Le difficili trattative per la formazione del nuovo governo in Germania
Che il prezzo da pagare sarebbe stato quello dell’incertezza politica si era capito già all’indomani delle elezioni del 24 settembre. Si era capito che le trattative all’interno della coalizione “Giamaica” (Unione CDU-CSU, Verdi e FDP) sarebbero state lunghe e complesse. Così è stato. I principali temi discussi sono stati la politica migratoria, l’energia, l’ambiente e le misure per contrastare i cambiamenti climatici. Soprattutto la questione migratoria ha diviso gli animi. Nulla di nuovo. D’altronde è stato proprio cavalcando il malcontento generato dall’emergenza migratoria che il partito Alternative für Deutschland (AfD) ha basato il suo successo elettorale. Che CDU, CSU, Verdi e FDP avrebbero avuto difficoltà a mettersi d’accordo era prevedibile, ma non al punto di far fallire le negoziazioni.
Domenica 19 novembre il capo della FDP Christian Lindner ha abbandonato il tavolo delle trattative. Il giorno dopo Angela Merkel si è recata dal presidente della repubblica Frank-Walter Steinmeier per riferire sulla situazione. Come era prevedibile Steinmeier ha richiamato i partiti ad assumersi la responsabilità di formare un governo nel rispetto del mandato ricevuto dall’elettorato. Martedì 21 novembre ha avuto luogo la seconda seduta del nuovo Bundestag (la prima, avvenuta il 24 ottobre, era servita a nominare Wolfgang Schäuble presidente del parlamento). In questa seduta anche Schäuble ha esortato i deputati a non sottrarsi alle proprie responsabilità ed ha affermato che il momento è, sì, straordinario, ma che non si tratta di una crisi di Stato e che la Costituzione contiene gli strumenti per gestire adeguatamente le difficoltà. Giovedì 30 novembre c’è stato un incontro tra Steinmeier, Merkel, Seehofer e Schulz. I risultati non sono stati resi noti, ma è chiaro che l’Unione CDU-CSU spera che la SPD accetti di governare di nuovo insieme.
Dopo il fallimento della coalizione Giamaica una riedizione della Große Koalition rappresenta l’alternativa più probabile per dare un governo alla Germania. Questa soluzione, inizialmente scartata da Schulz, sarà ora oggetto di dibattito all’interno della SPD. Nel partito sussistono forti resistenze a un governo di larghe intese. Molti preferirebbero che la SPD ne rimanesse fuori, dando di volta in volta in parlamento il proprio sostegno a un governo di minoranza, governo che sarebbe del tutto inedito e pieno di insidie. L’ultima alternativa è, infine, quella rappresentata da nuove elezioni.
Dunque per la prima volta dal 1949 uno scenario nuovo e pieno di incertezze incombe sulla Germania. Ciò la rende paragonabile all’Italia dove le crisi politiche sono all’ordine del giorno. Come accade in Italia, la delicata fase comporterà un forte coinvolgimento del presidente della repubblica.
Rispetto al suo omologo italiano, il presidente tedesco ha però poteri meno ampi. Non può ad esempio conferire a un tecnico l’incarico di formare il governo (ricordiamo che nel 2011 a seguito della crisi del governo Berlusconi Giorgio Napolitano diede l’incarico a Mario Monti, economista, professore universitario nonché ex commissario europeo).
Fin qui, in estrema sintesi, i fatti. Ai quali aggiungiamo alcuni commenti e considerazioni.
Una prima considerazione riguarda la storia.
Nel 1933 l’avvento al potere di Adolf Hitler segnò la fine della Repubblica di Weimar ovvero di un periodo, iniziato con la fine della prima guerra mondiale, in cui nonostante le difficoltà economiche la società tedesca aveva conosciuto una fase di relativa crescita accompagnata dal tentativo di attuare una democrazia liberale. Fu proprio questa democrazia che consentì l’ascesa del nazionalsocialismo. Pur essendo molto lontana e diversa, nel tempo e nei fatti, dalla Repubblica di Weimar la situazione attuale trova nel successo del partito di estrema destra AfD un elemento di analogia inquietante, almeno sul piano culturale.
La litigiosa gestione della crisi migratoria ha alimentato il consenso verso AfD mettendo a rischio la stabilità politica e la stessa sopravvivenza dei partiti tradizionali tedeschi. A dimostrazione di ciò si pensi a cosa è successo nella politica della vicina e ricca Austria. E’ dunque lecito chiedersi se il perdurare dell’attuale fase di instabilità potrà portare ulteriori consensi alla retorica populista di AfD.
Una seconda considerazione riguarda l’Europa.
La fase di stallo della politica tedesca è conseguenza della indeterminazione, se non della latitanza, della politica europea. Migrazione, ambiente, clima, energia (ma anche esteri, sicurezza, difesa e perfino fisco) sono temi che richiederebbero un approccio globale per la ricerca di soluzioni comuni e condivise a livello continentale.
In assenza di una politica europea che detti regole e stabilisca obiettivi condivisi, l’onere di colmare il vuoto è ricaduto sulle singole nazioni. Questo è successo anche per la Germania che oggi paga il prezzo della incapacità dell’Europa di adottare una politica comune rispetto ai grandi problemi che attanagliano il mondo nel 21esimo secolo.
Per contro l’incapacità della Germania di dotarsi, nell’affrontare i suddetti temi, di una politica condivisa a livello nazionale, si ripercuote inevitabilmente sull’Europa indebolendola ulteriormente.
La terza e ultima considerazione riguarda le persone, uomini e donne, che hanno scelto e scelgono di fare della politica il proprio mestiere.
Ciò che sta mancando alla Germania in queste ore è il coraggio di cogliere la sfida che l’attuale momento storico le pone davanti: quella di farsi promotrice se non della rinascita almeno della difesa (ma dovremmo dire della salvezza) della idea europea. Se, in un improbabile rigurgito di orgoglio, questo coraggio emergesse, non basterebbe a risolvere i problemi.
Esso dovrebbe essere accompagnato da altre virtù e capacità, in primis da una visione strategica e progressista della società e della convivenza delle nazioni. Tutto ciò oggi manca, in Germania come nel resto d’Europa e del mondo, semplicemente perché la società non riesce a produrre politici all’altezza delle sfide attuali.
Consapevoli della loro incapacità, quelli che ci sono non sanno fare altro che litigare tra di loro e perfino fomentare guerre.