Gian Marco Schiaretti, interprete di Musical e cantante, è di Parma. Lì si è formato in recitazione e canto fino al 2005. Dopo aver interpretato, tra l’altro anche nell’Arena di Verona, il Mercutio dell’opera Romeo e Giulietta, nel 2011 interpreta il ruolo del principe del Musical SnowWhite

Poco dopo inizia la sua collaborazione con Riccardo Cocciante nei suoi spettacoli Cocciante canta Cocciante, Notre Dame de Paris e Romeo e Giulietta.

Prima di interpretare il ruoli di Che nel musical Evita, è stato per 3 anni il protagonista del Musical Tarzan, nell’Apollo Theater di Stoccarda.

Cosa ti ha portato ad optare per una carriera che ti permettesse di abbinare canto, recitazione e coreografia?

Mi piace, la sfera magica di interpretare dei personaggi, dell’immedesimarmi in altri caratteri, di studiare una parte nella sua totalità. Quando sono in scena mi sento molto me stesso, anche se evado da quello che è il mondo odierno. È il mio «pianeta» in cui mi sento bene e, il fatto di poter mettere (quasi) tutte le nobili arti in scena è un piacere immenso.

Ci sono difficoltà e/o sfide in questo processo di formazione? Consigli per chi volesse intraprendere questa strada?

Questo, secondo me, è un processo molto personale. Per quanto mi riguarda, io mi sono trovato bene ad «usare» il talento all’inizio e a raffinarlo poi successivamente. Spesso si tende a lavorare sul talento, inespresso, quando lo stesso è ancora acerbo e, questo, delle volte, può risultare dannoso perché, specialmente nel canto, la voce ha bisogno delle sue trasformazioni e dei suoi passaggi. La voce ha bisogno di essere giovane e poi di diventare matura. Io ho fatto anche i miei errori ma, quando ho capito, specialmente quando ho iniziato a lavorare con Cocciante, che il tour richiedeva un alto livello di preparazione, mi sono impegnato. Ho studiato diversi stili di canto, ma anche ballo, cinematografia e arte teatrale. Ora mi definisco un cantante-attore e ne vado fiero, seppur non lo consideri, ancora, un punto di arrivo. È pur vero che mi sono tolto tante soddisfazioni, ma me ne voglio togliere ancora tante altre.

Quando è maturata, in te, la decisione di allontanarti dall’Italia e recarti all’estero?

In Italia abbiamo, ahimè, testato più volte il dramma artistico di non riuscire a dare una continuità alle cose e, in maniera preponderante, ciò avviene in campo artistico. Essendo una persona che ama mettersi in gioco e ripartire da zero, ho preso la decisione di giocarmi la carta dell’estero. Le sfide non mi spaventano, anzi: le affronto con grande umiltà, ma anche con grande determinazione. Così ho deciso di partecipare alle audizioni della Disney per il musical Tarzan in Germania. Fu un processo estremamente lungo, con tutti i dovuti sacrifici, sia linguistici che di cultura. La Germania è un paese che, oggi, si ritiene quasi perfetto dal punto di vista dell’organizzazione. La lingua è stata una grossa difficoltà, all’inizio, perché mi sono trasferito non sapendo nulla di tedesco (conoscevo solo i testi dello spettacolo, imparato a memoria e lavoravo solo su quello. Ho, quasi immediatamente, incominciato a lavorare sulla fonetica, sono andato a scuola di lingue e ho potuto contare, anche, sul supporto di persone molto pazienti che mi hanno aiutato ad imparare la lingua. La mia determinazione a riuscire a parlare, entro un anno, con la stampa in tedesco.

Quando ti sei trasferito in Germania?

Era febbraio 2013. Sono stato 4 anni in Germania (tra Amburgo e Stoccarda, due città che porto, entrambe, nel cuore) per trasferirmi da Settembre 2016 a Londra e, dopo appena un mese, ricevere l’opportunità di partecipare all’audizione per Evita.

Quale è il fascino del ruolo di Che?

Il fatto di essere, comunque, sempre un po’ al di fuori della storia, un po’ super partes, è un lato che affascina particolarmente me ma, credo, anche molto la platea. Con questo tipo di personaggio si riesce sempre a creare un certo tipo di connessione durante lo spettacolo, in quanto rappresenta uno dei fili conduttori durante la storia.

Il tuo rapporto con i musical in generale?

Il primo che ho visto è stato Notre Dame de Paris in Italia. È stato amore a prima vista. Poi è stata la volta de Il fantasma dell’Opera che, ovviamente, rimane uno dei miei più grandi obiettivi per un ruolo da sogno, in quanto si tratta di un personaggio straordinario nella sua staticità scenica, che non gli impedisce di avere tanto da raccontare.

Una preferenza per le opere di Webber?

Le sue opere mi piacciono molto, perché trovo che sia stato un grande rivoluzionario nel pianeta musical, per quanto riguarda il modo di scrittura. Un aspetto che ritrovo anche in Cocciante. Sono, in effetti, i due autori con cui amo lavorare e lavorerei sempre.

E quando non lavori?

Questa è una bella domanda (ride). Non sono un grande dormiglione, per cui riposo solo il necessario, per così dire. In realtà vivo molto in funzione dello spettacolo anche se, lo ammetto, questo rapporto era molto più presente quando interpretavo Tarzan, perché lo spettacolo richiedeva proprio questo tipo di dedizione. Nei 4 anni in cui ho interpretato Tarzan, ero sempre molto concentrato sullo spettacolo, anche nei momenti off. Quando ho finito la produzione di Tarzan, ho avuto anche la fortuna di trovare una straordinaria compagna che mi ha «riportato sul pineta terra» , facendomi riscoprire il piacere di staccare la spina.

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