Nella foto: Il teologo Antonio Autiero. Archivio personale.

Il vaccino anti Covid tra libertà individuale e responsabilità collettiva. Quale idea di libertà? – Che cosa ci insegna la pandemia? Conversazione con Antonio Autiero, teologo morale

Il Papa ha detto che dalla pandemia usciamo insieme, con il noi, non con l’io. Che cosa vuol dire? L’atteggiamento di fronte alla scelta di vaccinarsi o no sembra una cartina di tornasole della società, in particolare il non volersi vaccinare è rivelatore di paure e di sfiducia e questo ci porta al tema della libertà e della conoscenza. Ne parliamo con Antonio Autiero, teologo morale.

Lei tempo fa, in una intervista a “Christ in der Gegenwart” (03/2021) ha detto di ritener sbagliato l’obbligo del vaccino dal punto di vista del diritto ma non dal punto di vista morale. Che cosa intendeva dire?

La sfera giuridica e la sfera morale non sono in contrapposizione ma devono essere capite nella distinzione degli ambiti e delle modalità di azione. Le finalità che lo Stato vuole raggiungere devono essere sempre ben bilanciate con gli strumenti che servono per arrivarci. Se parliamo di vaccini, dal punto di vista giuridico e politico, l’obbligo è sproporzionato e inopportuno in relazione alle finalità che lo Stato si propone di raggiungere. Lo Stato non è un ente di controllo della vita dei cittadini, questo sarebbe uno Stato di polizia. Qual è allora la finalità che ci si propone con la campagna vaccinale sullo sfondo della pandemia che ha sorpreso e scombussolato le vite di tutti noi? È quella di rendere difficile la vita al virus su scala globale, di ridurgli le possibilità di circolare e di espandersi, e di sfuggire al controllo attraverso le modificazioni, le famose varianti. Ci stiamo confrontando con una forma di invasione della vita attraverso entità virali che dobbiamo mettere fuori dal nostro recinto vitale. Chi può sottrarsi a questa finalità? Non entriamo nella questione su chi vuole vaccinarsi e chi non vuole vaccinarsi, ma prima di tutto chi può dirsi fuori da questa finalità di protezione della vita da un attacco, da una minaccia che viene dal virus? Quando ci poniamo questa domanda entriamo già nella scala di pensiero della sfera morale.

“Chi può dirsi fuori da questa finalità di protezione della vita di un attacco, da una minaccia che viene dal virus?”

Dal punto di vista morale, l’etica dello stare al mondo è molto più complessa, molto più articolata che non l’etica dei comportamenti del singolo e ci dice che la vita è un bene partecipato non è un bene individuale. Se fosse un bene individuale dovrei chiedermi dove sono andato ad acquisirmelo e lo sappiamo benissimo che la vita non ce la siamo acquisita, non siamo entrati noi nella sfera della vita ma è la vita che ha aperto le porte e ha detto ci sei anche tu e sei un vivente. Come partecipe alla comunità dei viventi, sei una singola parte e quindi devi tenere conto che ci sono altre parti.

Qual è allora il rapporto fra libertà individuale e la responsabilità collettiva, quella che ciascuno di noi ha come parte di un insieme. Molti rifiutano il vaccino perché vogliono affermare la propria libertà individuale. Quali sono i limiti della libertà personale? E si può parlare di obbligo morale di vaccinarsi?

Parto dall’idea di fondo che sono partecipe della vita per cercare di tenere un orizzonte di comprensione il più vasto possibile ed evito appositamente l’espressione “dono della vita” che ci rimanda a un discorso di fede. Uno può anche non essere d’accordo sul fatto che la vita ci sia stata donata, ma non sull’evidenza di essere parte della vita nell’entourage familiare, sociale, ecologico. Ora, il tema dell’obbligo morale l’abbiamo ben capito quando decenni fa abbiamo cominciato a riflettere sui trapianti d’organo chiedendoci: “lo Stato può obbligarmi a donare gli organi?”. Non si può obbligare uno a donare gli organi con lo strumento giuridico, che è un’imposizione, ratificata da una legge e controllata da sistemi sanzionatori. Però si può ritenere che sia un dovere morale che è diverso da un dovere giuridico. L’obbligo morale o il dovere morale o la responsabilità morale risponde alla logica di essere parte di un flusso di vita che mi precede e che sta dopo di me. Ovviamente l’obbligo morale ha un altro colore, un’altra forza vincolante. In fondo qual è il controcanto di questo obbligo, quale sarebbe l’alternativa? Che io non sia più parte di questa vita? Che cosa sono allora? Sono un asociale, un apolide del tessuto umano, una monade, un essere isolato che vive sul suo pianeta?

“Tutta la nostra vita è organizzata reticolarmente”

Noi facciamo sempre l’esperienza di essere parte di un unico pianeta, tutta la nostra vita è organizzata reticolarmente, siamo in rete in tutti i sensi. Noi oggi utilizziamo nel linguaggio tecnologico molto di più “stare in rete, mi metto in rete”, ma in fondo è quando nasce la cellula nuova dall’embrione che si entra a tutti i livelli in un sistema reticolare, quindi l’obbligo è proprio quello di saper stare in questa rete.

Calando il discorso in una dimensione sociale, si potrebbe dire che le libertà individuali che noi godiamo nella società, ci sono proprio grazie a questo tessuto sociale complesso e questo ci mette di fronte a delle responsabilità nei confronti della società.

Lei ha detto “le libertà” perché esistono forme sempre concretizzate di libertà. La libertà sostanziale dell’essere umano, creatura razionale e relazionale, si declina di volta in volta nelle singole espressioni di libertà. Quindi anche quando riflettiamo sul senso della libertà, riflettiamo su qualcosa che dobbiamo cautamente tenere distante dall’astrazione che radicalizzerebbe il concetto di libertà fino a farlo diventare un niente, un concetto astratto e vuoto.

“La libertà sostanziale si declina poi di volta in volta nelle singole espressioni di libertà”

Noi viviamo di libertà condizionate. Lo scorso anno Massimo Giannini, direttore della Stampa, si riabilitò bene dal Covid ma dopo crisi severe e in un’intervista disse destando un certo scalpore: “Se vogliamo contenere il virus, dobbiamo cedere delle quote di libertà”. Questa espressione molto interessante ed efficace ha però una sfumatura negativa: cedere qualcosa significa sempre un po’ perderla. Qui non si tratta di sottrarre qualcosa al mio potenziale di libertà per sprecarlo, qui si tratta di contestualizzare e dare uno scopo nuovo alla mia libertà. Metto la mia libertà nell’insieme di un gioco collettivo, sociale, di una dinamica della costruzione del sociale che salva te e che ritorna anche su di me fino a diventare un superamento globale della pandemia, questo è il contesto vero della nostra libertà. Ci è stata sbattuta in faccia la limitatezza, tutta la nocività, la tossicità dell’individualismo esasperato, dell’io ipertrofico. Veniamo da una buona tradizione di pensiero, di vita, di filosofia che ci dice che noi siamo parte, l’io c’è ma è nel noi.

C’è chi si sottrae a questa evidenza e preferisce credere che esista una élite umana che controlla, che gestisce, una forma di potere che ci tiene in mano. C’è chi rifiuta il vaccino per paure legate a teorie complottistiche, che parlano di controllo o addirittura di distruzione programmata delle persone ad opera del vaccino.

Questo modo di pensare ha un errore di carattere cognitivo molto forte perché è un circolo vizioso: ci ribelliamo verso un potere che ci domina facendoci dominare da una opinione che diventa non più condivisa, ma solo da credere. L’impressione è che siamo in un ritorno, in senso vasto, di fideismo, non più pensare ma credere, non più discutere criticamente ma assorbire parole.

Ma ciò è anche una mancanza di fiducia verso la scienza. Che valore ha la fiducia per tenere insieme il tessuto sociale e partecipativo della collettività?

Tanti atteggiamenti mostrano una sorta di sfiducia nell’umano, si potrebbe parlare di un’epoca di pessimismo antropologico che si concretizza in sfiducia nella scienza, sfiducia nell’argomentazione dell’altro. Questa è una forma molto concreta di pessimismo antropologico, ma in fondo è la sfiducia in noi stessi che ci porta a questo. E come si chiama la sfiducia in noi stessi? Si chiama paura. Le persone che cadono nella trappola della paura, hanno azzerato le risorse di fiducia, hanno perduto le risorse di speranza, vi hanno rinunciato. La fiducia è fondamentale per mettermi in ascolto delle ragioni e ragionamenti. Ecco perché al di fuori dell’orizzonte religioso, la speranza non è soltanto una virtù teologale, la speranza è una virtù sociale di sconfinamento nel perimetro di vita dell’altro per poter dire: mettiamoci insieme perché c’è possibilità di futuro.


Chi è Antonio Autiero

Antonio Autiero è teologo. Dal 1991 al 2013 ha insegnato teologia morale prima all’università di Bonn poi a quella di Münster nella Facoltà di teologia cattolica.

Ha studiato filosofia e teologia a Napoli, sua città Natale e dove fu ordinato sacerdote nel 1972 a Roma.

Fa parte, tra l’altro, della ZES, la Commissione etica centrale del governo tedesco per la ricerca sulle cellule staminali.

È autore di numerose pubblicazioni in tedesco e in italiano. Recentemente ha curato con la teologa Marinella Perroni il volume “Maschilità in questione” (Queriniana, Brescia 2021).

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