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Il tempo che stiamo attraversando è tinto ancora di incertezza, di stanchezza e di paura. “Fitte tenebre si sono addensate sulle nostre piazze, strade e città; si sono impadronite delle nostre vite riempiendo tutto di un silenzio assordante e di un vuoto desolante, che paralizza ogni cosa al suo passaggio: si sente nell’aria, si avverte nei gesti, lo dicono gli sguardi”. Così papa Francesco descriveva i sentimenti dell’intera umanità nel cuore della Quaresima dello scorso anno e quest’anno invece si è anche addensata la nube della guerra, non bastava la pandemia. Ed ecco che partendo dalla Quaresima si arriva alla Pasqua attraverso la croce, ma proprio la croce diventa la vera via alla Vita, non solo perché ci narra di un Dio che fa con noi un’alleanza d’amore, ma perché proprio tramite la croce Dio è entrato nella morte per svegliarci da essa. Le tenebre vengono meno, non riescono a trattenere la potenza della luce. E anche quando ci si trova immersi nel peccato, tutto il mistero della Pasqua ci fa percepire una forza che dissipa la nostra notte, la riveste di speranza e la inonda di una luce che lava ogni colpa. Tutto questo grazie anche ai simboli che la Pasqua ci propone: la colomba con un ramoscello d’ulivo, le campane che suonano a festa, il coniglietto e le uova. È Pasqua; è l’inizio di una vita nuova, nella luce del Risorto che ha squarciato le tenebre, ha spezzato le catene della morte, ha rimosso il macigno che chiudeva il sepolcro. Ci ha insegnato che la morte fisica è solo un passaggio necessario (Pasqua, appunto) per entrare nel Regno dei cieli, per conquistare l’eternità, per tornare alla casa del Padre, che è gioia, pace, amore.

Ma ci sta in terra il vero amore che Cristo ha annunciato e donato con la sua vita?

Amore che vuol dire pace, concordia, armonia, unione. Ecco allora che per poter credere alla pace di Pasqua, in questo periodo travagliato, bisogna trovare l’identikit del perfetto mediatore, che purtroppo manca. O, meglio, l’identikit c’è, ma non è facile trovare chi gli corrisponda e voglia assumersi il ruolo. Pertanto, ci si rifà ai diversi richiami pasquali, che fanno bella mostra di sé nelle vetrine dei negozi dove compare anche un simpatico coniglietto che porta delle uova. La sua presenza non è casuale ma si richiama alla lepre che sin dai primi tempi del cristianesimo era presa a simbolo di Cristo. Inoltre, la lepre, con la caratteristica del suo manto che cambia colore secondo la stagione, venne indicata da sant’Ambrogio come simbolo della risurrezione. Invece, apparentemente, la tradizione dell’uovo pasquale sembra non avere niente a che fare con la tradizione cristiana della Pasqua, ma questa – come vedremo – è una convinzione errata. Fin dagli albori della storia umana l’uovo è considerato la rappresentazione della vita e della rigenerazione. I primi ad usare l’uovo come oggetto bene augurante sono stati i Persiani che festeggiavano l’arrivo della primavera con lo scambio di uova di gallina. Anche nella antica Roma esistevano tradizioni legate al simbolo delle uova. Ed è proprio con il significato di vita che l’uovo entrò a far parte della tradizione cristiana, richiamando alla vita eterna.

Nella cultura cristiana questa usanza risale al 1176, quando il capo dell’Abbazia di St. Germain-des-Près donò a re Luigi VII, appena rientrato a Parigi dalla IIa crociata, prodotti delle sue terre, incluse uova in gran quantità. L’uovo è appunto simbolo della vita che si rinnova ed auspicio di fecondità. Oltre alla delizia delle uova di cioccolato, in tutto il mondo esistono tradizioni pasquali che prevedono la realizzazione di uova artistiche. In particolare, bellissime e famose sono le uova ucraine, dette Pysanky, ossia “cose che sono scritte sopra”. Le Pysanky sono realizzate con un processo di tintura fissato con cera e donate in un cestino di vimini foderato d’erba. Ma quest’anno ce ne saranno? Altro simbolo importante che ci ricorda la Pasqua: il suono delle campane a festa. Le campane hanno sempre avuto, fin dall’antichità, diverse funzioni, come ad esempio l’uso di ricorrere a suoni particolari per convocare il popolo cristiano alla celebrazione liturgica, per informarlo sugli avvenimenti più importanti della comunità locale, per richiamare nel corso della giornata a momenti di preghiera. La “Voce delle campane” esprime, in diverse culture anche guarigione, elevazione spirituale. E proprio in riferimento a quanto succede in questo tempo è bello ricordare come in Russia nel 1771 ci fu una grande epidemia di peste che colpì principalmente la gente povera, i lavoratori delle fabbriche e delle manifatture che vivevano in condizioni igienico sanitarie pessime. Ci fu inevitabilmente una rivolta civile. Dopo la repressione della rivolta per ripristinare l’ordine, il governo inviò a Mosca quattro reggimenti di guardia sotto il comando di Grigorij Orlov, favorito dell’imperatrice Caterina II.

Per combattere l’epidemia, Orlov ordinò l’apertura di nuove quarantene, la costituzione di ospedali specializzati per le malattie infettive, un aumento del numero di ospedali di medicina generale e un aumento degli stipendi per i medici. Ma una leggenda narra che il Generale ordinò a tutte le chiese di suonare le campane 24 ore su 24 ed il tasso di mortalità iniziò a diminuire. Allora il Conte ordinò che si continuasse a suonare le campane, convinto che le vibrazioni potessero guarire le persone. Ma non dobbiamo dimenticare anche il romanzo dal titolo “Resurrezione”, del grande scrittore russo Lev Tolstoj, dove a un certo punto viene detto:

“…Ma gli uomini – i grandi, gli adulti – non smettevano di ingannare e tormentare sé stessi e gli altri. Gli uomini ritenevano che sacro e importante non fosse quel mattino di primavera, non quella bellezza del mondo di Dio, data per il bene di tutte le creature, la bellezza che dispone alla pace, alla concordia e all’amore, ma sacro e importante fosse quello che loro stessi avevano inventato per dominarsi l’un l’altro”.

In questi tragici e drammatici giorni della guerra in Ucraina in cui assistiamo all’uomo che rifiuta l’amore, si decide per la morte e la violenza, che si abbandona alla sete di potere incontrollato, di chi è la colpa?

In questi giorni in cui vediamo anche tanti che allungano le mani – e tutto quello che possono – per aiutare, sollevare, accogliere, donare, malgrado e nonostante tutto, di chi è il merito? Colpe e meriti, dopo Gesù, non possono essere più misurati secondo la logica della “causa-effetto” ma secondo la legge dell’amore. Il cuore di Dio non si scalda di fronte la pratica di un precetto religioso, all’osservanza delle regole, di cosa – per gli uomini – è peccato o non lo è, il cuore di Dio si scalda solo di fronte ad un cuore che, rivolgendosi a lui, si impegna nell’amare e nell’amore. Ma questa che stiamo vivendo oggi è e sarà una vera Pasqua di pace e di amore o solo una Pasqua di guerra e distruzione e non certo di Resurrezione?

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