„Quanti morti occorreranno ancora, prima che si cessi di guardare alla guerra come strumento per risolvere le controversie tra gli Stati per l’arbitrio di voler dominare altri popoli?“ (presidente S. MAttarella)
Lo stesso interrogativo se lo sono posti soldati tedeschi ed italiani in congedo, intervenuti al Waldfriedhof di Stoccarda per il 38esimo anno consecutivo perché spinti dalla comune necessità di commemorare le vittime dei conflitti mondiali a 80 anni dalla fine della Seconda Guerra mondiale.

L’officiante don Fabio Seccia, nell’omelia, ha ricordato l’incondizionato impegno umano e civile degli Alpini e dei Gebirgsjäger di offrire aiuto quando altri si tirano indietro per paura o egoismo. Ed ha aggiunto:
“Con la vostra presenza oggi confermate ancora una volta che l’amore resiste e si rinnova. La gente vi riconosce come custodi, fratelli e amici, perché ciò che fate, lo fate con la stessa cura che si riserva alle persone più care. Per questo siete fratelli di tutti.”
A lui ha fatto da eco Fabio De Pellegrini, instancabile organizzatore di questo evento, capace di aggregare ex Alpini ed ex Gebirgsjäger che fino all’8 maggio del 1945 erano nemici e da 80 anni sono invece amici, forti difensori, forieri e sostenitori di pace. Una pace che però attualmente sta vacillando anche in Europa.
“Purtroppo il mondo attuale non pare proprio che abbia ancora imparato abbastanza dal dolore della guerra. Infatti, attoniti, stiamo assistendo ai molteplici focolai di guerre, anche fratricide che in molte parti del pianeta in cui uomini, donne, bambini ed anziani soffrono e muoiono per conflitti che sembrano non aver fine. Mi auguro che questa giornata di lutto serva a ricordare che la pace non è un dono acquisito, ma un impegno quotidiano da rinnovare ogni giorno con gesti di rispetto, di solidarietà e di umanità”.

Toccante è stato anche il di discorso commemorativo pronunciato con visivi momenti di commozione dal Presidente della Sezione Gebirgsjäger in congedo di Stoccarda, Cap. Christian Schweiger:
“Macerie, miseria, caduti, dispersi, feriti, prigionieri, vittime della violenza di un sistema ingiusto e abominevole, profughi, innocenti, criminali di guerra, fame e finalmente fine della violenza, questo era il desolato quadro dell’Europa del 1945. È di fronte a questa disumana e abominevole realtà che ogni persona ha il dovere civile e morale di adoperarsi nel proprio “io” per la salvaguardia di vite umane e della libertà. Terrorismo, estremismo, antisemitismo, violenza e razzismo sono un cancro che stronca vite e rende difficile qualsiasi convivenza fra i popoli.”

Forte è stato anche l’accorato appello alla pace del Console Generale, Laura Lamia:
“Oggi, in un tempo attraversato da conflitti, il silenzio pesa quanto le parole e il ricordo diventa dovere. La pace è un bene fragile, che va custodito ogni giorno, con le scelte, con l’educazione, con la responsabilità. Dobbiamo saper leggere la storia per costruire il domani. Un popolo che dimentica il proprio passato, che smarrisce il senso del sacrificio dei sui figli migliori, è un popolo che rischia di smarrire sé stesso. È nostro dovere, pertanto come comunità, come cittadini e come rappresentanti delle istituzioni, trasformare la memoria in azione: nell’educazione delle nuove generazioni, nella promozione della pace, nella difesa dei valori democratici e nel rispetto della dignità umana.”

Alla celebrazione congiunta degli Alpini e dei Gebirgsjäger hanno partecipato numerosi connazionali, il sindaco del capoluogo svevo-badense, Frank Nopper, il presidente del Comites, Gino Bucci, e il coro della nostra Missione Cattolica, diretto dal M° Detlev Dörner. Al suono del Silenzio, eseguito ogni anno dal noto trombettista Rheinhold Kaschytza sono state deposte, in forma solenne, corone di fiori con nastri tricolori italiani e tedeschi sulle tombe del Milite Ignoto.
Dibattito sul ripristino del „Servizio di leva“
La Giornata della Memoria e del Lutto nazionale deve, quindi, rinnovare la nostra inesauribile aspirazione alla pace. Tuttavia, pur senza addentrarci in analisi geopolitiche, aleggia attualmente il serio problema della difesa sia in Italia che in Germania.
Infatti, il pubblico dibattito in atto sul ripristino del “Servizio di leva” ne è l’anticamera di un problema vero, concreto, che la Germania vuole e deve affrontare. Le Forze armate professionalizzate sono di fatto diventate “pubblico impiego” con personale che, nella stragrande maggioranza dei casi, resta in divisa fino alla pensione.
Attualmente, come noto, l’Europa filo-NATO sta vivendo una pericolosa fase di tensione con la Russia di Putin per cui il termine “armi” sta riacquistando il suo significato più crudo, ossia strumento di morte. E in questo dibattito, in corso in Germania, si inserisce anche la concreta situazione di migliaia di figli di nostri connazionali che, in virtù della legge sul diritto di cittadinanza per luogo di nascita, entrata in vigore all’inizio del nuovo Millennio, potranno essere chiamati anche loro. Da gennaio 2026 dovranno compilare un questionario online per il “Servizio di leva”. Come noto, la Germania ha varato una riforma del servizio militare che, in prima battuta, non reintroduce la “Leva” obbligatoria per tutti, ma per i ragazzi nati nel 2008. A partire poi da luglio 2027 scatterà l’obbligo della “visita di leva”.
Essa sarà obbligatoria per i maschi e facoltativa per le femmine. Ovviamente questo atto può essere inteso come “anticamera” alla reintroduzione del servizio militare obbligatorio che il governo in carica potrà imporre con un semplice decreto.
Alla luce, quindi, di una maggiore presenza di militari, necessaria per garantire la difesa nazionale, gli impegni NATO e gli interventi nelle emergenze gli attuali 182mila soldati della Bundeswehr non bastano più. Perciò il ministro della Difesa, Boris Pistorius (socialdemocratico), punta in alto e sta predisponendo un piano che prevede di portare, entro il 2035, l’organico dei militari professionisti, dagli attuali 182.000 a 260mila unità. Quanto alla retribuzione una recluta, a seconda dei ruoli e qualifiche, potrebbe guadagnare dai 2.600 ai 3.800 euro lordi al mese con un servizio di 35-39 ore settimanali. Il netto, come si ricorderà, è pari al 65% dello stipendio lordo..
È senza dubbio un obiettivo ambizioso che però finora né attraverso campagne pubblicitarie e né di reclutamento sono riusciti a raggiungere. Questo piano politico favorirà certamente un incremento dell’industria degli armamenti che, secondo fonti accreditate, nel 2024 ha raggiunto un valore record di circa 13 miliardi di euro. La Germania si conferma così uno dei maggiori fornitori di armi a livello globale. La maggior parte delle esportazioni riguarda veicoli cingolati e su ruote per un valore di 4 miliardi, seguiti da bombe, siluri e missili per 3 miliardi, e navi da guerra per 1,5 miliardi di euro.
Di questo boom dell’industria degli armamenti ne sta beneficiando la Rheinmetallfabrik di Unterlüss, in Bassa Sassonia, avviata a diventare la più grande fabbrica di munizioni in Europa con i suoi 3.200 dipendenti, numero destinato a crescere con prossime nuove assunzioni. Già in fase di prova è la produzione di 350 mila proiettili da 150 millimetri, misura standard della NATO che dovrà entrare a regime entro il 2027. Di legna sul fuoco ce n’è abbastanza.
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