Cgie: „Serve visione strategica per non spezzare il legame con gli italodiscendenti nel mondo“
Il dibattito parlamentare sulla conversione in legge del decreto-legge n. 36 del 2025, contenente “Disposizioni urgenti in materia di cittadinanza”, è entrato nel vivo al Senato. Un provvedimento che, a dispetto dell’apparente tecnicismo, tocca in realtà corde profondissime del rapporto tra l’Italia e le sue comunità all’estero: un rapporto fatto di identità, memoria, affetti familiari e senso di appartenenza.
Sin dalla sua pubblicazione, il decreto ha sollevato un’ondata di preoccupazione tra gli italiani residenti all’estero e, in modo ancora più marcato, tra gli italodiscendenti — milioni di persone che, pur nate e cresciute in altri Paesi, si riconoscono nelle radici italiane e cercano un modo per ricostruire, attraverso il riconoscimento della cittadinanza, un legame interrotto solo dalla storia e dalle migrazioni del passato.
A farsi portavoce di queste istanze è stato il Consiglio Generale degli Italiani all’Estero (Cgie), organo di rappresentanza delle comunità italiane nel mondo. In tutte le sedi istituzionali, il Cgie ha sollevato forti critiche al decreto nella sua formulazione attuale, sottolineando in particolare due aspetti problematici:
1. La nuova condizione secondo cui l’antenato italiano deve essere nato in Italia o vi abbia risieduto per almeno due anni continuativi prima della nascita del richiedente.
2. La limitazione della trasmissione della cittadinanza iure sanguinis a sole due generazioni.
Secondo il Cgie, queste misure segnano una rottura drastica con l’impostazione normativa precedente, che non imponeva limiti generazionali alla trasmissione della cittadinanza per discendenza. E se l’intento dichiarato del decreto è quello di porre ordine e chiarezza in un sistema spesso farraginoso, il rischio concreto è quello di tagliare fuori milioni di italodiscendenti — soprattutto in America Latina, ma anche in Nord America, Australia e altri Paesi — che vedrebbero improvvisamente sbarrata la strada a un riconoscimento cui aspiravano legittimamente.
Il Cgie mette in guardia da inevitabili disuguaglianze che scaturirebbero dall’adozione del decreto così com’è. Si pensi, ad esempio, a due fratelli: uno nato prima dell’entrata in vigore della nuova legge, e uno dopo. Il primo potrebbe vedersi riconosciuta la cittadinanza, mentre il secondo, pur figlio degli stessi genitori, no. Una situazione che non solo appare ingiusta, ma rischia di compromettere la coesione interna delle famiglie italodiscendenti.
Non meno problematico è l’approccio riduttivo che il decreto sembra avere nei confronti della cittadinanza, trattata come un semplice status giuridico, sganciato da ogni dimensione culturale e identitaria. Il Cgie ribadisce invece con forza che la cittadinanza italiana — soprattutto per chi la riscopre dopo generazioni — è prima di tutto una scelta consapevole di appartenenza, un legame che si nutre di lingua, cultura, valori costituzionali e tradizione. Un punto di vista condiviso anche dalla Commissione Affari Esteri del Senato, che nelle sue osservazioni al decreto ha richiamato l’importanza del legame identitario.
A fronte di queste criticità, il Cgie ha espresso apprezzamento per l’impegno di diversi parlamentari, sia di maggioranza che di opposizione, che si sono attivati per presentare emendamenti correttivi. Emendamenti che, se accolti, potrebbero evitare le conseguenze più gravi del decreto e preservare una visione inclusiva e strategica del rapporto tra l’Italia e i suoi figli nel mondo.
Tra le proposte più significative vi è anche quella di riaprire i termini per il riacquisto della cittadinanza italiana da parte di chi l’ha persa a causa di normative restrittive del passato, sia italiane che estere. Un segnale importante per sanare ferite antiche, spesso causate da obblighi di rinuncia alla cittadinanza italiana imposti da legislazioni straniere o da norme nazionali ormai superate.
Al centro del dibattito c’è quindi una posta in gioco che va ben oltre il diritto amministrativo. Si tratta di decidere che tipo di rapporto l’Italia vuole avere con le sue comunità all’estero, se intende valorizzare il loro contributo o lasciarlo svanire tra le pieghe della burocrazia.
Secondo il Cgie, è giunto il momento di fare scelte lungimiranti, basate sulla consapevolezza che gli italodiscendenti non sono solo “potenziali cittadini”, ma ambasciatori naturali dell’Italia nel mondo, portatori di cultura, relazioni economiche, scambi accademici e affetto autentico per un Paese che sentono come proprio.
La speranza, ora, è che il Governo voglia ascoltare queste voci e correggere il tiro. Perché dietro ogni richiesta di cittadinanza c’è una storia, un nome, una famiglia, un desiderio: quello di restare italiani, anche a migliaia di chilometri di distanza.