Nella foto: Carlo e Renzo Piano. Foto ©privat

“Penso che nell’animo di tutti noi, magari in un angolino poco frequentato, c’è qualcosa che strugge: un rimpianto, un desiderio, una passione, quello che poteva essere e non è stato. La perfezione irraggiungibile, un’Atlantide da inseguire”.

Conversazione con Carlo Piano, giornalista, che ha recentemente presentano presso l’Istituto Italiano di Cultura di Colonia il libro Alla ricerca di Atlantide. Viaggio nell’architettura per ragazzi sognatori (2022) scritto a quattro mani con il padre, l’architetto Renzo Piano. Due giornate di incontri, il 7 e l’8 maggio organizzati dall’Istituto Italiano di Cultura di Colonia, in collaborazione con l’Italienzentrum dell’Università di Bonn. Il libro è pubblicato anche in tedesco da Midas con il titolo Auf der Suche nach Atlantis: Eine Reise durch die Architektur für Kinder und Jugendliche.

Lei ha dichiarato che dietro „Atlantide“c’è la storia di un viaggio con suo padre nei luoghi da lui costruiti, un viaggio per mare che ha favorito confidenze e riflessioni profonde. Atlantide rappresenta la città perfetta e irraggiungibile, quella a cui l’architetto aspira per tutta la vita. Lei, attraverso la scrittura, ambisce a raggiungere quella stessa perfezione e bellezza? Oppure è proprio la ricerca in sé a ispirarla?

    Penso che nell’animo di tutti noi, magari in un angolino poco frequentato, c’è qualcosa che strugge: un rimpianto, un desiderio, una passione, quello che poteva essere e non è stato. La perfezione irraggiungibile, un’Atlantide da inseguire. Ognuno ha un suo personale motivo per rincorrerla, non solo mio padre. Tutti abbiamo smarrito qualcosa: un amore, la grande occasione, l’innocenza, noi stessi. Ma soprattutto la perfezione che, stando alla leggenda, un tempo ci apparteneva e che, forse, si può ritrovare. Quindi credo che sia la ricerca continua più che la meta che debba ispirarci. Come saggiamente scriveva il poeta Costantino Kavafis “non affrettare il viaggio; fa che duri a lungo, per anni, e che da vecchio metta piede sull’isola, tu, ricco dei tesori accumulati per strada senza aspettarti ricchezze da Itaca. Itaca ti ha dato il bel viaggio; senza di lei, mai ti saresti messo sulla via”. Devi viaggiare senza fretta di giungere a destinazione, ma imparando da ogni situazione, ammirando ogni luogo, lasciandoti permeare dalla cultura, dalle sorprese e dagli incontri. Chi torna da un viaggio, non è mai la stessa persona che è partita.

    Nella foto: Copertina del libro di Carlo e Renzo Piano

    Ha raccontato che, durante l’immaginaria navigazione sulla nave oceanografica della Marina, Lei e suo padre avete condiviso pensieri molto intimi: dubbi, pentimenti, “cassetti segreti”. Cosa voleva raccontare dell’uomo Renzo Piano? Quale insegnamento le ha lasciato nei lunghi viaggi reali per mare fatti insieme?

    In realtàla nostra navigazione non è stata solo immaginaria, o lo è in parte, siamo veramente stati assieme sulla nave oceanografica della Marina militare, una nave di pace e scienza e non votata alla guerra. Abbiamo solcato i mari e trascorsi lunghi periodi sbattuti dalle onde o cullati dalla bonaccia. Con mio padre ho navigato in barca a vela fin da piccolissimo, in barca si abbassa il tono di voce, si alzano gli occhi al cielo e si confessano cose che sulla terraferma non si direbbero. In questa occasione ho avuto modo di rovistare nei suoi cassetti mentali segreti, scoprendo errori, pentimenti, idee incompiute, sogno irrealizzati e svaniti strada facendo…

    Atlantide è la città perfetta e irraggiungibile, simbolo di un ideale di bellezza che si cerca per tutta la vita. Nella ricerca e nel viaggio si suggella anche la vera essenza della bellezza. Quale ruolo ha la bellezza nel suo libro e nella sua vita? Crede che i giovani oggi ricerchino il bello?

    Forse è meglio definire il tipo di bellezza che cerchiamo nello scorrere delle pagine di Atlantide. Una bellezza che, per gli antichi greci, non andava intesa in maniera estetica e superficiale. L’espressione “kalòs kai agathòs” significa bello e buono, unisce l’ideale di bellezza all’etica. Parliamo quindi di bellezza anche come esplorazione, curiosità, solidarietà. Penso all’idea platonica dove bellezza e bontà erano la stessa cosa. Questa è la bellezza che può trasformare le persone. Dobbiamo riprendercela, ce l’hanno sottratta. Oggi quando parli di bellezza pensi alla cosmesi. Ma noi italiani diciamo una bella persona pensando alla sua essenza e non solo al suo aspetto. Si parla di una bella azione per dire che è generosa e coraggiosa. Si dice bell’esempio, bell’idea, bel gesto. È questa bellezza una delle poche cose che può cambiare il mondo. Per il principe Myškin di Dostoevskij persino salvarlo. Anche a me piace pensare che questa bellezza salverà il mondo. E che lo farà, ma una persona alla volta ed è importante che i giovani comincino ad apprezzarla e frequentarla da subito.

    Nel libro visitate molti luoghi dove suo padre ha costruito. C’è un’opera che, secondo lei, avvicina tutti all’arte di Renzo Piano e con quali parole aggettivi la definirebbe?

    Suonerà strano ma, nonostante mio padre abbia costruito grandi musei, auditorium, centri culturali, credo che tutto fosse già dentro i castelli di sabbia che da bambino costruiva sulla spiaggia di Pegli, il quartiere di Genova dove è nato. L’acqua, la luce, la leggerezza, la trasparenza e la sfida alla forza di gravità che caratterizza il mestiere dell’architetto. Forse è lì che è cominciata la sua carriera, e forse quello è stato il primo allenamento. I castelli di sabbia sono effimeri, eppure ti restano dentro per sempre. Non è banale costruire un castello di sabbia, per prima cosa devi stare fermo sulla battigia, al limite della spiaggia, e osservare quanto l’onda sale e quanto scende. Il rapporto del castello con il mare è più importante di quanto appaia. Bisogna studiare bene le onde, una dopo l’altra, quindi decidi dove posizionare il castello, ma con attenzione: se è troppo vicino, all’acqua verrà subito distrutto, se troppo lontano, non potrà giocare con le onde. Non c’è limite di età per costruirli, mio padre ancora oggi li fa: ci si può divertire anche da adulti, perché i castelli di sabbia aiutano a pensare come i bambini.

    Ogni tappa del vostro viaggio racconta la bellezza a modo suo. C’è un luogo che per lei ha un significato speciale? Perché?

    Se devo scegliere un luogo è Parigi con il centro culturale Georges Pompidou. Tutto è cominciato allora negli anni Settanta. Mio padre e Richard Rogers, che allora nessuno conosceva ed erano poco più che trentenni, vinsero nello stupore generale il concorso a cui parteciparono quasi settecento studi di architettura. Erano gli anni della contestazione studentesca e una fabbrica culturale nel centro nobile di Parigi era un’idea rivoluzionaria e che rispecchiava il cambiamento della società. Il loro edificio era uno sberleffo e scatenò un sacco di polemiche, oggi però è apprezzato e visitato da 20.000 persone al giorno. Se non ci fosse stato il centro Pompidou non ci sarebbe Renzo Piano o, meglio, ci sarebbe ma in maniera diversa. Un altro luogo che amo è il Porto antico di Genova con il Bigo e l’Acquario, un posto magico dove la vista del mare spinge all’avventura e alla scoperta, che a proposito di giovani è una pulsione fondamentale nella formazione dei ragazzi.

    Nella foto: Carlo e Renzo Piano. Foto ©Privat

    Lei presenta il libro in una versione per ragazzi, con il titolo Alla ricerca di Atlantide – Un viaggio nell’architettura per ragazzi sognatori. Perché i giovani dovrebbero leggere questo libro?

    Costruire è una meravigliosa avventura che ha sempre accompagnato l’uomo dagli albori e che non finirà mai, è futuro. Costruire è anche speranza ed un gesto di pace, il contrario di distruggere. L’architettura è un mestiere antico, forse il più antico della terra: è un po‘ come la caccia, la pesca, la coltivazione dei campi, l’esplorazione dei mari.
    Sono le attività originarie dell’uomo, da cui discendono tutte le altre. Subito dopo la ricerca del cibo, viene la ricerca di un riparo; a un certo punto, l’uomo non si accontenta più dei rifugi offerti dalla natura e diventa architetto. Una cosa che mio padre raccomanda sempre ai giovani che vengono da lui a bottega è di ascoltare gli altri, rubare le idee e portare via, ma a patto di restituirle con gli interessi. E poi credo che questo libro possa trasmettere ai ragazzi un’altra cosa importante: noi italiani siamo come dei nani sulle spalle di un gigante, tutti. E il gigante è la cultura, una cultura antica che ci ha regalato una straordinaria, invisibile capacità di cogliere la complessità delle cose. Articolare i ragionamenti, tessere arte e scienza assieme, e questo è un capitale enorme. E per questa italianità c’è sempre posto a tavola per tutto il resto del mondo.

    Ma l’avete trovata Atlantide in qualche abisso dei sette mari?

    Vede, mio padre ha cercato la perfezione, che il mito di Atlantide rappresenta, costruendo in giro per il pianeta. Forse però tutto ciò che facciamo, che si scriva, costruisca o si esplori il mondo è solo la brutta copia di quello che abbiamo in mente. C’è sempre il dubbio di non essere all’altezza, la sensazione che si poteva andare più in profondità. Sono convinto che Atlantide esista, e anche se non esistesse bisognerebbe comunque cercarla. Perché è una bella idea e perché è la destinazione perfetta per il viaggio. Da qualche parte deve pur esserci e continuo a darle la caccia.

    Cosa significa che comunque va cercata?

    Che forse è bene che Atlantide resti avvolta nel mistero. Forse è giusto che l’uomo si inquieti guardando l’oceano, e pensi a un regno inghiottito dall’acqua e dal fuoco. Incarna l’opera perfetta, a cui aneliamo e che mai realizzeremo. C’è sempre qualcosa che manca in quello che facciamo, e lo sappiamo benissimo.