Accade spesso in politica che imprevisti eventi rivelino l’inutilità di progetti a lungo meditati. Ha tutta l’aria di essere questo il caso della Banca Centrale Europea (Bce) che ha in programma un massiccio acquisto di titoli di Stato, chiamato “quantitative easing”, che si propone di combattere le tendenze deflazionistiche nella zona dell’euro e di stimolare la crescita economica dei Paesi dell’Unione Europea (Ue). Soprattutto la Germania non ha mai nascosto la sua avversione nei confronti del “quantitative easing” promosso dal presidente della Bce Mario Draghi, un programma che farebbe aumentare di un bilione di euro il bilancio della Bce da utilizzare per prestiti alle banche a tassi molto vantaggiosi.
Governo di Berlino, Bundesbank e ”saggi” tedeschi dell’economia sono concordi nel negare che esista in Europa un serio rischio di deflazione, come Draghi sostiene, e anche nell’affermare che la disponibilità di denaro a buon mercato comporta il rischio d’indebolire ulteriormente la già scarsa propensione riformista di alcuni Paesi dell’Europa meridionale, in modo particolare dell’Italia. In sostanza, dal punto di vista tedesco il vero problema non sarebbe tanto la crisi economica, quanto la mancanza della ferma volontà in alcuni Paesi dell’Ue di realizzare le necessarie riforme strutturali.
È chiaro a questo punto che i Paesi a nord e a sud dell’Europa hanno opinioni contrastanti sulle cause delle difficoltà economiche dell’Unione Europea la quale, fatta eccezione per la Germania, non riesce a ritrovare la strada della crescita economica interrotta nel 2007. Recentemente si era pensato che Mario Draghi stesse per rinviare il ricorso al “bazooka” dell’acquisto in massa dei titoli di Stato. La dilazione avrebbe permesso alla Bce di attendere l’ormai prossima presa di posizione della Corte Europea di Giustizia di Lussemburgo sulle perplessità espresse dal Bundesverfassungsgericht di Karlsruhe riguardo a una presunta carenza di costituzionalità del programma “quantitative easing”. Una volta chiarito quest’aspetto, decisamente non secondario del programma, Draghi sarebbe stato poi libero di trarre le sue conclusioni, mettendo fine agli indugi e alle incertezze che durano ormai da troppo tempo.
Improvvisa svolta greca
Questo era il quadro che si presentava all’apertura del sipario in Europa le feste di Capodanno. Sennonché all’ultimissimo momento a Bruxelles e in tutte le capitali europee sono suonati improvvisamente i campanelli di allarme. Ad attivarli è stata la preoccupante prospettiva delle elezioni politiche anticipate che si svolgeranno il 25 gennaio in Grecia dopo che il Parlamento di Atene non era riuscito a trovare un accordo sulla nomina di un nuovo presidente della Repubblica. Il problema per i Paesi dell’Ue è che le elezioni greche potrebbero decretare la vittoria del partito di sinistra radicale Syriza attualmente in testa ai sondaggi. Timore giustificato, perché, infatti, il presidente del partito Alexis Tsipras rifiutando il “diktat tedesco del risparmio” si propone di riaprire le trattative con l’Ue chiedendo la cancellazione di una parte del programma di austerity concordato dal precedente governo greco con la Troika – l’organo di controllo formato da rappresentanti di Bce-Ue-Fmi.
Inoltre, il partito Syriza vorrebbe anche ottenere un netto taglio dei 300 miliardi di debito che la Grecia ha per l’80% nei confronti di Banca centrale europea, Unione Europea e Fondo monetario internazionale. Nel caso di mancata maggioranza assoluta, il partito Syriza dovrà trovare un alleato che condivida la sua convinzione secondo cui l’Ue non sarebbe in grado di imporre alla Grecia l’uscita dall’euro. È chiaro a questo punto che il 2015 inizierà in un clima di grande incertezza lasciando col fiato sospeso i mercati finanziari alle prese con i problemi di un euro in balia della speculazione. Per il momento è anche presto per dire se l’Ue sia disposta a lasciar fallire la Grecia con la conseguenza di una sua uscita dall’euro o se invece, costi quello che costi, vorrà salvarla. Al contrario di tre anni fa quando un’uscita della Grecia dall’euro avrebbe messo a soqquadro l’Ue, a Bruxelles si è convinti che il sistema monetario europeo con i suoi nuovi meccanismi di sicurezza sia oggi molto meglio preparato all’eventualità dell’uscita della Grecia dall’euro. Resta da vedere se la Grecia pensi davvero a un suo futuro senza l’euro, ma questo potranno dirlo soltanto gli elettori greci.
Via libera tedesca ad Atene?
Il governo tedesco, così si sente dire, avrebbe già modificato la sua linea politica e a certe condizioni non si opporrebbe a un’uscita della Grecia dall’euro. Anzi di più, Berlino riterrebbe irrinunciabile un simile passo qualora il nuovo governo di Atene gettasse alle ortiche i suoi propositi di risparmio e di riforme strutturali tentando la grande avventura socialista auspicata dal partito Syryza, la qualcosa, tra l’altro, provocherebbe automaticamente la chiusura delle linee di credito da parte della Troika. “I tempi in cui avremmo dovuto salvare a tutti i costi la Grecia sono passati – afferma da parte sua il vicepresidente del partito Cdu, Michael Fuchs – perché il paese ellenico non è più decisivo per il sistema euro”.
In altre parole, Tsipras, presidente del partito radicale di sinistra Siryza, non avrebbe in mano una decisiva arma di ricatto (“la Grecia va presa così o niente”) nei confronti dell’Unione Europea. Anche il presidente dell’istituto di ricerca economica Ifo di Monaco, Hans-Werner Sinn, guarda senza affanno all’uscita di Atene dall’euro anche perché ciò consentirebbe alla Grecia di recuperare con la vecchia dracma parte della sua perduta competitività economica. Sinn, come del resto anche il governo di Berlino, non sembra temere un effetto domino in Europa. Una decisione, comunque, non sarà facile per nessuna delle due parti.
Il ministro tedesco delle Finanze Wolfgang Schaueble ha sottolineato che gli accordi firmati dal precedente governo greco valgono anche per quello che uscirà dalle elezioni del 25 gennaio. Per quanto riguarda Mario Draghi e il suo “quantitative easing” la logica e il buonsenso direbbero che il programma per il momento sta bene dov’e, ben chiuso nel cassetto della Bce. Se poi sarà il caso, se ne riparlerà più avanti alla luce del risultato delle elezioni parlamentari greche del 25 gennaio e delle decisioni che il nuovo governo greco riterrà opportuno prendere. Alle considerazioni iniziali fatte su questo tema andrebbe aggiunto che i temporaggiamenti del presidente della Bce, oltre che con l’attesa di una presa di posizione della Corte Europea di Giustizia di Lussemburgo, si potrebbero spiegare secondo il Financial Times anche con una sua tattica dilatoria.
Il quotidiano economico-finanziario britannico spiega, infatti, che i “quantitative easing” funzionano soltanto prima di essere lanciati, perché gli investitori comprano titoli di Stato sapendo che un domani potranno rivenderli con profitto alla Banca Centrale Europea. In sostanza, a Mario Draghi converrebbe tenere i mercati col fiato sospeso. Solo che l’incognita delle elezioni greche non era prevista.