Nella foto: Ambrogio Donini. Foto Wikipedia

Uno storico comunista pieno di speranza qui ed ora

Si può essere al contempo ateo, storico del Cristianesimo e dirigente stimato del partito Comunista? La risposta è sicuramente positiva se si guarda alla figura tormentata di Ambrogio Donini, uno dei maggiori studiosi di storia del Cristianesimo: la Sua Storia, edita dalla Teti nel 1975, la ricordiamo averla studiata proprio negli anni della licenza classica.

E da questa opera controversa quanto essenziale per uno studioso di storia, occorre ora iniziare, accompagnandone il breve esame con notazioni di vita e di fede laica, singolarmente analoghe di coloro che vivono in armonia alla Fede Cristiana. Il predetto saggio storico esce dalle mani di Ambrogio quando mancano pochi anni all’esperienza finale della sua costante militanza nel PCI consacrata nella direzione organizzativa e culturale della rivista Interstampa, organo politico dell’ala più dura e più pura di quel Partito, la c.d. confraternita degli intellettuali filosovietici cossuttiani, di cui facevano parte studiosi come Ludovico Geymonat, veterani del Comunismo (Paolo Robotti) e tanti semplici aderenti, tutti credenti nel Dio Sovietico (1981).

Ma tutti anche antiberlingueriani e dunque fortemente favorevoli agli interventi armati sovietici in Cecoslovacchia (1968) ed in Afghanistan (1979). Come direbbe un lettore del Vangelo e del passo in cui Cristo risponde alla domanda capziosa se il Cristiano è colui che vive i Comandamenti e che è un discepolo di Cristo; così anche il Donini è stato un uomo di Mosca, in Italia fin dal 1927, dopo anni di studio universitario a Roma, titolare di Storia delle Religioni e del Cristianesimo, discepolo prediletto di Ernesto Buonaiuti padre del modernismo cattolico italiano. Da lui eredita la passione ed il metodo dell’analisi scientifica delle origini e dello sviluppo del cristianesimo. Il suo primo studio Ippolito di Roma, polemiche teologiche e controversie disciplinari nella chiesa di Roma del III secolo (1925), dove il pensiero immanentista del Buonaiuti è assai evidente.

Datosi alla sequela comunista, è già evidente il paragone con il Maestro Ernesto, che lo ama fino a condividerne le sorti per essere anch’egli espulso dal mondo accademico e per essere anch’egli oppositore del Fascismo. Anzi nel 1928 è perfino inseguito dall’O.V.R.A. perché attivista clandestino del PCI. Il destino lo preserva dal carcere solo perché riesce a raggiungere gli U.S.A. dove ottiene un dottorato di ricerca ad Harvard. Qui impara l’aramaico e l’ebraico, saltellando da una Università all’altra come professore di storia del Cristianesimo. Ora conosce la moglie ucraina in fuga dal governo nazionalista che ha preso il potere dopo che l’Unione Sovietica le ha concesso un ampio grado di autonomia, prima che Stalin la rioccupasse negli anni ‘30. Il decennio successivo lo vede in missione sovietica dovunque Mosca avesse interesse a rinforzare l’ala clandestina ed ideologica, specialmente in Paesi soggetti a dittature di segno opposto. Italia, Germania, Spagna e tutti gli altri paesi occidentali sono il terreno di una sua viva propaganda marxista e leninista, perfino in Tunisia ed in Svizzera.

Esiliato con Emilio Sereni, incontra Monsignore Mariano Rampolla del Tindaro, capo dei monsignori ex modernisti ed amico dai tempi degli studi universitari con Buonaiuti, col quale ritorna a dialogare in nome della comune battaglia antifascista. Il rapporto con gli anarchici, vivaci in America, ma dopo la guerra di Spagna alquanto critico, si fa spesso più controverso, specie dopo l’assassinio del loro capo Carlo Tresca, operazione che è considerata anche a sinistra una manovra diretta dallo stesso Donini per ordine di Togliatti e dello stesso Stalin.

Quasi una seconda emulazione che Ambrogio pensa di rivivere come non solo un novello Paolo diffusore del Cristianesimo, ma anche un novello Atanasio che si batté con tutte le sue forze contro l’eresia di Ario nel quarto secolo dopo Cristo. Qui non c’è spazio per tutte le connesse vicissitudini del Donini fino al 1945, data del suo rientro definitivo in Italia e perciò rinviamo alle notizie aggiornate da Luciano Canfora nel suo saggio Gramsci in carcere e il fascismo, uscito nel 2012 dopo venti anni dalla morte di Ambrogio.

Dal 1946 al 1973, la militanza pansovietica in politica interna e nella cultura critica e storica non cessa: ogni istituzione comunista – Comitato Centrale PCI, Presidenza Istituto Gramsci, direzione di Rinascita, ecc. lo hanno visto presente e polemico contro le aperture democratiche dal PCI e contro l’atlantismo italiano.

Per 13 anni – 1960/1973 – insegna la sua Storia del Cristianesimo, con acribia metodologica molto utile ai nuovi ricercatori, applicando e rinnovando nozioni filologiche che il citato Canfora, suo alunno a Bari, gli ha sempre riconosciuto fino alla morte. Venendo ora all’opera da cui partimmo, La storia del Cristianesimo, nel 1975 fu un’opera innovativa perché apparve non solo a corredo degli studi di Engels e Kautsky, ma anche perché rilesse criticamente le fonti che aveva ritrovato negli Archivi Americani. Un vasto numero di documenti che esponeva in modo analitico e sintetico ad un tempo. Non era una storia religiosa, né una mera apologia della Fede; neppure si limitava alla critica dei dogmi. Era piuttosto una ricerca della religione come storia umana, cioè una storia legata alla realtà strutturale della società, una sorta di associazione cristiana fuori dal Cristianesimo delle forme. Un profilo schiettamente marxista, nel senso di identificazione della religione con una comunità di uomini.

A pag. 69, quando parla della trasmissione del Vangelo di Gesù, afferma: la storia della trasmissione di un testo è sempre quella degli uomini che vi hanno lavorato… è la storia della trasmissione dei dati raccolti dalla devozione popolare sulla vita, passione e morte di Gesù…. altro non è che la storia delle generazioni cristiane dei primi secoli. Sul gravissimo tema della umana ed ineluttabile manomissione, Donini concentra tutta la sua attenzione di storico.

Certamente, la domanda che Engels si poneva nel famoso scritto sulle origini del Cristianesimo del 1882, Bruno Bauer e il Cristianesimo primitivo, cioè come mai una religione siffatta, che produsse la caduta dell’Impero Romano, potesse essere fondata sulla menzogna della Resurrezione e non piuttosto nel senso di umana reazione alla Schiavitù ed alle varie oppressioni soci culturali dell’epoca? Come mai Costantino comprese come tale assurda religione gli poteva guadagnare il Potere Imperiale? Piuttosto emergerebbe per Donini una forte carica contestatrice che il messaggio cristiano aveva sempre mantenuto fin dalle origini, puntando dialetticamente nel contrasto fra ricchi e poveri: gli uni ad un passo dalla perdizione, gli altri sull’orlo della salvezza. Ed allora la promessa di una giustizia rapida ed universale andava a mostrarsi proprio nell’ Apocalisse di Giovanni. Solidarietà, Libertà e Pace erano i valori circolanti che la mettevano al sicuro e al di sopra dalle altre prospettive che le Religioni asiatiche contemporanee non riuscivano ad implementare in una Roma Capitale della corruzione e del lassismo ideologico.

Ma da collaudato comunista – e quasi osservatore preoccupato per una strada che anche la parallela fede comunista stava intraprendendo negli anni ‘30 di Stalin – rilevò un passaggio socio-strutturale che la Chiesa Cristiana compì non appena giunse alla sua formale istituzionalizzazione con Costantino, Teodosio e Giustiniano. In altre parole, non appena una Fede – religiosa o laica, non importa – assume un ruolo di garanzia e stabilità per una nuova realtà politica e sociale – all’epoca dell’Impero Romano di Giustiniano e l’Impero Merovingio poi, ma lo stesso si poteva dire per il Fascismo e poi per il Comunismo – allora essa perde lo spirito rivoluzionario originale per assestarsi su una linea di dipendenza dal Potere, col quale non le resta che collaborare o perire (si pensi oggi alla Russia di Putin e ad alla chiesa ortodossa che non si pone problemi nella triste vicenda Ucraina).

Scrive infatti Donini a pag. 317: le variazioni che intervengono nei rapporti sociali si riflettono nelle credenze religiose; ma le idee, una volta entrate nella sovrastruttura – leggasi Potere! – si muovono poi seguendo una loro linea autonoma e di sviluppo che prescinde dalle condizioni di fatto in cui sono sorte. Ed allora perché Donini restò fedele alla politica conservatrice sovietica malgrado l’evidente analogia negativa con l’esperienza cattolica romana, dove lo stesso messaggio di salvezza – e di comunismo senza classi! – viene posposto in un tempo lontano e metastorico? Quale sarà lo strumento di riscatto definitivo e di attuazione di speranza di pace quando tutta la storia dell’URSS era stata costellata da una perdurante tirannia di classe burocratica, che soltanto nel 1989 decadde fra lo sconcerto del Nostro Autore?

Non era stato lo stesso Donini a rilevare come il secondo millennio Cristiano avesse mostrato il volto consolidato di ordine sociale esistente, oltretutto tollerante della corruzione e priva dello stigma di sanzione morale e di consolazione operativa per quella religione di schiavi ed oppressi che l’aveva proclamato nel primo millennio? Contraddizione che Donini visse negli anni di strano attaccamento alla politica filosovietico di Brežnev e di Andropov, maestro e mentore del giovane Putin stante la comune militanza nel KGB.

Forse la coscienza di uomo di studi, in conflitto col Potere laico ed ecclesiastico asservito allo Stato, lo accomuna ad Erasmo da Rotterdam, che, come è noto, ruppe con la Chiesa Romana investita dalla Riforma Protestante e che peraltro mai ebbe a contestare duramente.

Donini ed Erasmo, tanto puntuali nella ricerca filologica tanto convinti nel valore umano che sottostà ad ogni fatto storico e dunque interpreti della Società in cui emergevano interessi dialetticamente opposti alla politica ed alla morale dominante; credevano nella riforma della Sovrastruttura dall’interno, nonché al processo di auto emendamento senza violenti rivolgimenti del sistema dominante.

Oggi per la Chiesa cattolica e per quelle laiche resta la stessa speranza e lo stesso timore. Coerente come pochi marxista negli anni della sua morte (10 giugno 1991), Donini ebbe a dire al giornalista cattolico Vittorio Missori di non avere dubbi sul suo cammino: farei le stesse scelte, non ho bisogno di immortalità, ho vissuto come speravo, ho cercato la fraternità senza sperare ricompense in cielo. Ho compiuto come Paolo la buona battaglia e muoio, ora nella speranza di una futura umanità più giusta!