In area UE, il valore che abbiamo rilevato non può essere considerato fisiologico. Intanto, oltre confine, le retribuzioni e i vitalizi hanno registrato un incremento (medio) dell’1,9%, per lo stesso periodo. Quindi, più consono al costo esistenziale che interessa il Vecchio Continente. Poi, ci sono altre considerazioni da fare per meglio inquadrate la situazione italiana. Al presente, le cifre di riferimento devono essere anche considerate sull’ammontare delle paghe riconosciute nelle varie realtà dei Paesi UE.

L’Italia è al terzo posto in negativo per quanto attiene le paghe e, conseguentemente, le pensioni. Questo è quanto. Insomma, il futuro sarà tutt’altro che roseo. Se la tendenza occupazionale dovesse mantenere questo ritmo, entro i prossimi cinque anni, potremmo perdere altri 60.000 posti di lavoro. Soprattutto occupazioni di concetto e tecniche. Per lo stesso periodo, l’Italia avrà bisogno d’almeno 50.000 operai tra generici e qualificati. Ora, il mercato interno è privo di queste figure professionali. 

Sono, invece, in aumento il numero dei diplomati e laureati alla ricerca di una prima occupazione. Insomma, la manodopera che ci occorre la cerchiamo altrove a discapito degli aspiranti lavoratori nazionali. Penalizzata è, soprattutto, la fascia d’età tra i 18 ed i 26 anni. Per garantire nuove prospettive all’occupazione, ci piaccia o no, sembra necessario rivedere il concetto di “lavoro”.

Fare un passo indietro non significa rinunciare a quello cui aspiriamo. È solo una questione di metodo dettata dall’emergenza. Senza aspettare oltre, ci sono da riscoprire i lavori che nessuno vuole più fare e di cui si prospetta la necessità nei prossimi anni.

La maggior parte comprende qualifiche tecniche o artigianali. Indipendenti o a tempo indeterminato. Manca, a nostro avviso, una politica che consente la riqualificazione della manodopera con particolare riferimento alle attività di supporto. Del resto, proprio sotto questo profilo, lo scorso anno le imprese interessate non sono riuscite a coprire 25.000 posti che, progressivamente, sono stati occupati da manovalanza dei nuovi Stati UE dell’Est.