Signor Ministro, negli ultimi tempi l’Italia ha scontato un deficit di credibilità a livello internazionale. Come risalire la china ed essere protagonisti in Europa?
Abbiamo avuto un problema di credibilità legato soprattutto all’emergenza economico-finanziaria. Un problema che stiamo superando, grazie all’azione coraggiosa e tempestiva del governo italiano negli ultimi due mesi. Ho contatti continui con i miei colleghi europei e da tutti colgo l’unanime apprezzamento per la capacità del nostro governo ad adottare misure così impegnative in campo economico ed in così poco tempo. L’efficacia di quest’azione ha fatto sì che in poche settimane l’Italia potesse tornare a sedersi allo stesso tavolo con i principali partner europei. Non siamo più il problema dell’Eurozona, ma parte della soluzione. Certo, i problemi sono tutt’altro che risolti. La sfida principale, legata al debito, è quella della crescita, che stiamo affrontando a livello nazionale con misure forti, come quelle nel campo delle liberalizzazioni. Ciò detto, è chiaro che il problema è più ampio, come abbiamo visto dal declassamento di nove Paesi europei. E riguarda in senso più ampio il rapporto tra finanza globale da un lato e la solidità della governance europea dall’altro. Un rapporto che va equilibrato da entrambi i lati…
Come?
Con una più efficace regolamentazione dei mercati e del ruolo delle agenzie di rating e con un salto di qualità della governance dell’Eurozona, che non può essere limitata alla disciplina di bilancio, ma deve investire anche i meccanismi di solidarietà e i fattori di crescita. Da qui l’importanza del negoziato sul fiscal compact, al quale il governo italiano può oggi contribuire da una posizione di autorevolezza.
Insisto. Di Europa ormai si parla solo con il vocabolario economico: bond, spread… E la politica estera?
È vero ed è un errore. Anche perché nel rating complessivo di un Paese dovrebbe idealmente rientrare anche la sua dimensione esterna, quel che fa nel mondo, le responsabilità che si assume per garantire la sicurezza globale. Del resto gli oneri di sicurezza che i Paesi internazionalmente virtuosi si assumono – e tra questi l’Italia – influiscono anche sui bilanci degli Stati. Al di là di ciò è evidente che l’Europa non è, né può essere, solo moneta o fiscalità. È un attore politico ed economico mondiale, con un identikit ben chiaro e definito dalla comunanza di norme e valori democratici. E se vuole essere competitivo sulla scena globale deve dotarsi di una politica estera più efficace. Abbiamo in questi anni fatto importanti passi in avanti, abbiamo dispiegato 12 missioni militari e civili europee nei diversi angoli del mondo, ci siamo dotati di nuovi strumenti con il Trattato di Lisbona, tra cui un servizio diplomatico comune, abbiamo deciso a dicembre la creazione di un quartier generale europeo per la pianificazione delle missioni nel Corno d’Africa. È sufficiente? Certamente no. Abbiamo bisogno di una più chiara definizione delle nostre priorità in un mondo che cambia rapidamente. Ho per questo suggerito di avviare una riflessione sull’aggiornamento della strategia di sicurezza europea. L’ultima risale al 2008, prima del trattato di Lisbona, della crisi economica, delle primavere arabe. Occorre poi uno sforzo maggiore per la comunitarizzazione delle risorse ed asset della sicurezza anche in relazione alle esigenze di disciplina di bilancio. E soprattutto occorre una più forte volontà politica degli Stati membri a far valere, senza gelosie nazionali, le ragioni e gli interessi comuni dell’Europa. Soprattutto di fronte alle potenze emergenti, la Cina, l’India e così via, dove è il caso di dire l’Unione fa la forza.
Come si sta articolando la sua azione in Europa?
Sull’Europa, sto accompagnando l’azione del presidente Monti con una serie di incontri bilaterali con le mie controparti. Ho visto a Roma Westerwelle e Carl Bildt, Juppé a Parigi qualche giorno fa, sarò il 26 a Londra per una bilaterale con Hague che ho già avuto occasione di incontrare in bilaterale a margine dei Consigli dei ministri degli Esteri a Bruxelles. Mantengo ovviamente un stretto contatto anche con la Presidenza di turno danese. L’obiettivo è rafforzare la nostra voce nell’Ue in difesa dei nostri interessi nazionali. Un paio di esempi: il negoziato sulle prospettive finanziarie dell’Unione per il periodo 2014- 2020. L’Italia è contributore netto ed ha un evidente interesse, insieme ad altri Paesi contributori netti, tra cui la Francia, la Germania, il Regno Unito, a vedere ridotto il proprio saldo negativo e a far sì che il prossimo bilancio concili il rigore con le ambizioni dell’Unione. Sempre legata al prossimo bilancio dell’Ue c’è l’esigenza di assicurare risorse sufficienti ai Paesi del Mediterraneo per sostenere le transizioni democratiche. Un altro tema è l’allargamento, in particolare ai Paesi dei Balcani occidentali. È un interesse nazionale dell’Italia che questi Paesi, nostri vicini ed amici, entrino nell’Ue. Siamo tra i primissimi partner economici di tutti i Paesi balcanici e siamo convinti che, se pienamente integrati in Europa, questi Paesi possano diventare produttori di stabilità con beneficio per tutti. Perciò ho chiesto, insieme al mio collega svedese Bildt, che la Serbia sia inserita tra i punti di discussione al prossimo Consiglio dei ministri Ue. Intensificheremo la nostra azione diplomatica per giungere al Consiglio europeo di marzo ad una decisione sulla concessione dello status di candidato alla Serbia. Un’altra azione che l’Italia sta portando avanti in Europa riguarda i diritti delle minoranze religiose, in particolare quelle cristiane. Abbiamo appena concluso un’intesa Farnesina- Comune di Roma per la creazione di un Osservatorio sul rispetto dei diritti delle minoranze religiose e cristiane nel mondo che si avvarrà della collaborazione della nostra rete diplomatica e lavorerà in raccordo con la task force dell’Unione europea.
Molto si è discusso e polemizzato in questi mesi sulle spese militari. Ma un modello di Difesa, anche in chiave europea, non dovrebbe essere in funzione di una politica estera?
Credo ciò esista già nei fatti. Ed è un processo accentuatosi in questi anni, con l’impegno delle missioni all‘ estero, dai Balcani, all’Afghanistan, al Libano dove abbiamo dimostrato e la coerenza esistente tra la nostra Difesa e la politica estera, l’interazione e complementarietà tra lo strumento militare e la diplomazia.
(da L’unità)