A nove mesi dallo scandalo dieselgate il nuovo vertice dirigenziale Volkswagen non è ancora riuscito a spiegare come sia stato possibile arrivare alla manipolazione dei dati delle emissioni dei gas di scarico dei motori diesel durante la lunga e avventurosa gestione dell’ex amministratore delegato (ad) Martin Winterkorn. Quel che però appare ancora più grave è che la Volkswagen continui a dare l’impressione di non volerlo assolutamente spiegare. L’opinione pubblica ritiene che l’intero vertice del gruppo sia direttamente coinvolto nella criminosa vicenda.
Questa convinzione avrebbe avuto ora un’altra conferma dal fatto che due giorni prima dell’inizio dell’assemblea dei soci svoltasi a Hannover il 22 giugno 2016, la Procura di Braunschweig e la Bafin (Ufficio federale di Sorveglianza delle attività finanziarie, corrispondente tedesco della Consob italiana) abbiano contemporaneamente avviato indagini nei confronti dell’intero vertice dirigenziale del gruppo Volkswagen, sospettato di aver tardato intenzionalmente di informare il mercato finanziario sulle conseguenze delle manipolazioni dei dati diesel.
Eccezion fatta per Winterkorn, il quale si è “spontaneamente” dimesso, il nuovo vertice è rimasto sostanzialmente formato da manager della vecchia guardia e nel corso dell’assemblea di Hannover, dopo essersi scusato per il dieselgate che ha arrecato gravi danni all’immagine e alle finanze della Volkswagen, non ha saputo andar oltre alla rituale enunciazione dei futuri progetti. Alla fine, l’assemblea dei soci Volkswagen, forte del vigoroso blocco delle due famiglie Porsche-Piech, ha approvato i risultati dell’esercizio 2015 con il solo voto contrario della Bassa Sassonia, il partner pubblico che controlla il 20% del capitale azionario Volkswagen. La furia dei delusi piccoli azionisti si è infranta sul muro delle potenti famiglie Porsche e Piech che controllano la maggioranza azionaria del gruppo automobilistico di Wolfsburg e la cui proverbiale arroganza è soltanto frenata dal Land della Bassa Sassonia, sempre pronto ad accorrere in difesa degli interessi dei dipendenti Volkswagen che nel settore dell’auto sono i meglio pagati a livello mondiali. Gli intervenuti all’assemblea dei soci hanno ascoltato l’accorato invito del nuovo ad Matthias Mueller a metter fine alla “caccia delle streghe” e a concentrarsi sulle molteplici e complesse ristrutturazioni che dovranno consentire alla “nuova” Volkswagen, una volta chiuso il capitolo dieselgate, di competere a livello mondiale con una agguerrita concorrenza internazionale .
I soliti ben noti
Da quando è esploso lo scandalo del dieselgate nessuno a Wolfsburg ha fatto mai un solo nome di un responsabile del truffaldino software in grado di attestare ai motori diesel in occasione dei controlli ufficiali il puntuale rispetto delle norme ambientali previste dall’Unione Europea. Di colpevoli al nuovo vertice del gruppo – il quale non si stanca di ripetere di essere sempre stato all’oscuro di quanto alcuni manager di secondo rango avrebbero in passato architettato – non c’è a nove mesi dallo scoppio dello scandalo nemmeno la più pallida ombra. Al massimo si accenna vagamente a una decina di dieci dipendenti licenziati o sospesi perché coinvolti nella messa a punto del criminoso software attestante un’emissione di gas di scarico in regola con le norme ambientali. Un congegno elettronico che, nota bene, nell’arco di una decina d’anni è stato montato in ben oltre undici milioni di autovetture del gruppo Volkswagen. Piuttosto incomprensibile nell’unanime giudizio dei molti osservatori presenti all’assemblea dei soci Volkswagen a Hannover è apparsa la presenza di Hans Dieter Poetsch nel ruolo di presidente del consiglio di sorveglianza, considerato che egli negli anni del dieselgate era stato il responsabile delle finanze del gruppo Volkswagen.
Giudici di se stessi
Anche Poetsch è finito nel mirino della Bafin con l’ipotesi del reato di manipolazione del mercato finanziario, insieme con l’ex-ad Martin Winterkorn e con Herbert Diess attuale responsabile del marchio Volkswagen. Insieme con gli altri componenti del vertice, essi sarebbero responsabili di aver informato con molto ritardo gli azionisti sui pericoli di una caduta del titolo VW dopo la scoperta dell’incriminato software, di marca Bosch, con il quale la Volkswagen ha manipolato per circa un decennio i dati delle emissioni senza che nessuno si accorgesse mai di nulla. La domanda è come sia possibile che Poetsch nel suo attuale ruolo di capo del consiglio di sorveglianza abbia potuto dirigere un’assemblea dei soci che alla fine ha dato l’approvazione all’operato di un vertice dirigenziale sotto indagine. Un vertice, nota bene, del quale lo stesso Poetsch insieme con gli altri attuali dirigenti per molti anni ha fatto parte. Il documento “Strategia 2025” presentato da Matthias Mueller, nuovo amministratore delegato del gruppo Volkswagen, enuncia dei tre grandi futuri obiettivi del gruppo: la mobilità elettrica delle nuove auto Volkswagen, i collegamenti internet tra le auto stesse e i servizi inerenti alla loro mobilità. Questa strategia dovrebbe essere in grado di assicurare al gruppo Volkswagen uno sviluppo che assicuri al gruppo competitività nei confronti della concorrenza, in primo luogo della giapponese Toyota e dell’americana General Motors.
Nuove batterie elettriche
Il primo compito da affrontare sarà la caratteristica della mobilità elettrica delle nuove auto del gruppo Volkswagen che competeranno non soltanto con le auto elettriche americane e giapponesi ma anche con quelle della Daimler e della Bmw. Parlando all’assemblea di Hannover, l’ad Mueller ha affermato di prevedere che entro il 2025 il gruppo Volkswagen produrrà un milione di auto elettriche. Ciò presuppone la capacità di produrre a prezzi competitivi batterie con maggiore efficienza e durata. Convinto dell’importanza strategica delle batterie per le auto del futuro, anche il governo federale di Berlino farà tutto il possibile per aiutare l’industria automobilistica tedesca a metterle a punto e a produrle in Germania.
Ai tempi di Winterkorn, la cancelliera Angela Merkel non ha mai lesinato il suo appoggio alla Volkswagen e continuerà a farlo anche ora, aiutandola a mettere in piedi un settore industriale tedesco per la produzione di chips per le batterie delle auto elettriche. Tra l’altro, in questo modo la Volkswagen potrebbe risolvere almeno in parte le attuali difficoltà del suo settore della componentistica che ha troppi dipendenti con paghe troppo alte e che conseguentemente produce in perdita, una delle cause dei cronici insufficienti margini di guadagno della marca Volkswagen che fanno il 60% del fatturato del gruppo di Wolfsburg. Ora sarà interessante vedere quali ripercussioni avrà in Europa e in altri mercati l’accordo di risarcimento a favore degli automobilisti Usa. La Volkswagen farebbe un altro grave errore usando due pesi e due misure.