andranno all’Italia. Questi aiuti dovranno tradursi in piani di ripresa e resilienza, i Pnrr, coerenti agli obiettivi europei, e che prevedono digitalizzazione, transizione a una economia green e di inclusione sociale, come ha recentemente ricordato il commissario all’economia Paolo Gentiloni.

La Polonia e l’Ungheria hanno posto il veto sul bilancio, perché vogliono forzare l’Unione europea sullo stato di diritto. I due paesi non sono allineati ai valori fondanti dell’Unione, che riguardano l’indipendenza della magistratura, la libertà di espressione e la situazione migranti e rifugiati. Ora l’erogazione dei fondi europei è nell’Unione condizionata dallo stato di diritto, dal rispetto di valori fondamentali.

Ne parliamo con Federico Casolari, professore associato di legge dell’Unione europea all’Università di Bologna e autore di pubblicazioni in lingua inglese. In italiano è disponibile: Leale cooperazione tra Stati membri e Unione Europea. Studio sulla partecipazione all’Unione al tempo delle crisi (Editoriale Scientifica, 2000). L’intervista è stata fatta i primi di dicembre quando non si era delineata una via d’uscita dall’impasse.

Quali erano gli scenari possibili

Esiste la possibilità di sbloccare il Next Generation EU anche senza l’accordo sul bilancio pluriennale di Ungheria e Polonia?
Da un lato, si è sostenuto che si possa attivare una cooperazione rafforzata, all’interno dei Trattati istitutivi, tra gli Stati membri, pronti ad attivarlo. Dall’altro, si è detto che si potrebbe procedere al di fuori dei Trattati, attraverso la conclusione di un accordo internazionale ad hoc (come successo nel caso del Fiscal Compact o del MES per la gestione della crisi economico-finanziaria). Attenzione, però: non è da escludere l’ipotesi che Polonia e Ungheria decidano di accedere alla cooperazione rafforzata o all’accordo internazionale sul Next Generation EU. È possibile che essi mantengano il veto sul quadro pluriennale, dando però il via libera allo strumento per affrontare la pandemia. Ciò potrebbe considerarsi un passo in avanti, ma in realtà non risolverebbe il problema di fondo, mettendo in pericolo la realizzazione di altre importantissime politiche dell’Unione (ad es. la politica di coesione). Per queste ragioni, la scelta più opportuna sul piano politico rimane quella di “convincere” i due Paesi sul piano negoziale.

Questo braccio di ferro danneggia anche i due paesi dell’Europa dell’est. Fino a che punto Orbán e Morawiecki possono permetterselo?
Assolutamente sì. Non va dimenticato che il quadro pluriennale destina 106 miliardi di euro alla Polonia e 49,3 miliardi all’Ungheria. Difficile, dunque, che essi possano rinunciare a lungo a una così significativa erogazione di fondi. Anche per questo, si potrebbe ritenere che la mossa politica del veto costituisca, in realtà, un bluff, nel tentativo di convincere l’Unione a rivedere il meccanismo di condizionalità fondato sulla rule of law (n.d.r. stato di diritto, come si diceva in alto) che dovrebbe essere adottato per la gestione del bilancio sovranazionale.

Potrebbe questa situazione, che è la punta dell’iceberg di un allontanamento dei due paesi dai valori dell’Ue (si veda stato di diritto), incrinare la coesione dell’Unione e portarla a rivedere a lungo termine anche le condizioni per far parte dell’Unione?
Non vi è dubbio che questa vicenda sia l’ennesima dimostrazione della necessità di affrontare con maggior serietà il tema relativo alla tutela dei valori fondamentali dell’Unione (elencati nell’art. 2 del Trattato sull’Unione europea, TUE: dignità umana, libertà, democrazia, uguaglianza, Stato di diritto, rispetto dei diritti umani, compresa la protezione delle minoranze), che ne costituiscono una sorta di Dna. Tali valori, va ricordato, debbono essere rispettati dai Paesi che domandano di aderire all’Unione (art. 49 TUE). Spetta alle istituzioni dell’Unione verificarne il rispetto, prima che si decida di aprire le porte della cooperazione sovranazionale. È evidente che qualcosa non ha funzionato in questo processo di verifica allorché si è proceduto nel 2004 all’ultimo grande round di adesione all’Unione (in una sola tornata entrarono dieci nuovi Stati, tra i quali Polonia e Ungheria). La modifica per partecipare all’Unione richiede una variazione del diritto primario e, come tale, è difficile, faticosa e incerta. Pertanto, più che ipotizzare una modifica dei trattati, si dovrebbe pensare a una loro applicazione più rigorosa, a partire dalle condizioni per l’adesione e dai meccanismi di controllo sul rispetto, da parte degli Stati membri, dei valori fondamentali; meccanismi, questi ultimi, contenuti nell’art. 7 TUE. Tali meccanismi, al momento, faticano ad essere attivati, essendo considerati una sorta di opzione nucleare. Non è così. La conseguenza più grave cui essi possono portare è la sospensione temporanea di alcuni diritti di membership degli Stati che violano in modo grave e persistente i valori fondamentali dell’Unione. La vera opzione nucleare sarebbe quella di espellere tali Paesi dall’Unione. I Trattati istitutivi non la prevedono, ma il diritto internazionale non la esclude. Forse, di fronte al comportamento di alcuni Paesi, bisognerebbe cominciare a domandarsi se questa eventualità non debba essere presa in considerazione.

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