Nella foto da sx: Mons. Luciano Donatelli, Dr. Lukas Schreiber, Nationaldirektor della Commissione Migrazione della Conferenza Episcopale Tedesca, don Gianni de Robertis, Direttore Generale della Fondazione Migrantes, padre Tobia Bassanelli

Riprendiamo la prima parte della relazione del delegato P. Tobia Bassanelli al Convegno Nazionale delle Comunità Cattoliche Italiane (Missioni), tenuto a Bergisch Gladbach dal 16 al 19 settembre 2019 sul tema “Sale della terra”

L’ultima mattinata del nostro Convegno Nazionale è sempre dedicata ad una riflessione specifica, mirata alle nostre Comunità, aiutati dagli interventi dei giorni scorsi, dalla relazione del Delegato, da quelle delle Zone Pastorali, dei Gruppi di studio, del dibattito conclusivo. In fondo ci chiediamo, in riferimento alla tematica generale del Convegno “Sale della terra”, quale è o quale potrebbe essere il nostro contributo per la coesione sociale dei territori in cui ci troviamo ad operare.

Sappiamo che la Chiesa, dal punto di vista sociale, non è una realtà diversa o separata dalla popolazione residente: i credenti ne fanno parte a pieno titolo, in modo integrale e, come ogni cittadino e ogni organizzazione, ne è soggetto attivo, dal punto di vista della fruizione dei diritti come della fedeltà ai doveri che la regolano.

La coerenza con i principi costituzionali e democratici del Paese ospitante è allora il punto di partenza su cui va costruita ogni ulteriore iniziativa privata o di gruppo. La tenuta sociale, il bene massimo per tutti, è a rischio quando vengono meno i valori fondanti e unificanti, come la centralità ed il rispetto della persona, la libertà, la democrazia, la giustizia, la solidarietà.

È quello di cui appunto sta soffrendo la società attuale, il rischio cui siamo esposti più che in altri tempi, appunto perché la normale diversità delle idee politiche o religiose diventa facilmente aggressività verbale, spesso fisica, violenza come criterio di comportamento verso le persone e le istituzioni, odio come emozione forte che realizza e guida.

Oggi in genere si dà per scontato, giustamente, che gli italiani in Germania, dopo tanti decenni di presenza, siano abbastanza bene integrati nella società del posto: ne possiedono meglio la lingua (per le nuove generazioni il tedesco è la lingua madre), si sono maggiormente adattati ed integrati nelle abitudini locali, le seconde e terze generazioni sono una cerniera preziosa di integrazione anche per le prime generazioni, il cui futuro non è più il rientro nel paese di origine, come nei primi anni dell’arrivo, ma la Germania.

È finito il tempo delle Chiese parallele, di cui spesso, a torto o a ragione, venivano accusate nel passato le nostre Comunità.

Le Missioni continuano a vivere una pastorale in parte autonoma, in lingua italiana e secondo le tradizioni della chiesa di origine, ma ora molto meglio inserita e collegata alle parrocchie del posto, ai decanati, alla pastorale delle diocesi di residenza. Lo conferma anche il rilevamento 2018 della Delegazione, che registra buoni rapporti con il mondo ecclesiale del territorio.

Chi persegue una pastorale quasi contrapposta alla chiesa locale, insistendo in modo quasi morboso sulla identità etnica, isolandosi dal contesto ecclesiale del territorio, oltre ad una errata valutazione del proprio mandato, alla scadenza del contratto di assunzione rischia anche di non vedersi più rinnovare la convenzione dal vescovo diocesano di accoglienza. Dietro le argomentazioni ufficiali, sicuramente valide, a mio modo di vedere è forse anche in questa luce che va letto il recente caso della Missione di Mannheim, ora affidata ad un Commissario, al Pfr. Theo Hipp, in attesa che arrivi il successore di don Valerio Casula.

Inutile pretendere una società unita sui valori fondanti se nel mondo ecclesiale viviamo laceranti spaccature. Il primo importante contributo per la tenuta sociale è presentare una Chiesa che sa gestire in modo adeguato i propri problemi interni; è offrire Comunità parrocchiali che sanno superare possibili divisioni interne, comunità che sono in grado di porre la comunione interpersonale e comunitaria al di sopra di visioni private e autoritarie. È difficile che i fondamentalisti ed i dogmatici all’interno della vita delle Comunità ecclesiali non lo siano anche all’interno della società civile, finendo in genere per appoggiare i gruppi più estremisti e pericolosi.

Se è importante che la vita interna delle nostre Comunità sia un esempio stimolante ed una proposta appetibile, non meno secondario è quanto offriamo direttamente alla società. Il che può avvenire in tanti modi: con la partecipazione attiva alla vita politica, alle iniziative delle amministrazioni comunali e provinciali, all’inserimento nelle associazioni culturali e sportive, nel sindacato, nel volontariato. Il credente più è vicino e presente nel molteplice organizzarsi della società civile, e più ha la chance di apportarvi i valori del Vangelo. Gesù ha cercato di incontrare e di accostarsi a tutti i gruppi sociali, a cominciare dai più deboli, quelli ghettizzati ed esclusi, per reintegrarli nella società e dare loro un posto dignitoso e normale.

La presenza della coesione sociale come contenuto della nostra preghiera è sicuramente importante, ma non basta: perché sia efficace va accompagnata da un adeguato impegno di diaconia, autonomo o in collaborazione con altre istituzioni ecclesiali o sociali. Le nostre Comunità, attraverso il missionario od i volontari laici, sono in genere vicine ai malati, agli anziani, ai disoccupati, visitano i carcerati, i rifugiati. Ma ci chiediamo: quali sono i nuovi settori di emarginazione, i problemi che spaccano la società, le ghettizzazioni cui bisogna dare al più presto una risposta, prima che diventino bombe esplosive? Come ci dobbiamo muovere con i vari estremismi di destra (oggi i più emergenti e pericolosi) e di sinistra, con i fondamentalisti che rifiutano ogni dialogo? Basta la scomunica, è sufficiente la messa in guardia, il puntare il dito, oppure vanno trovate nuove forme per disinnescare la carica dirompente nella società?

Il dibattito della mattinata dovrebbe aiutarci a capire più da vicino cosa significa essere “sale” anche con queste realtà. Il sale ha senso se entra e viene disperso nell’alimento, non se ne resta fuori, separato. Siamo Chiesa e contemporaneamente siamo società, siamo cittadini del cielo e nello stesso tempo cittadini di questo mondo. È una doppia appartenenza che va armonizzata. Ognuno deve trovare, oltre alla giusta convivenza, una efficace comunicazione tra le due realtà, in modo da non essere estranei né all’una né all’altra e riuscire a fermentare la società con i valori che provengono dalla fede.

Le nostre Comunità hanno anche la vocazione, tra l’altro, di documentare che la diversità è un arricchimento, un valore aggiunto, non un motivo di disagio e tanto meno di guerra.

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