Nella foto: Barbara Sirotti.

Un viaggio attraverso “Aria” e “Libera” per rompere il silenzio sulla violenza domestica. Intervista a Barbara Sirotti

Ognuno di noi ha vissuto il 2020 in maniera differente. Oltre all’angoscia della malattia e alla possibile morte imminente per noi o per i nostri cari, abbiamo sperimentato per la prima volta cosa significasse l’assenza di libertà. Zone rosse, frontiere e coprifuoco. Parole dure che assumono un significato ancora più drammatico se chi vive con te come dolce amante si trasforma in un crudele aguzzino. Non hai via d’uscita, fino a quando colui che ami ti strappa la cosa più preziosa: la tua vita. A quel punto la tua mente reagisce e il tuo corpo, più lentamente, ti segue per renderti libera.

Questa è la storia di molte donne che hanno chiesto aiuto invano. Risvolti differenti perché ogni storia è a sé stante. In comune queste storie hanno la solitudine e l’incredulità del momento. Abbiamo incontrato Barbara Sirotti, autrice e interprete del film “Libera”. Lei ha vissuto in prima persona quello che ha raccontato e ha deciso di narrarlo attraverso la sua arte, prima con “Aria” e ora con “Libera”.

Barbara Sirotti Lei è conosciuta come attrice e doppiatrice e, in questo nuovo progetto veste i panni di sceneggiatrice e produttrice. Come nasce Aria e poi Libera?

Sì, per questi due mie progetti Aria e Libera ho ricoperto anche il ruolo di autrice e produttrice. Essendo due lavori nati da una dolorosa esperienza personale, ho pensato che forse l’unica persona che avrebbe potuto e dovuto realizzarli fossi io. In realtà si parte quasi sempre da sé per poi abbracciare la realtà che ci circonda. Lo stesso Fellini, amico di mio nonno anche lui Riminese doc, diceva “sono autobiografico anche quando parlo di una sogliola”. La mia è stata un ferita profonda, causata da una violenza fisica e tentato omicidio avvenuta proprio dalla persona che era a quel tempo più vicina a me: il mio ex fidanzato. Poi la cronaca continuava (e purtroppo continua ancora adesso) a denunciare femminicidi, abusi e violenze che ancora oggi costellano la società in cui viviamo. Quindi ho deciso di mettere a disposizione quello che è stato il mio trauma in un percorso artistico partito da Aria (con lo sgomento e la distruzione del proprio sé) e Libera (come reagisce una vittima dopo la violenza). Un doppio lavoro che spero possa essere utile anche ad altre persone, affinché si possa trovare la forza di reagire, liberarsi dalla violenza e tornare a vivere.

Aria ha vinto più di 60 premi, quale è stato per lei quello più inatteso?

Per la precisione sono stati 65 fra premi e riconoscimenti nei Festival di tutto il mondo. Devo dire che mai mi sarei aspettata qualcosa del genere! Forse la tematica andava affrontata con coraggio o forse perché è stato toccato anche un altro tasto che ha contribuito notevolmente al diffondersi della violenza: il primo lockdown di pandemia. In Italia le chiamate di soccorso alle forze dell’ordine da parte di donne in difficoltà e chiuse nella stessa casa del loro “carnefice” sono aumentate del 70%. Il premio più inatteso e che ancora oggi mi fa riflettere è stato in un Festival indipendente in Iran, fra attentati e minacce di ogni tipo.

Da un corto di denuncia siamo approdati a un corto consapevole in Libera, dove racconta il pensiero della vittima. Questo racconto è frutto della sola sua esperienza o ha chiesto a professionisti del settore di aiutarla?

Questa domanda mi dà la possibilità di ringraziare coloro che mi sono stati vicino, dagli psicologi agi avvocati, per avere del materiale specifico da portare alla luce, sempre in brevissimo tempo e tenendo conto dello straordinario potere del “cortometraggio”. Ogni dettaglio deve raccontare un’esperienza senza però dichiararla, avere una unità narrativa e al tempo stesso colpire la curiosità, coinvolgendo l’attenzione dello spettatore. Quindi sì, certamente ho svolto una ricerca approfondita su quello che viene chiamato dagli psicoterapeuti il metodo Emdr per la rimozione di eventi traumatici, unito poi alla dissonanza cognitiva, alla manipolazione, Gaslighting, dipendenza affettiva, silenzio punitivo e sindrome da stress post traumatico.

Mi ha colpito molto il fatto che parte da un esperienza personale dove lei ha quasi perso la vita. Immagino sia stata dura esporsi e rivivere un trauma così importante. Come attrice per giunta! Sicuramente non è stato girato per ricordarsi di questo momento quindi mi chiedo: cosa l’ha spinta a raccontare, qual è l obbiettivo del cortometraggio?

La necessità di elaborare il trauma. Di rinascere, rialzarsi faticosamente e trasformare quell’angoscia in “bellezza”, rompere le catene della paura e andare avanti più forte di prima. Il ricordo non svanirà, anzi. Saranno sempre ben presenti le cicatrici che servono a ricordarmi da dove sono passata e cosa sono riuscita a riconquistare: me stessa. Questo è l’obiettivo più importante, il premio che la vita mi sta dando e che spero possa essere d’aiuto ad altri.

Domanda di rito: progetti futuri? Avremo un seguito di Libera?

Dunque…. Libera è stato il seguito di Aria e la sua consapevolezza. Cosa potrebbe esserci in seguito? Chissà…. Ora mi voglio misurare con Le Marché Du Film di Cannes ed eventuali sviluppi che possano nascere in questa grandiosa occasione. Voglio ricordare infatti che fra qualche giorno Libera verrà proiettato e premiato a Le Palais Du Cinema del Festival di Cannes, come “Best Experimental Short Film” e “1st Audience Award prize” dal Cannes 7th Art Awards. Una soddisfazione incredibile, un traguardo che sicuramente avrei voluto raggiungere in un altro modo (di certo non auguro a nessuno quello che ho attraversato, tanto meno a me…) ma che Qualcuno lassù ha voluto che raccontassi. Forse per portare la mia testimonianza di donna ex-vittima di violenza e ora artista, pronta a celebrare la vita in tutte le sue piccole e grandi rinascite.

Ringraziamo Barbara Sirotti per il coraggio nel raccontare la sua esperienza e le auguriamo il meglio per i suoi impegni futuri.