Industria e politica tedesca alla ricerca di una realistica e sostenibile visione della futura mobilità

Sono entrati in vigore i primi divieti di circolazione delle auto diesel dopo che il governo di Berlino ha approvato la legge che dovrebbe spianare la strada ai processi collettivi degli automobilisti truffati. Mandato americano di cattura nei confronti dell’ex amministratore delegato VW, Martin Winterkorn.

Da una decina di giorni ad Amburgo è in due grandi arterie di comunicazione è entrato in vigore il divieto di circolazione delle auto diesel. La città anseatica è la prima in Germania ad aver deciso una simile misura restrittiva nei confronti di auto equipaggiate con motori ad auto-accessione ritenute responsabili di danneggiare in misura rilevante l’ambiente. Altre città si sono dette pronte a seguirne l’esempio ma per il momento hanno deciso di soprassedere in attesa di poter valutare i concreti risultati dell’iniziativa di Amburgo. La misura potrebbe anche rilevarsi del tutto inefficiente e già prima di entrare in vigore è stata pesantemente criticata da tutte le associazioni ambientali. Per il momento va rilevato che, nonostante gli appelli della Commissione Ue e di alcuni ministri dello stesso governo di Berlino, Angela Merkel non ha mosso sinora un solo dito per indurre l’industria tedesca dell’auto a riparare i danni causati dai motori diesel. Presto saranno trascorsi circa tre anni da quando gli americani hanno scoperto lo scandalo dei motori diesel truccati Volkswagen, la quale per quanto riguarda gli automobilisti europei non ha nemmeno mai trovato modo di scusarsi in modo credibile per il danno loro arrecato.

Milioni di motori illegali

Il ministro federale dei Trasporti Andrea Scheuer (Csu) ha invitato “VW & Co” a mantenere l’impegno di aggiornare entro la fine dell’anno corrente nelle auto diesel il software responsabile dell’alto livello raggiunto dall’ossido di azoto (NOx) in molte città tedesche ed europee. Nota bene: quando il ministro Scheuer parla di aggiornamento del software non significa in nessun modo intervenire nella tecnica del motore, la quale resta esattamente quella di prima. In sostanza, nella migliore delle ipotesi il risultato sarebbe soltanto quello di una leggera riduzione del volume dell’inquinamento con il rischio, secondo alcuni tecnici inevitabile, di compromettere seriamente la durata del motore. A parte il fatto che non è ancora per niente chiaro chi alla fine pagherà l’aggiornamento del software. Un intervento vero e proprio sui motori diesel truccati, così sentenziano unanimi gli esperti, non verrebbe a costare meno di 4mila – 5mila euro. Sinora l’industria automobilistica tedesca ha sempre respinto con grande energia l’ipotesi di voler o poter assumersi l’onere di un simile costoso intervento. Va ricordato che soltanto in Germania le auto diesel da sottoporre a un simile radicale trattamento sono almeno 5,3 milioni. Più decisa della sua collega ai Trasporti si è dimostrata, invece, Katarina Barley, ministro federale della Giustizia la quale ha chiesto un aggiornamento tecnico dei motori ad autoaccensione sostenendo che l’eliminazione del danno è il minimo che si possa pretendere dall’industria che l’ha causato. La quale, però, sinora si è comportata come se il suo impegno non andasse oltre un certo aspetto morale. Anche il ministro federale per l’Ambiente, la signora Svenja Schulze (Spd) ha condiviso la tesi della sua collega alla Giustizia proponendo un piano di modifiche tecniche sulla base di priorità regionali che privilegino quelle città già decise ad adottare un programma di divieto di circolazione per i più vecchi modelli delle auto diesel. Il ministro Schulze ha espresso, inoltre, la convinzione che il solo aggiornamento del software dei motori diesel garantirebbe una riduzione dell’inquinamento dei motori di solo 25-30%, del tutto insufficiente quindi per assicurare un significativo miglioramento dell’attuale inquinamento ambientale. Comunque, anche il ministro dell’Ambiente ha rilevato che non esisterebbe un modo legale per costringere l’industria tedesca a pagare la forte svalutazione delle auto diesel acquistate. Sarebbe opportuno, si fa osservare a questo punto, che i politici di Berlino spiegassero in modo chiaro e per tutti comprensibile come mai VW, Bmw e Daimler non siano tenute a pagare i danni causati con il loro software illegali.

Processi collettivi

Di positivo negli sviluppi della vicenda dieselgate c’è che il nuovo governo di grande coalizione guidato sempre dalla Merkel ha approvato la legge della Musterfeststellungsklage, una specie di class action di modello anglosassone, la quale spiana anche in Germania la strada ai processi collettivi (Sammlerklage). La Musterfeststellungs-klage entrerà in vigore il primo di novembre offrendo a tutti gli acquirenti di un’auto diesel truccata la possibilità di contestare l’acquisto entro la fine dell’anno corrente, quando scadrà l’accesso alle vie legali di contestazione . Soddisfatto così, almeno in parte, un diritto che anche in Germania si ritiene irrinunciabile, resta ora da vedere se l’industria automobilistica tedesca riterrà opportuno riflettere sul rifiuto di intervenire a sue spese per assicurare l’aggiornamento delle auto equipaggiate con motori diesel illegali e che di conseguenza non potranno circolare in determinate strade o zone delle città che denunciano un inquinamento di NOx superiore ai limiti previsti dalla legge. Il nuovo ministro federale dell’Ambiente, signora Svenja Schulze, ha esortato l’industria automobilistica tedesca a decidere finalmente l’onore di assumersi l’onere finanziario di aggiornare i vecchi diesel. Chi imbroglia alla fine deve pagare, così il tenore delle dichiarazioni della Schulze. Suona bene, ma anche nella grande Germania vale il proverbio “tra il dire e il fare c’e di mezzo il mare”.

Complicità industria-politica

Tutto al momento lascia pensare che Vw, Bmw e Mercedes non abbiano affatto intenzione di rinunciare al diesel, nella convinzione di poter modificare il motore in modo di assicurare in futuro il rispetto delle severe norme ambientali come minimo nella versione ibrida insieme con un motore elettrico. Ciò è legittimo ma l’esperienza insegna che bisognerà stare attenti agli imbrogli, come quello della compatibilità ambientale del diesel, orchestrato per decenni dall’industria tedesca con l’aiuto della Bosch. Un imbroglio orchestrato dal un cartello che non ha precedenti nella storia dell’automobile e che è stato scoperto soltanto grazie agli americani.

L’opinione pubblica vorrebbe chiarito come sia mai stato possibile che tutti i dipendenti del gruppo Volkswagen, a partire da Winterkorn e dai più o meno importanti manager fino all’ultimo operaio nelle linee di montaggio dei motori diesel, siano caduti letteralmente dalle nuvole nell’apprendere la notizia che la Volkswagen per decenni aveva equipaggiato i suoi motori con un congegno che falsificava i dati di emissione dei suoi gas nocivi.

Anche nell’autunno del 2015 quando gli USA diffusero la notizia dello scandalo dieselgate e la direzione Volkswagen presentò formalmente le sue scuse non c’è stato nemmeno un solo dipendente a Wolfsburg che abbia detto: “Sì, io sapevo”. Omertà assoluta. Il processo Volkswagen a Braunschweig dovrebbe cominciare quest’autunno ma l’impressione è che le autorità giudiziarie stiano “menando il cane per l’aia”, come si dice in questi casi, e facciano tutto il possibile per rinviare “sine die” il processo.

È evidente che anche l’apparato della giustizia tedesca si rende conto dell’enorme portata del danno che al prestigio del “made in Germany” deriverebbe dalla conferma di una congiura tra industria e politica tedesca nella gestione dell’incriminato software dei motori diesel.

Intanto, la giustizia americana ha emesso un ordine di cattura nei confronti dell’ex-amministratore delegato della VW, Martin Winterkorn, formulando addirittura anche alcuni dubbi su un possibile coinvolgimento nella vicenda dieselgate di Herbert Diess, suo successore alla guida del grande gruppo automobilistico di Wolfsburg.

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