26 settembre 2021 – Giornata mondiale del Migrante e del Rifugiato

Proponiamo alcune riflessioni in occasione della 107ᵅ Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato che verrà celebrata il 26 settembre, che ha come tema “Verso un noi sempre più grande”. Le celebrazioni ufficiali con anche quella eucaristica nazionale di domenica 26 settembre si svolgeranno nelle Marche.

I brani che seguono sono tratte dal messaggio di papa Francesco sulla GMMR, a cui seguono le riflessioni di don Giovanni de Robertis, direttore generale della Fondazione Migrantes, di suor Elizangela Chaves Dias, missionaria scalabriniana. Monsignor Guerino di Tora, presidente emerito della CEMI (Commissione Episcopale per le Migrazioni della CEI) e della Fondazione Migrantes ha scritto: Una chiesa in uscita presuppone di aver maturato il senso di accoglienza. Non il semplice fatto di accogliere, ma di una cultura dell’accoglienza…Siamo chiamati a vivere la nostra storia, trasformandola quotidianamente in storia di salvezza.

(Fonte dei testi: Migranti Press, luglio/agosto 2021 anche scaricabile integralmente e gratuitamente da migrantes.it, Pubblicazioni).

Il messaggio di papa Francesco per la 107 a GMMR sottolinea sei sotto temi:

1. Un noi grande come l’intera umanità;

2. Un’unica Chiesa, un’unica casa, un’unica famiglia,

3. Una Chiesa che esce all’incontro,

4. Imparare a vivere insieme,

5. Formare un noi che ha cura della casa comune.

6. Sognare come un’unica umanità.

Papa Francesco

Cari fratelli e sorelle!

Nella Lettera Enciclica Fratelli tutti ho espresso una preoccupazione e un desiderio, che ancora occupano un posto importante nel mio cuore: «Passata la crisi sanitaria, la peggiore reazione sarebbe quella di cadere ancora di più in un febbrile consumismo e in nuove forme di auto-protezione egoistica. Voglia il Cielo che alla fine non ci siano più “gli altri”, ma solo un “noi”» (n. 35).

Per questo ho pensato di dedicare il messaggio per la 107a Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato a questo tema: “Verso un noi sempre più grande”, volendo così indicare un chiaro orizzonte per il nostro comune cammino in questo mondo

Questo orizzonte è presente nello stesso progetto creativo di Dio: «Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò: maschio e femmina li creò. Dio li benedisse e disse loro: “Siate fecondi e moltiplicatevi”» (Gen 1,27-28) …

La storia della salvezza vede dunque un noi all’inizio e un noi alla fine, e al centro il mistero di Cristo, morto e risorto «perché tutti siano una sola cosa» (Gv 17,21). Il tempo presente, però, ci mostra che il noi voluto da Dio è rotto e frammentato, ferito e sfigurato. E questo si verifica specialmente nei momenti di maggiore crisi, come ora per la pandemia. La cattolicità della Chiesa, la sua universalità è una realtà che chiede di essere accolta e vissuta in ogni epoca… Il suo Spirito ci rende capaci di abbracciare tutti per fare comunione nella diversità, armonizzando le differenze senza mai imporre una uniformità che spersonalizza… I fedeli cattolici sono chiamati a impegnarsi, ciascuno a partire dalla comunità in cui vive, affinché la Chiesa diventi sempre più inclusiva.

Oggi la Chiesa è chiamata a uscire per le strade delle periferie esistenziali per curare chi è ferito e cercare chi è smarrito, senza pregiudizi o paure, senza proselitismo, ma pronta ad allargare la sua tenda per accogliere tutti… Per questo dobbiamo imparare oggi a vivere insieme, in armonia e pace.

È l’ideale della nuova Gerusalemme (cfr Is 60; Ap 21,3), dove tutti i popoli si ritrovano uniti, in pace e concordia, celebrando la bontà di Dio e le meraviglie del creato. Ma per raggiungere questo ideale dobbiamo impegnarci tutti per abbattere i muri che ci separano e costruire ponti che favoriscano la cultura dell’incontro, consapevoli dell’intima interconnessione che esiste tra noi. In questa prospettiva, le migrazioni contemporanee ci offrono l’opportunità di superare le nostre paure per lasciarci arricchire dalla diversità del dono di ciascuno.

Siamo chiamati a sognare insieme. Non dobbiamo aver paura di sognare e di farlo insieme come un’unica umanità, come compagni dello stesso viaggio, come figli e figlie di questa stessa terra che è la nostra Casa comune, tutti sorelle e fratelli (cfr. Enc. Fratelli tutti, 8).

Nella foto in alto: “La Madonna di Loreto nel manto dei rifugiati”, di Margherita Gallucci. Olio su tavola, 40cm x 60cm, 2020.

Sr. Elizangela Chaves Dias

Uno sguardo attento ai testi biblici di riferimento (del messaggio del papa, n.d.r.) permette di comprendere il valore non negoziabile della vita umana fondata sul senso più profondo della sua dignità e comunione nella diversità, elementi indispensabili per guidare il cammino delle comunità verso un noi alla misura dell’umanità.

È interessante osservare che, secondo il racconto biblico, tutti gli animali e le piante furono creati secondo la loro specie; mentre l’essere umano è creato secondo l’immagine di Dio, non ci sono specie nel genere umano, quindi, non c’è neppure una gerarchia di dignità, genere, etnia, classe sociale, lingua, colore, credo o nazionalità.

(Dunque) nel lungo pellegrinaggio del popolo verso la Terra Promessa, Dio si fa migrante con i migranti, condivide con loro la provvisorietà della vita sotto le tende e le sfide del cammino nel deserto. La tenda, in verità, permette flessibilità, mobilità e apertura. Dio non sta né sopra né sotto l’umano; e pure non essendo limitato dal tempo e dallo spazio, ha voluto scendere per abitare con il suo popolo. Dio si fa nomade tra i nomadi, pellegrino tra i pellegrini. L’essere migrante diventa, pertanto, una qualità specifica del Dio di Israele. Lui è il Dio in cammino, come ci confermano i simbolismi della tenda, dell’arca, della nuvola e della colonna di fuoco, che accompagnarono l’antico Israele nei suoi itinerari fondamentali; cioè, l’esodo, l’esilio e il ritorno alla terra dopo l’esilio.

Dio si fa contrario alla stabilità, ad essere fisso, racchiuso, statico e sedentario. La tenda è l’immagine della dimora preferita da Dio, uno spazio che si può allargare sempre di più per fare entrare e accomodare un noi che abbraccia tutta l’umanità.

L’unità per la quale Gesù prega va oltre le relazioni di un gruppo ristretto, di un gruppo di buoni vicini, o di un gruppo omogeneo. Gesù prega per l’unità delle relazioni che rimangono nell’amore, nonostante le tensioni e i conflitti.

La persona umana cresce, matura si santifica mentre si relaziona, esce da se stessa per vivere un noi con Dio, con gli altri e con tutte le creature, assumendo, nella propria esistenza, quel dinamismo relazionale che Dio ha inciso nella sua vita.

Don Giovanni De Robertis, direttore generale della Migrantes

L’immagine di Dio, a causa del peccato, dell’individualismo radicale e di nazionalismi chiusi e aggressivi, si è frantumata. Agostino esprime bene questa nostra condizione, così come pure l’opera di Dio, con un gioco di parole indimenticabile: «Il nome stesso di Adamo, l’ho detto più di una volta, significa l’universo secondo la lingua greca. Comprende infatti quattro lettere: ADAM. Ora in greco il nome di ognuna delle quattro parti del mondo comincia con una di queste quattro lettere: l’Oriente si dice Anatolè, l’Occidente Dysis, il Nord Arctos, e il Mezzogiorno Mesembria; ciò che fa ADAM. Adamo stesso dunque è sparso ora su tutta la superficie della terra. Concentrato una volta in un solo luogo, è caduto e, spezzandosi, ha riempito tutto l’universo con i suoi frammenti.

Ma la misericordia divina ha riunito da ogni parte questi frammenti, li ha fusi al fuoco della sua carità, ha ricostituito la loro unità spezzata. Opera immensa, è vero, ma nessuno ne disperi, è un’opera che Egli sa fare» (In Ioannem, trat.9 n.14). E noi tutti siamo chiamati a collaborare con Dio in quest’opera, a ricostruire l’unità spezzata.

A questo scopo in occasione della GMMR il Papa lancia un (duplice) appello. Anzitutto ai fedeli cattolici. A vivere quello che il loro nome esprime. Infatti, come scriveva Simone Weil, volendo giustificare così la sua esitazione a entrare nella Chiesa Cattolica, «troppo spesso la Chiesa è cattolica di nome ma non di fatto (…). Troppe cose ne sono ancora fuori; (…); tante cose che Dio ama, perché altrimenti sarebbero prive di esistenza (…).

Quando leggo il catechismo di Trento, mi sembra di non avere niente in comune con la religione che vi è esposta. Ma quando leggo il Nuovo Testamento, i mistici, la Liturgia, quando vedo celebrare l’Eucaristia, sento con una specie di certezza che questa fede è la mia».

Essere cattolici significa saper riconoscere e accogliere il bene ovunque esso sia, e rallegrarci di esso.

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