“Il mondo oggi ha bisogno di misericordia, ha bisogno di compassione, ovvero di “patire con”. Siamo abituati alle cattive notizie e alle atrocità più grandi, che offendono il nome di Dio. Il mondo ha bisogno di scoprire che Dio è amore, che c’è misericordia, che la crudeltà non è la strada, che la condanna non è la strada”. Papa Francesco ha spiegato così il perché dell’Anno Santo sulla Misericordia, che ha inaugurato l’8 dicembre, festa della Immacolata, dopo avere aperto la Porta Santa della cattedrale di Bangui in Centrafrica, anticipando di una decina di giorni l’apertura ufficiale.
E’ la prima volta in assoluto che la Porta Santa è stata aperta fuori da Roma, nella periferia della Chiesa e del mondo. Papa Francesco ha scelto di iniziare il Giubileo nella Repubblica Centrafricana per rendere concreto il messaggio del Giubileo e per dimostrare la sua convinta vicinanza ai poveri e alle periferie del mondo. La Porta Santa, un simbolo liturgico che rappresenta Cristo, che rappresenta anche la Pasqua, cioè il passaggio dalla morte alla vita, dalla guerra alla pace, dall’odio all’amore, dalla paura alla fiducia.
Qualche giorno prima della partenza, il Pontefice, tramite un video, aveva spiegato alle popolazioni di Kenya ed Uganda i motivi della sua visita e inviato un messaggio anche ai giovani ai quali augura “un futuro di solidarietà, di pace e di progresso”. E ai fedeli della Repubblica Centrafricana, che hanno avuto “troppo a lungo una situazione di violenza e di insicurezza di cui molti di voi sono vittime innocenti, ha detto: “Lo scopo della mia visita è portare Gesù, la sua consolazione e la sua speranza” auspicando che “possa contribuire… a guarire le ferite e ad aprire un più luminoso futuro per tutti, l’occasione provvidenziale per un autentico perdono ed un incoraggiamento a superare le divisioni in nome del rispetto e dell’accettazione reciproca… a beneficio del Paese e del suo bene comune”.
Ed è la prima volta di Papa Francecso in Africa, ritenuta, da Benedetto XVI, “il polmone spirituale dell’umanità” e, da Paolo VI, “il nuovo Continente di Cristo”. Viaggio alquanto pericoloso, il suo, a causa del terrorismo musulmano cui, però, non ha inteso in alcun modo rinunciare. “Se non volete andare a Bangui, datemi un paracadute e ci vado sa solo” aveva detto scherzosamente al pilota all’inizio del viaggio.
Aprendo la Porta Santa a Bangui, ha invitato il popolo del Centrafrica ad aprirsi all’amore che vince l’odio e ha chiesto ai giovani dell’Africa di deporre le armi, di abbandonare l’odio fratricida, di riconciliarsi gli uni con gli altri e di costruire un futuro di pace fondato sulla giustizia e sull’amore. Ha rinnovato l’appello a non usare Dio per giustificare la violenza perché “le religioni sono e devono essere operatrici di bene, fattori di riconciliazione, di fraternità nel mondo d’oggi”. Ha invitato i benestanti a “lottare contro la povertà, contro l’esclusione, ad assicurare ad ognuno una vita degna che rispetti la dignità… delle popolazioni dell’Africa”.
Sono gli stessi motivi che lo hanno spinto, durante i sei giorni di soggiorno nel Continente africano, a visitare campi profughi ed una moschea, a girare nelle piazze e ad abbracciare la gente, a visitare, a Nairobi, il quartiere di Kangemi, abitato da gente estremamente misera, la quale lo ha accolto con gioia e canti, dimostrandogli tutto il loro affetto. Poi, rispondendo a braccio ad alcune domande fattegli dalle migliaia di giovani nello stadio Kasarani, ha ricordato la necessità della preghiera senza la quale si perde “la parte migliore della propria umanità”. Il che spinge, inevitabilmente, alle divisioni, alla guerra, quindi alla morte e all’autodistruzione. Perché, aggiunge, “lo spirito del male ci porta alla disunità, alla corruzione, alla dipendenza dalla droga… alla distruzione attraverso il fanatismo”.
Dopo Kenya e Uganda, papa Francesco è andato a Bangui, capitale della Repubblica Centrafricana, dove sono numerosi gli scontri politici. “In questa terra sofferente – ha detto nell’omelia – sono rappresentate tutte le sofferenze del mondo. Per Bangui, per tutti i Paesi che soffrono la guerra, chiediamo la pace”. E lancia un appello: “A tutti quelli che usano le armi, io dico forte: deponete questi strumenti di morte, armatevi piuttosto della giustizia, dell’amore e della misericordia, autentiche garanzie di pace”.
Poi si è recato nel campo profughi dove vivono, in totale povertà, ben 800 mila persone e in moschea per dire ai Musulmani che “siamo fratelli e dobbiamo dunque… comportarci come tali. Perché chi crede in Dio deve essere “uomo o donna di pace". Poi ha aperto la Porta Santa della Cattedrale, con il desiderio di coinvolgere anche i Musulmani che, nel Corano, definiscono misericordioso il loro Dio, in quanto l’Anno Santo è dedicato alla misericordia del Padre Eterno.
Per questo il Papa è andato in Africa e per questo ha indetto un Anno speciale sulla Misericordia, con il sostegno di tutti coloro che si rendono conto di quanto sia preziosa la sua missione: costruire ponti dove altri stanno scavando fossati. In un momento in cui molti parlano di guerre e dove si moltiplicano i focolai di tensione, papa Francesco “attraversa le linee”, chinandosi per curare chi è ferito, per dare la mano al popolo che soffre e spera. Dopo l’Asia, l’America Latina e gli Usa, ora l’Africa. L’annuncio di Papa Francesco riesce ad arrivare ovunque. Esprimendo una leadership che non si limita a parlare, ma che agisce in prima persona.