Caro Mauro, se c’è ancora spazio per il numero di gennaio, ti propongo queste mie considerazioni relative alla discussione sugli insegnanti locali o Mae. Ho letto con estremo interesse gli interventi apparsi sul numero di dicembre 2011 del “Corriere d’Italia” a proposito degli insegnanti di ruolo inviati all’estero e della proposta di sospendere completamente quel tipo di servizio per assumere soltanto docenti in loco. Vorrei intervenire nel dibattito proponendo tre diverse considerazioni:
Trovo del tutto fuorviante parlare dei docenti di ruolo inviati dal Ministero Affari Esteri come di una “casta privilegiata”. Le “caste” sono in ben altri ambiti e non certo in quello della scuola. Il trattamento economico previsto per i docenti del Mae all’estero è lo stesso che vige per tutti i dipendenti pubblici mandati dallo Stato a svolgere servizio fuori dai confini patri, con un’indennità di sede calcolata in base al costo della vita e ai disagi cui si va incontro. Anche i militari impegnati fuori d’Italia prendono molto di più di quelli in servizio sul suolo patrio, e così i diplomatici e ogni altra categoria per la quale sono previste missioni fuori sede. Per altro è una regola che viene applicata anche nel privato: quando un istituto bancario manda un suo funzionario in una filiale all’estero lo paga assai di più, condendogli spesso vari benefit tipo il rimborso spese del trasloco o l’affitto pagato.
Lo stesso vale nel campo del giornalismo: i corrispondenti del “Corriere della sera” o di “Repubblica” a Berlino hanno una busta paga ben più pesante dei loro colleghi della redazione di Roma o Milano. Perché mai il mondo dell’insegnamento dovrebbe fare eccezione a questa prassi? Più complessa è la questione se la Repubblica italiana faccia bene o no ad inviare docenti di ruolo all’estero (con i relativi costi), se il contingente attuale corrisponda alle esigenze reali e se non sia più sensato ridurre i costi ricorrendo a docenti reclutati in loco.
Se vogliamo evitare soluzioni demagogiche (del tipo “tutti a casa”) dovremmo procedere ad un’analisi minuziosa di ogni singolo Paese e di ogni singola sede per verificare dove gli insegnanti di ruolo hanno senso e dove no. Da questo punto di vista l’Amministrazione mi pare assai deficitaria: la mia impressione è che i posti vengano aperti o chiusi più per interessi personali o per spinte locali che non per soddisfare le reali esigenze di servizio. La soluzione ideale potrebbe essere a mio avviso quella di una mescolanza equilibrata tra insegnati mandati dall’Italia e insegnanti del posto riservando ai primi una funzione di responsabilità maggiore per quanto riguarda per esempio l’aggiornamento e la formazione dei colleghi. Se l’Italia vuole svolgere all’estero una politica linguistico- culturale degna di tale nome, non può rinunciare ad un contingente di propri insegnanti il quali, avendo esperienza di scuola italiana, si fanno all’estero portatori delle specificità della nostra tradizione pedagogica.
Vengo al terzo ed ultimo punto sul quale gli interventi di dicembre mi pare abbiano sorvolato e che invece per me è decisivo. Si tratta della questione della selezione e della preparazione del personale docente inviato all’estero. Sì, perché ai genitori che risiedono in Germania e vogliono che i loro figli imparino l’italiano interessa poco che i docenti siano locali o Mae e quanti euro finiscano nella loro busta paga. Quello che preme è che siano bravi docenti, con comprovata esperienza didattica, conoscenza delle materie che insegnano e della lingua d’uso (il tedesco), dotati delle necessarie conoscenze psicologiche e con una buona capacità di relazionarsi con i colleghi tedeschi e in generale col contesto sociale in cui operano.
Credo di dire una cosa ovvia se affermo che dovrebbe essere nell’interesse di tutti che lo Stato mandi all’estero dei docenti bravissimi e preparatissimi, possibilmente i migliori nel loro settore. E su questo punto occorre, ahimè, mettere in dito nella piaga. Pur con tutte le eccezioni che si possono riscontrare, mi pare innegabile che la qualità dei nostri docenti all’estero negli ultimi anni è drammaticamente diminuita. E non per colpa dei docenti, ma per colpa dei meccanismi di selezione che si sono ridotti ad una farsa surreale: a partire dalla metà degli anni Novanta la Farnesina, per reclutare il personale di ruolo da mandare all’estero, ha abbandonato la strada del “concorso” selettivo intraprendendo quella delle “procedure di accertamento linguistico”.
In altre parole si parte dal presupposto che chiunque sia già insegnante di ruolo (a livello elementare, oppure di lettere o lingue straniere a livello medio) sia di fatto pronto per insegnare all’estero; l’unica verifica riguarda la conoscenza della lingua straniera, che viene accertata attraverso elementari quiz con le crocette.
Risultato? Tutti o quasi superano i quiz e finiscono nel calderone delle “graduatorie permanenti” dalle quali prima o poi il loro nome verrà pescato per una missione di insegnamento all’estero. È seria questa procedura? È così che si garantisce la qualità del servizio? E se invece si decidesse che insegnare l’italiano agli stranieri è un’attività difficile e solo chi ha maturato le competenze adatte (dunque non solo la lingua straniera, ma anche la linguistica, la glottodidattica etc.), chi ha frequentato corsi di perfezionamento post laurea, master o dottorati, può candidarsi a farlo? Se si ripristinassero concorsi duri e selettivi, con prove scritte e orali per selezionare un contingente di insegnanti esperti da inviare nel mondo laddove c’è necessità? Perché i nostri parlamentari eletti all’estero, anziché alimentare contrapposizioni tra docenti di serie A e di serie B, non avanzano proposte per modificare il reclutamento del personale di ruolo da inviare all’estero?
Caro Gherardo, in questo numero trovano spazio interventi, come il tuo presente e come quello del direttore didattico di Friburgo, (pag. 4). Personalmente ho una opinione diversa dalla tua e dalla sua, e la proporrò nel prossimo numero, in modo che il dibattito possa continuare. Aspettiamo, come dicevo in altra occasione, che chi è interessato al dibattito possa intervenire. mau. mont.