Antifaschistischer Schutzwall, Così si chiamava il muro che impediva ai cittadini della Germania orientale di fuggire verso l’Occidente. Eretto a Berlino nel 1961, per 28 anni divise in due la città sulla Sprea ed isolò la sua parte occidentale dal territorio circostante. Il Muro divenne presto il simbolo della divisione tra Est ed Ovest, in Europa e nel mondo.
Il 9 novembre 1989 il Muro crollò sotto i colpi dei berlinesi e la storia decretò la fine dell’esperimento sovietico. Il comunismo internazionale concludeva definitivamente il suo ciclo storico iniziato con la rivoluzione d’ottobre del 1917: la popolazione dell’Europa orientale aveva finito per non tollerare più un sistema politico e sociale che sembrava immobile nel tempo, soprattutto se confrontato alla dinamica economica nell’Ovest, in grado di produrre infinitamente più beni di consumo. Già il nome -Antifaschistischer Schutzwallera un ricordo del passato e richiamava un conflitto (fascismo – antifascismo) che, dopo la fine della guerra, aveva poca ragione di essere.
Il conflitto reale –nel Dopoguerra- era invece, appunto, tra comunismo e capitalismo. Il primo: un sistema sociale che prevedeva la statalizzazione di capitali e mezzi di produzione e la riduzione delle differenze sociali; il secondo, invece, al contrario, la privatizzazione sempre più estrema dei capitali e la conseguente esplosione delle differenze sociali. Dopo la seconda guerra mondiale, sulla carta il sistema comunista avrebbe avuto molte possibilità di vincere, perché incorporava la grande tradizione (e il grande desiderio) dell’Occidente della uguaglianza sociale. Una tradizione nata col Cristianesimo ed elaborata da filosofia e letteratura non soltanto marxista. Basti pensare a L’Utopia di Tommaso Moro. Ed anche dalla politica. La rivoluzione francese, ad esempio, si basava proprio sui concetti di fraternità ed uguaglianza. E invece il comunismo crollò rumorosamente dopo avere creato per decenni, in nome dell’uguaglianza e della giustizia, morti, lager e deportazioni.
Ma non fu quella la ragione del suo crollo. Nella propria battaglia contro il comunismo, infatti, l’Occidente aveva sulla coscienza almeno altrettanti morti. Il comunismo crollò semplicemente perché dava poche soddisfazioni materiali ai cittadini. Perse la sua battaglia, come dicevo, sul fronte dei consumi. Dall’89 i conflitti si sono spostati sul fronte nord-sud del mondo, e propriamente su quello Occidente-Islam, mentre, da allora, la Russia cerca da allora di rompere il suo isolamento politico internazionale. L’attuale crisi in Ucraina, ad esempio, è frutto dei submovimenti che si sono susseguiti in territorio europeo dopo il crollo dell’universo sovietico. Ma i problemi non stanno soltanto in Russia. A venticinque anni dalla caduta del Muro, infatti, l’Europa è molto lontana dall’essere una entità politica in grado di risolvere i problemi che vengono da un mondo globale, come invece molti si auguravano i quei giorni entusiasmanti del 1989. La parte orientale del continente ha cercato da allora di avvicinarsi sempre più ai consumi e allo standard di vita di un’Europa occidentale, anche attraverso l’ingresso nell’area economica comune, quella della moneta unica: l’Euro.
Allo stesso tempo, però, l’Europa occidentale è entrata in una crisi economica profonda per avere perso il treno della innovazione tecnologica sul piano dell’informatica e delle comunicazioni, sul piano della robotica e delle biotecnologie, sul piano della ricerca spaziale, della chimica virologica e via discorrendo. Il centro del mondo della tecnologia, della ricerca e della produzione di ricchezza è da molto tempo altrove. Ma il problema dell’Europa attuale non sta soltanto in questo. Sta anche nel fatto di non avere una testa politica, un progetto complessivo a lungo periodo come era nello spirito dei fondatori dell’idea europea dopo la guerra. Questo mette in forte rischio anche ciò che si è realizzato fino ad ora. Cioè la moneta unica. L’Euro.
Nel suo ultimo libro “Scheitert Europa?”, l’ex ministro degli Esteri della Repubblica federale, Joschka Fischer, una delle teste più lucide della politica europea degli ultimi decenni, fa un’analisi spietata delle linee di politica finanziaria nel vecchio continente ed accusa apertamente la politica di risparmio del governo tedesco. Dice Fischer: “È triste vedere che, se l’Europa non avesse seguito le indicazioni di Mario Draghi, oggi l’euro non esisterebbe più!”. Fischer suggerisce una soluzione comune europea per tutti i debiti. Una idea non facile da accettare per l’Europa del nord che di debiti ne ha meno e teme che i suoi soldi vadano a finanziare le inefficienze di sistema dei Paesi europei del sud: le assunzioni clientelari di decenni, le spese incontrollate e le regalie per mantenere basi di consenso politico, la pratica del voto di scambio, eccetra. Tutte cose costosissime e in grado di affossare qualsiasi economia.
Ha ragione Joschka Fischer o ha ragione la signora Merkel, quando vuole il risparmio a tutti i costi? O non è piuttosto più accettabile una via di mezzo, come quella proposta dal governo italiano, il quale si dice disposto ad una riduzione del debito interno, ma si augura che – contemporaneamente – l’Europa la finisca con la politica deflattiva? Certo, i governi, se vogliono mantenere il consenso, fanno ciò che i loro elettori si aspettano. Così fa anche il governo tedesco. Ma non del tutto. La seconda grande accusa che Fischer fa alla signora Merkel è quella di voler mantenere a tutti costi un surplus commerciale che è arrivato negli ultimi anni al 7% del prodotto interno e va molto oltre gli accordi internazionali del 2009 che prevedono un massimo del 2%.
Dice Fischer: “Se l’Europa non riparte è colpa dei tedeschi che non creano domanda interna riducendo le tasse o aumentando gli investimenti pubblici”. Detta da un Verde come lui, la cosa colpisce. D’altra parte ha colpito molto anche l’episodio accaduto all’ultimo summit del G20 quando Larry Summers, economista americano, già presidente della Worldbank ed attualmente presidente del National economic council si è alzato in piedi per gridare in faccia a Wolfgang Schäuble – davanti a tutti i presenti – di essere l’unico responsabile della crisi europea. (Un episodio che non troverete riportato sui media tedeschi!).
A 25 anni dalla caduta del muro, insomma, l’Europa sembra ancora impantanata in mezzo al guado, in forte crisi di orientamento, non in grado di impostare politiche economiche comuni, ma anche consapevole che indietro non si può tornare. Continua Fischer: “L’Europa è stata costruita per il bel tempo!” E noi abbiamo da oltre un decennio tempo cattivo. È necessaria una nuova Carta Europea? Fischer ne è sicuro: “Rimane molto lavoro da fare alle persone di buona volontà per rimediare agli errori del passato”.