"Dai cieli d’Italia, in quei giorni, pioveva fango, ecco, e a palle di fango si giocava; e il fango s’appiastrava da per tutto, su le facce pallide e violente degli assaliti e degli assalitori, su le medaglie già guadagnate sui campi di battaglia (…) e su le croci e le commende e su le marsine gallonate e su le insegne dei pubblici uffici e delle redazioni dei giornali".
Nel marzo 1908 abbiamo notizia, grazie ad una lettera indirizzata da Luigi Pirandello a Massimo Bontempelli, della stesura di un romanzo, "I vecchi e i giovani", che avrebbe dovuto descrivere gli eventi di "un anno terribile per l’Italia": il grande scrittore intendeva parlare di fatti risalenti al "crollo scandaloso della Banca Romana" e alla "bancarotta del vecchio patriottismo".
Il romanzo in questione, dopo varie vicende editoriali, uscirà per l’editore Treves nel 1913 dopo essere apparso, ma solo per poche puntate, sulla rivista romana "Rassegna contemporanea" nel 1909. Pirandello non aveva nelle sue corde il romanzo storico, tuttavia la piega degli eventi di primo Novecento, con la tendenza al compromesso e all’appiattimento dopo le speranze della stagione risorgimentale, bruciava non poco nell’animo del siciliano: a causa di questa delusione egli iniziò a rovistare negli immediati precedenti dei compromessi e degli scandali, decidendo di narrare la madre di tutte le vergogne: lo scandalo della Banca Romana che nel 1893 costò – provvisoriamente – la leadership governativa a Giolitti.
I modi di quegli eventi sono stati in parte diversi da quelli che vediamo accadere oggi sotto i nostri occhi e pongono limiti alla ricerca di analogie. La Banca Romana era uno degli istituti che potevano emettere moneta, e si servì di questo privilegio soprattutto quando scoppiò la bolla immobiliare del 1887-88, stampando biglietti senza autorizzazione governativa e addirittura duplicando i numeri di serie del denaro cartaceo. Il denaro così miracolosamente raddoppiato andò, secondo alcune testimonianze, a giornalisti, politici e membri di alcuni governi.
Ma "I vecchi e i giovani" non deve essere letto solo come testimonianza "analogica" rispetto al 2013, esattamente cento anni dopo l’edizione del romanzo, anche se alcune costanti (il profitto svincolato dall’etica) non possono essere ignorate; rappresenta soprattutto una preziosa testimonianza di quello che allora e oggi si è perso: il valore uomo, messo a rischio dalla ricerca ossessiva dell’interesse privato e dell’utile a qualsiasi costo. È da questo punto di vista che va letta non solo la attuale vicenda del Monte dei Paschi, ma anche quella dell’Ilva di Taranto, o quella della folle spesa di denari pubblici per futili e costose "rappresentanze" in un momento in cui le famiglie denunciano problemi di sopravvivenza economica a ogni fine mese. Il denaro non rappresenta più un mezzo per permettere la buona amministrazione della città – in senso lato -, ma un fine a cui sacrificare tutto il resto.
Si dirà che Pirandello stava accusando una classe politica che dilapidava l’eredità della recente unificazione italiana, che vanificava la lotta e il tributo anche di vite umane che essa aveva richiesto. Garibaldi, Mazzini, il socialismo, erano stati messi da parte, e lo spettacolo che si offriva agli uomini ancorati ai valori antichi era orribile: "Mangia il Governo (…), mangia la Provincia; mangia il Comune e il capo e il sottocapo e il direttore e l’ingegnere e il sorvegliante"; come si sarà notato, non sono considerazioni diverse da quelle di oggi, anche perché anche oggi molti possono fare riferimento a epoche "eroiche", come il dopoguerra, in cui associazioni e partiti assai diversi tra loro si dettero da fare per la ricostruzione del nostro Paese.
Altri potrebbero obiettare che Pirandello si compromise coscientemente con il fascismo, tra l’altro a ridosso del caso Matteotti, quando si profilò più nettamente la volontà assolutistica di Mussolini; ma è proprio questo il punto. Il siciliano aborriva una politica che dietro il paravento della democrazia parlamentare nascondeva complicità e profitti illeciti, per poi far valere ipocritamente i "supremi interessi del Paese" come nel caso dell’inchiesta per i fatti della Banca Romana; come tanti, vide nel fascismo un ritorno agli ideali risorgimentali messi da parte per amore del denaro e del potere.
Il suo avvertimento oggi è tornato attuale: la corda della democrazia non va tirata oltre il lecito. La dignità dell’uomo deve restare al centro della politica, e la politica stessa non può e non deve diventare serva del denaro.