Nella foto: Una scena del musical. Foto di ©M. Kaufhold

È il lattaio di Anatevka

Nato a Kiel, ha studiato canto e oratorio all’Università di Musica e Arti dello Spettacolo di Amburgo e ha iniziato la sua carriera musicale come Porthos ne “I tre moschettieri” al Teatro Apollo di Stoccarda e al Teatro all’aperto del Tecklenburg. Nel 2021 è stato nominato professore presso l’Università delle Belle Arti Folkwang (Essen). Nel ruolo di Tevje in „Anatevka“, Enrico De Pieri ha debutatto al Teatro di Stato del Saarland e vi sarà fino a giugno 2024

Anatevka, il musical di Jerry Bock, basato sui racconti di Scholem Alejchem, è una parabola sul concetto di patria e appartenenza, sull’identità, sulla valenza della tradizione, sulla resistenza alla tradizione e sui conflitti generazionali. Un tema quanto mai attuale nel 2024 in Germania. Eppure, le quasi 3 ore passano in un attimo e al pubblico rimane l’amaro in bocca, ma solo a causa della cruda attualità del tema. Perché, per quanto riguarda lo spettacolo, non ci sono rimorsi: si ride, si pensa, si scherza e si riflette mentre si seguono le vicissitudini di questa cittadina. Si soffre con un padre che si trova in una lotta interiore continua tra valori e amore per la sua famiglia mentre il benessere della sua famiglia è sempre al primo posto. Gil Mehmert (regia), Jens Kilian (scenografia) e Claudio Pohle (costumi) sono riusciti a creare un momento atemporale di uno spaccato della vita privata degli abitanti di Anatevka, non scadendo mai nell’ovvio.

Cosa è cambiato rispetto alla tua prima visita nel Saarland 10 anni fa?

Sono sicuramente tempi diversi. È cambiato molto anche nella mia vita privata. Da Amburgo mi sono traferito in NRW per lavoro. Quello che però non è cambiato è che continuo a fare teatro e che mi rende orgoglioso vedere gente felice dopo uno spettacolo.

Il tuo ruolo è quello di Tevje, il lattaio. Come vivi questo ruolo?

Trovo il ruolo iconico, già nel repertorio di grandi interpreti. Lo percepisco come un compito grato e una bella sfida: è un ruolo che vive diversi stati d’animo. È un cittadino rispettoso, un padre premuroso ma deciso, un marito devoto, un fedele e un amico affidabile. È un ruolo che, secondo me, cresce e si sviluppa nel corso dello spettacolo e diventa sempre più sfaccettato. Il tema della patria e dell’espulsione è più attuale che mai. Voglio pensare che con questo spettacolo forniamo un piccolo contributo alla tolleranza e al rispetto. Inoltre, per me rappresenta il primo ruolo in cui interpreto il padre. Per un attore è un passo importate questo passaggio: da ruoli “normali” a ruoli genitoriali. E il ruolo del lattaio è perfetto per questo, anche perché così omaggio un po’ mio padre scomparso nel 2019. Mio padre era italiano, non ebreo, ma, come Tevje, aveva le sue convinzioni a cui teneva a volte anche in maniera ottusa. Ma anche lui, come Tevje, amava in maniera smisurata la sua famiglia trovandosi a volte in situazione di mediatore.

Come sei arrivato a questo ruolo?

Quando ho saputo che sarebbe stato in cartellone a Saarbrücken mi sono subito informato sui dettagli. Conoscevo il regista, ho chiesto se ancora facessero il casting e comunicato la mia intenzione di interpretare il lattaio. Ed è andata bene. E poi, da non dimenticare, sono i miei compagni di scena

Hai accennato alle tue origini italiane: cosa significa l‘Italia per te?

Sono nato in Germania ma con la famiglia andavano sempre in vacanza in Italia dai parenti. Per me l’Italia è famiglia (nonni, zii e parenti sparsi per la penisola) come anche i valori che mi hanno trasmesso come la capacità di entusiasmarsi ed emozionarsi sempre connessa ad una cordialità affettuosa.