NElla foto da sx: Andreas Stenger, Leoluca Orlando, Alessandro Bellardita

Intervista a Leoluca Orlando, ex sindaco di Palermo e a Andreas Stenger, capo della polizia criminale nel Baden-Württemberg

Mannheim è conosciuta soprattutto per il suo maestoso castello barocco, sede attuale dell’università e per l’ottima cultura musicale celebrata nel Rosengarten e nel Nationaltheater. Nelle cronache nere dei quotidiani italiani Mannheim è stata protagonista agli inizi degli anni 90: proprio qui, tra il 7 e l’8 luglio, Paolo Borsellino visitò il carcere per sentire un testimone, che dopo risultò fondamentale per far luce sull’omicidio del giudice Rosario Livatino. A Mannheim, infatti, si erano infiltrati gli stiddari, una cosca a quei tempi rivale di Cosa Nostra.

Proprio a Mannheim, in una calda domenica d’inizio giugno, si tiene una conferenza sulla presenza delle mafie italiane in Germania. Per esattezza è il 4 giugno, quando verso le due del pomeriggio raggiungo la sala per le conferenze del Dorint-Hotel. Ad attendermi sono i due organizzatori dell’incontro: il Console onorario di Mannheim e membro del Salon diplomatique Jürgen Kütemayer e il presidente dell’associazione italo-tedesca – Deutsch-Italienischer Freundeskreis – Jürgen Charnitzky.

L’incontro, che vede come protagonisti Leoluca Orlando, ex sindaco di Palermo ed europarlamentare, e Andreas Stenger, capo della Polizia criminale nel Baden-Württemberg, anticipa l’evento serale di celebrazione della Festa della Repubblica italiana presso il museo Engelhorn di Mannheim. Andreas Stenger, prima di diventare Presidente del Landeskriminalamt, è stato capo della Polizia di Mannheim, e dunque conosce benissimo la più grande città a nord del Baden-Württemberg, seconda soltanto a Stoccarda. Orlando, invece, ha visitato Mannheim più volte: da giovane studente, quando frequentava i corsi di giurisprudenza nell’università di Heidelberg e, molti anni dopo, da figura di spicco della primavera di Palermo, quando cercava di esportare la cultura della legalità anche in Germania. Il mio ruolo era quello di moderare l’incontro, fungendo da una parte da giornalista e dall’altra parte da magistrato, entrando anche nel merito di alcune questioni.

Leoluca Orlando, vorrei iniziare con Lei. Può tentare di spiegare al pubblico tedesco cosa voleva dire vivere nella Sicilia degli anni 80 e come si è potuto formare il movimento che ha poi portato alla cosiddetta “primavera di Palermo”?

Orlando: Forse posso sintetizzare il tutto con una frase: “quando è troppo è troppo!”. Intanto bisogna sapere che in quegli anni la mafia in Sicilia non era soltanto una forma di potere accanto a quello dello Stato, ma che i mafiosi piuttosto “regnavano” in maniera assoluta, avevano in mano il potere vero e proprio, anche quello politico. La mafia era nei palazzi. Tra l’altro quasi tutti i miei predecessori erano collusi o addirittura mafiosi. Non c’era nulla da fare, la gente sembrava rassegnata. Poi, però, la mafia comincia ad uccidere. In quegli anni sono stati commessi talmente tanti omicidi che il fenomeno non si poteva più ignorare. E quando Cosa Nostra inizia a fare fuori poliziotti, giudici, politici e altri funzionari dello Stato, ma non solo, anche cittadini del tutto innocenti e fuori dallo schema del potere, i siciliani hanno detto “basta!”. Era troppo! Questo, forse, fu l’errore più grande di Cosa Nostra, un errore che ad esempio la n’drangheta non ha commesso, almeno finora. Un altro errore fu quello di uccidere Don Pino Puglisi: a partire da quell’omicidio Cosa Nostra non poteva più dire di rispettare la Chiesa, un aspetto, questo, fondamentale in quegli anni.

Una domanda forse un po’ troppo diretta, ma la faccio lo stesso, signor Stenger: qual è la situazione in Germania? La mafia, oltre ad essere presente, secondo Lei, ha raggiunto anche le istituzioni in Germania?

Stenger: Sono entrato in Polizia agli inizi degli anni 80 e nell’anno 1988 sono stato trasferito a Mannheim. Mi ricordo benissimo quando arrivò Borsellino a Mannheim per sentire un teste in carcere. Già in quegli anni abbiamo costruito alcune strutture antimafia in Germania. Attualmente soltanto nel Baden-Württemberg vivono circa 200 membri di cosche mafiose italiane. In tutta la Germania sono circa 770. Qui nel Baden-Württemberg i mafiosi in parte vengono per ritirarsi, per stare tranquilli, e in parte, invece, per attivarsi soprattutto nel narcotraffico. La mafia non è più quella degli anni 80. Soprattutto la n’dragheta agisce in maniera silenziosa, invisibile. La strage di Duisburg è stata un’eccezione, la strategia della mafia consiste nell’agire senza creare disordini. Sappiamo che soprattutto le cosche n’drine sono protagoniste nel narcotraffico internazionale, ma anche nelle truffe fiscali ai danni dello Stato e in altri settori. Una strategia centrale delle mafie italiane consiste nel riciclaggio, anche perché in Germania la legislazione ha ancora qualche vantaggio dal punto di vista delle cosche. Comunque non dobbiamo dimenticare che la lotta alla criminalità organizzata comporta un enorme sforzo. Noi del Landeskriminalamt siamo come un ponte per la Polizia federale e per i colleghi di Europol. Per quanto riguarda la Sua seconda domanda (se la mafia sia riuscita ad entrare nelle istituzioni, ndr), posso soltanto dire che sicuramente siamo in allerta! Dobbiamo fare molta attenzione. Sicuramente la situazione in Germania non è paragonabile a quella che si è vista a Palermo negli anni 80 e che ha descritto l’ex sindaco Orlando. Abbiamo situazioni sicuramente favorevoli: se qui in Germania con il contante puoi praticamente comprare tutto, favorisci le cosche nelle loro strategie criminali. Sappiamo, inoltre, che alcuni ristoratori vengono costretti dalle cosche n’drine ad acquistare prodotti a costi elevati, una sorte di estorsione 4.0, raffinata e difficile da provare da parte degli inquirenti. Comunque non credo assolutamente che la mafia sia giunta fino all’interno delle istituzioni tedesche.

E poi esiste anche l’estorsione, secondo me, ancor più raffinata, vale a dire quella di offrire ai ristoratori dei prodotti molto convenienti, distruggendo praticamente la concorrenza e creando, con il tempo, una dipendenza economica molto pericolosa. Lei, signor Stenger, ha parlato di 770 membri delle mafie italiane in Germania, ma esperti italiani – come ad esempio Nicola Gratteri – sono addirittura del parere che soltanto la n’drangheta abbia circa 3mila esponenti attivi in Germania. Ma anche se riteniamo i dati ufficiali tedeschi affidabili, che vedono una presenza ad esempio di circa 200 membri delle cosche nel Baden-Württemberg, non dobbiamo fare l’errore di sottovalutare la presenza dei mafiosi in questo paese. La mafia è come un virus, è in continua mutazione e, purtroppo, è sufficiente una presenza minimale per distruggere il substrato di una società. Per fare un paragone storico: i terroristi della RAF negli anni 70 erano poco più di 80 e lo Stato tedesco ha reagito applicando tutte le migliori forze per distruggere le cellule terroristiche. Ma, per l’appunto, c’era anche una fortissima volontà politica in Germania, intenta a sconfiggere la RAF – e alla fine lo Stato ha vinto. Forse manca ancora proprio questa volontà politica?

Stenger: Non volevo assolutamente sminuire la pericolosità del fenomeno mafioso in Germania. Anzi! Sono consapevole del fatto che anche una presenza minima di mafiosi può essere pericolosissima per una società.

Se consideriamo che durante l’operazione EUREKA, che ha portato all’inizio di maggio soltanto in Germania all’arresto di 11 persone, gli inquirenti hanno accertato che i membri del clan presente nel Nordreno-Vestfalia hanno spostato in circa due anni quasi una tonnellata di cocaina, producendo un fatturato di 50 milioni di euro. E ribadisco, erano soltanto in 11. Non voglio pensare a cosa riescono a combinare le altre centinaia di mafiosi presenti in Germania… ma una domanda per Orlando: da ex sindaco di Palermo, cosa consiglierebbe al futuro sindaco di Mannheim per contrastare le mafie presenti qui in loco?

Orlando: Prevenzione! La prevenzione è importante. Non dobbiamo dimenticare che il potere delle mafie va ben oltre ai soldi che hanno a disposizione le varie cosche. Per cui la cosa più sbagliata da fare è quella di credere che in Germania la mafia non esista o che si possa ignorare. Se il sindaco di Mannheim sostenesse questo, sarebbe come un invito ufficiale ai mafiosi. Le mafie, infatti, hanno bisogno di buio e silenzio. E questo buio e silenzio il mafioso lo trova all’estero, dove la lotta alle mafie è praticamente inesistente. Ma siete veramente convinti che un boss mafioso abbia dei soldi in un conto bancario a Palermo o Corleone? Ma assolutamente no! Il boss mafioso ha bisogno di un conto bancario qui a Mannheim, a Berlino oppure in altre città tedesche, olandesi e spagnole! Per questo bisogna stare attenti. La mafia è qui perché in Italia è diventato sempre più difficile investire, per cui un sindaco tedesco dovrebbe far sì che un mafioso non possa investire qui… …e poi volevo aggiungere un’altra cosa: l’essenza della mafia consiste nella perversione dei valori stessi che la mafia apparentemente vuole difendere. La mafia è strutturata in maniera patriarcale, le mafie sono conservatrici e ripudiano ogni forma di società aperta e tollerante. La tolleranza rispetto a tutte le forme di minoranze sarebbe, dunque, un programma culturale contro ogni forma di mafia. Possiamo dire che contro le mafie serve una “cultura dell’intolleranza zero!”. Più aperte sono le menti di una società, meno probabile è l’infiltrazione mafiosa.

Il 30 aprile 1982 a Palermo fu ucciso Pio La Torre, uno dei primi politici che parlò della cosiddetta “zona grigia”, cioè dei rapporti tra politica e Mafia. Dopo la sua morte, a settembre, entrò in vigore il 416bis, una norma che colpisce direttamente le cosche mafiose e, soprattutto, anche il patrimonio illegale. Qui in Germania non abbiamo ancora una norma paragonabile. L’associazione a delinquere, l’art. 129 del codice penale, che alcuni procuratori vogliono addirittura applicare ai danni dei giovani attivisti che si battono per il clima, è uno strumento troppo debole. Forse è proprio ora di inserire nel codice penale una norma simile?

Stenger: Questo è un aspetto importante. Negli ultimi anni abbiamo fatto qualche passo in avanti, ad esempio per quanto riguarda la possibilità di confiscare il patrimonio derivante da attività criminali. Ma ancora non basta. Le leggi che sono state introdotte in Italia potrebbero essere un modello anche per noi in Germania, ma non è sempre facile introdurre delle misure repressive senza provocare polemiche. Resto comunque del parere che la via più efficace per contrastare le mafie è quella della collaborazione internazionale. Lo abbiamo visto in passato, ad esempio durante l’operazione Stige, e lo abbiamo visto il 3 maggio durante l’operazione EUREKA. Le mafie sono organizzate a livello internazionale e, dunque, lo dobbiamo essere anche noi.

Eppure proprio in questa collaborazione internazionale si può notare un altro macigno lungo la via che dovrebbe portare ad una lotta efficace contro le mafie. L’operazione EUREKA in Italia ha visto coinvolte soltanto due istituzioni, la procura di Reggio Calabria e la DIA, mentre in Germania per coordinare le indagini ci sono volute in tutto nove istituzioni, vale a dire quattro procure, quattro Polizie regionali e la Polizia federale. Non sarebbe utile anche in Germania una procura federale antimafia? E a livello europeo non servirebbe anche una procura europea che si occupi anche di criminalità organizzata, cosa che finora per motivi di competenze non avviene?

Stenger: Sono d’accordo, anche se a livello internazionale abbiamo fatto qualche passo in avanti, ad esempio con Eurojust che coordina le indagini. Poi non bisogna dimenticare che le competenze in materia hanno spesso un retroscena giuridico, per cui ci sono motivi ben precisi che con il tempo hanno portato in Germania alla situazione attuale. Siamo, in fondo, uno Stato federale, non bisogna dimenticarlo.

Orlando: Secondo me la chiave della soluzione sta nel “follow the power” e nel “follow the money”. Laddove c’è potere, c’è automaticamente il rischio di un’infiltrazione mafiosa. E l’infiltrazione avviene con la corruzione e, dunque, con i soldi. I poteri non sono soltanto le stanze dei bottoni dello Stato, ma anche le Chiese ad esempio, le banche e altre istituzioni non statali. Un boss mafioso, anche se si trova in carcere, se ha tanti soldi è molto più pericoloso e potente di un boss mafioso libero ma senza una lira. Certo, concordo! Senza una efficace collaborazione internazionale non andiamo da nessuna parte. Ma servono anche delle misure legislative internazionali per colpire il patrimonio dei mafiosi. Pio La Torre ha avuto due idee importantissime: da una parte quella di criminalizzare il mafioso in quanto tale e dall’altra parte quella di aver capito quanto sia fondamentale privare il mafioso della sua arma più potente, vale a dire dei soldi. Oggi, secondo me, è molto più difficile contrastare le mafie, perché nel corso degli anni hanno imparato dai loro errori, cambiando volti e sembianze. I mafiosi oggi non si chiamano più Totò o Tano, ma semmai Jürgen e Hans! Insomma, sono imprenditori di livello internazionale, che magari possono apparire affidabili, ma che in realtà sono senza scrupoli.

Stenger: Questo è un punto fondamentale, dobbiamo abbandonare l’idea del mafioso come gangster brutale con gli occhiali da sole, insomma quello che vediamo nei film. Riconoscere un mafioso è molto difficile, a volte pressoché impossibile, anche per questo dobbiamo lavorare con lo scopo preciso di liberarci da pregiudizi e stereotipi.

Stereotipi che ci rendono cechi di fronte a questo fenomeno! In Germania siamo ancora convinti che è possibile riconoscere un mafioso dalla voce, dal modo di atteggiarsi o di vestirsi, siamo lontani anni luce da una decostruzione del mito della mafia come “società onorata”, una demistificazione che in Italia è iniziata già negli anni 50 con Leonardo Sciascia, quando per primo definiva la mafia come un gruppo di criminali che hanno uno scopo solo: quello di fare soldi a tutti i costi, anche ai danni della società. Attualmente solo l’associazione mafianeindanke e pochi altri si impegnano ad informare i cittadini tedeschi sulla vera entità del fenomeno mafioso. Dobbiamo coinvolgere anche le università, non è possibile che nelle università tedesche il fenomeno della criminalità organizzata viene pressoché ignorato, quando invece servirebbe un lavoro accademico e interdisciplinare, giuristi, politologi, sociologi ed economisti che studiano insieme strutture e meccanismi delle mafie per dare delle risposte concrete. Ad esempio: finora sappiamo soltanto che gli investimenti delle mafie incidono sul tessuto economico tedesco, ma non sappiamo quanto! Non sappiamo, ad esempio, se l’aumento dei prezzi degli immobili non sia dovuto anche alle ingenti quantità di denaro che le cosche hanno investito negli ultimi venti anni proprio nel mercato immobiliare in Germania. E non si tratta in questo caso di milioni di euro, ma di decine di miliardi.

Stenger: Un altro punto fondamentale è quello di fare l’errore di confondere fenomeni completamente diversi tra loro come quello mafioso da una parte e i clan albanesi, libanesi o arabi che sono attivi nelle grandi città tedesche dall’altra. Le mafie italiane sono invisibili, ci tengono a non agire allo scoperto. Inoltre hanno delle strutture molto forti, rafforzate nel tempo, potremmo anche dire “tradizionali” e ottimi rapporti con i narcotrafficanti in America latina, un punto cardine della loro forza.

Allo stesso tempo, tuttavia, dobbiamo constatare che le organizzazioni mafiose si servono dei clan che sono radicati in loco. Quello che possiamo osservare dalle indagini negli ultimi anni è un crescente rapporto tra la camorra e la n’drangheta rispettivamente con le cosche libanesi, albanesi e gli Hells Angels piuttosto che i Banditos. Per cui succede che un camorrista arriva in Germania con una certa somma di denaro e investe in questi clan, servendosi delle loro strutture criminali già ben radicate nel territorio. Possiamo, dunque, dire che sicuramente le mafie italiane contribuiscono a rafforzare il potere delle cosche già presenti in Germania.

Alessandro Bellardita, giudice e docente universitario, dal 2007 collaboratore del Corriere d’Italia, nel 2022 ha pubblicato il libro “La fine delle mafie – a lezione da Giovanni Falcone”;

Andreas Stenger, presidente del Landeskriminalamt del Baden-Württemberg ed ex capo della Polizia di Mannheim;

Leoluca Orlando, per quasi 22 anni sindaco di Palermo, figura di spicco della Primavera di Palermo, ex europarlamentare

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