Nel dicembre 2016 gli è stato conferito il prestigioso “Deutscher Bürgerpreis”, la massima onorificenza assegnata in Germania a coloro che si adoperano nel campo del volontariato. Per Delio Miorandi non è certo il primo riconoscimento per il suo instancabile impegno come assistente sociale e come volontario fra gli emigrati italiani (tra l’altro ha ricevuto il cavalierato della Repubblica italiana e il Verdienstkreuz della Bundesrepublik). Nato a Rovereto nel 1938, Miorandi si è traferito in Germania quasi sessant’anni fa, nel 1959. Ci arrivò con una borsa di studio per un soggiorno all’università di Francoforte, dove ha studiato sociologia per poi laurearsi come operatore sociale e Friburgo. Ha lavorato presso la Caritas di Offenbach prodigandosi per i nostri connazionali emigrati e per i profughi delle più svariate nazionalità. Tra le tante iniziative di cui è stato promotore nel corso della sua quarantennale carriera si ricorda l’apertura di un “Centro Italiano” come luogo di ricreazione e formazione. Dal 1963 Miorandi è attivista di Europa-Union Deutschland, l’unione dei federalisti europei che si batte per l’unità degli stati d’Europa.

Lo scorso 11 gennaio Miorandi è tornato a Berlino per una manifestazione promossa da Europa-Union Berlin e ospitata nella cornice della prestigiosa sede del Literaturhaus della Fasanenstrasse. Alla presenza di un pubblico folto e dell’ambasciatore Pietro Benassi Miorandi ha presentato il suo romanzo Antonio. Vom Eselspfad ins Wirtschaftswunder (in italiano: Antonio. Dalla mulattiera al miracolo economico) scritto insieme con Claus Langkammer e pubblicato da Verlag im Bücherhaus nel 2013. La seconda parte della vicenda è narrata nel romanzo Antonio. Im Land der Verheißung (in italiano: Antonio. Nella terra promessa), pubblicato sempre da Verlag im Bücherhaus nel 2015. I due libri raccontano le vicende di Antonio, un ragazzo orfano emigrato dalla Sicilia in Germania in un arco cronologico che va dagli anni Cinquanta fino all’inizio del Duemila. È una storia di fiction che però riflette quella vera di molti Gastarbeiter italiani che Delio Miorandi ha conosciuto personalmente svolgendo la sua attività di assistente sociale. Il giovane Antonio alterna belle avventure a spiacevoli esperienze, conosce la povertà e l’emarginazione, ma un poco alla volta trova la sua strada e attraverso la partecipazione al movimento sindacale riesce anche dare un senso alla propria esistenza. Il Corriere d’Italia ha rivolto alcune domande a Delio Miorandi.

Da quanto tempo vive in Germania e come ci è arrivato?
Ho avuto la fortuna di essere nato e cresciuto in una famiglia numerosa di 6 figli, con genitori socialmente e politicamente impegnati. Già da giovane ho appreso la visione d’una Europa libera e democratica. Motivato allo studio di sociologia, nell’agosto del 1959 mi sono trasferito a Francoforte. Subito dopo aver concluso gli studi nel 1962 ho iniziato il lavoro nella Caritasverband a Rüsselsheim come assistente sociale per gli italiani nel distretto di Groß-Gerau. Dopo pochi mesi, nel febbraio del 1963, mi sono iscritto alla Europa Union – Movimento Federalista Europeo di Rüsselsheim. Alcune significative esperienze le ho riportate nel mio diario quasi giornaliero per oltre 40 anni. Il mio impegno politico nell’Europa Union mi ha consentito di venire in contatto con tanti politici importanti che sono stati di grande aiuto per lo svolgimento del mio lavoro.

Com’era la Germania di quegli anni? Corrispondeva all’immagine diffusa in Italia o c’era qualcosa di diverso?
Negli anni Cinquanta prevaleva ancora l’immagine della Germania con alle spalle una guerra e un regime politico totalitario. La frequente presenza di manifesti pubblicitari in ogni città e paese per promuovere rapporti di lavoro in Germania ha motivato tante persone alla decisione di emigrare in Germania. Per l’emigrante la differenza si evidenziava dal fatto che nel paese d’origine era confrontato con un’alta disoccupazione, per cui trovare un posto di lavoro era come vincere al lotto e nella maggior parte dei casi ci si doveva adattare anche a condizioni illegali. Al contrario in Germania le offerte di lavoro le si trovavano subito dietro l’angolo. Questa realtà ha prodotto in tante famiglie un capovolgimento della situazione economica e ha garantito il godimento del diritto alle prestazioni mediche, farmaceutiche e ospedaliere per tutti i familiari a carico del capo famiglia, oltre agli assegni famigliari per ogni figlio. Anche la puntualità nel pagamento del salario era una novità benvenuta. Certo, l’impatto culturale con il mondo circostante e la diretta comunicazione con una lingua madre diversa mettevano molto a disagio. La partenza e le conseguenti difficoltà che incontrava l’emigrato della prima e seconda generazione non venivano quasi mai tematizzate socialmente. Ancora oggi si tende ad ignorare o sottovalutare a livello sociale la scossa culturale che subisce l’emigrante che nell´arco di 48 ore si trova catapultato da un ambiente prevalentemente rurale in un ambiente altamente industrializzato.

Qual era la situazione degli italiani in Germania e quanto è cambiata secondo lei nei decenni seguenti fino a oggi?
Osservando da vicino l’ambiente di provenienza degli emigranti degli anni Cinquanta-Ottanta a confronto con la società d’accoglienza si riscontra una notevole differenza. All’inizio degli anni Cinquanta gli italiani vivevano prevalentemente nelle baracche, in situazioni estremamente precarie. In linea di massima le baracche erano collocate nella periferia delle città. In seguito vennero costruite abitazioni collettive che offrivano un leggero miglioramento sanitario, cucina e gabinetto in comune, camere da 4 a 8 persone. Era possibile qualche raro contatto con un collega tedesco. L’inizio del processo di integrazione è stato molto lento. La società tedesca negli ultimi 50 anni ha realizzato una mutazione da un mondo chiuso a una realtà tendenzialmente aperta, multiculturale e non da ultimo investita in Europa di un ruolo trainante. In questo contesto i tanti “Antonio” – italiani e di altre nazionalità – hanno pure contribuito a questo miracolo evolutivo sociale, al punto che possiamo dire di vivere in Europa da oltre 70 anni in pace fra diverse nazioni.

Lei è stato attivo nella Caritas per molti anni e ha militato nel Movimento federalista europeo. Ancora oggi è impegnato con i profughi. Cosa significa per lei questo impegno costante per il prossimo?
Per me aver avuto la possibilità di svolgere un’attività al servizio del prossimo, non è stata una cosa di poco rilievo. Il che significa che ho avuto la possibilità di realizzare i valori della mia visione di vita, valori da me liberamente scelti.

I suoi due libri hanno per protagonista un ragazzo italiano, Antonio, emigrato dal Sud Italia in Germania negli Anni Cinquanta. Cosa c’è di autobiografico in quest’opera narrativa?
Alla base c’è la pura casualità di aver conosciuto Antonio, il fatto che Antonio si sia recato nel mio ufficio per una consulenza. A prima vista ho riscontrato in lui un giovanotto di 20 anni, molto aperto, dinamico con occhi molto comunicativi e non da ultimo con un atteggiamento carismatico. Tutto ciò mi ha affascinato e così nacque la nostra lunga amicizia. Con le sue doti Antonio è riuscito ad accattivarsi tante simpatie e appoggi. Entrò nei consigli aziendali, raggiunse il ruolo di presidente del consiglio aziendale d’una fabbrica con alcune migliaia di operai. Si rese pure utile alla realizzazione di due gemellaggi tra una città italiana e una tedesca. Antonio è veramente un personaggio di spicco e ne è valsa la pena portarlo al lettore. L’aspetto autobiografico della mia narrativa riguarda il dato reale di avere vissuto insieme con Antonio tutto quanto è descritto nel libro.

Recentemente le è stato conferito il “Deutscher Bürgerpreis”, la massima onorificenza assegnata in Germania al mondo del volontariato. Cosa ha significato per lei questo premio così prestigioso?
Per me è stato molto sorprendente constatare con quale minuziosità sia stata seguita la mia attività dal mondo che mi circonda e non per ultimo da persone che godono la massima popolarità e potere politico sia da parte italiana che tedesca. Il discorso di laudatio pronunciato dal ministro degli Interni Thomas de Maizière in occasione del conferimento del premio fa capire perfettamente quello che intendo dire.

Molti ragazzi italiani continuano ancora oggi a venire a vivere in Germania alla ricerca di lavoro e benessere. Cosa consiglierebbe a questi ragazzi?
Gli ultimi arrivati sono prevalentemente muniti di una buona formazione culturale, a volte con uno studio academico. Anche loro sono motivati ad uscire da un mondo quasi privo di prospettive e per di più inquinato dalla corruzione e con un’alta percentuale di disoccupazione giovanile e criminalità minorile. La loro speranza è di trovare uno spazio per realizzare una sistemazione di vita. Io personalmente credo alle giovani generazioni. Auguro loro di sapersi investire di uno stato di coscienza e costante determinazione su ciò in cui credono e vogliono raggiungere e di non demordere per le difficoltà che si presentano magari per seguire la strada dei cosiddetti “furbetti”. Quindi consiglio di non scivolare sul percorso comodo, cioè creare contatti e rapporti prevalentemente con i connazionali e vivere in una specie di circuito chiuso. Dovrebbero invece guardarsi attorno, individuare ambienti d’accoglienza, stringere contatti con tedeschi: ciò facilita l’apprendimento della lingua e consente di prendere confidenza con il mondo che ci circonda.

Quali sono a suo avviso le principali differenze tra l’emigrazione italiana degli anni Cinquanta e quella attuale?
La principale differenza rispetto all’emigrazione degli anni Cinquanta a mio avviso sta nel fatto che allora si emigrava per pura necessità, sprovvisti di tutto, ma entusiasti di trovare la via d’uscita da una condizione precaria. In questa situazione l’emigrante si sentiva motivato e con la sua buona volontà di lavorare, con il suo entusiasmo intravedeva buone prospettive a corta e lunga distanza.

È rimasto soddisfatto dell’incontro berlinese?
La calorosa accoglienza all’evento a Berlino dipende anche dal fatto che tra gli organizzatori c’erano persone della cui amicizia godo da anni. L’evento è stato organizzato dalla Presidenza Nazionale dell’Europa Union Deutschland, associazione cui ho aderito dopo soli sette mesi di permanenza in Germania. Posso dire che sono molto felice del fatto che il mio libro, a cinque anni dalla pubblicazione e dopo centinaia di eventi su tutto il territorio nazionale tedesco si arrivato nella prestigiosa Kaminzimmer im Literaturhaus Berlin. Inoltre mi compiaccio della partecipazione di un pubblico numeroso e culturalmente molto elevato e comunicativo, visti i tanti commenti espressi dopo la lettura. È stato per me particolarmente gratificante il dialogo col pubblico in un’atmosfera emotiva, calda e costruttiva con persone nutrite di valori umani e motivate a tematizzare il vissuto di un emigrante con rispetto e apprezzamento. La signora Miriam Sponholz che ha assunto la presidenza dell’Europa Union Deutschland Berlino e ha moderato la serata si è compiaciuta per l’interesse suscitato dal mio libro. Non da ultimo va evidenziata la presenza di varie personalità tra cui parlamentari e anche dell’ambasciatore d’Italia Pietro Benassi.

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